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Emilio Salgari

 

Gli Ultimi Filibustieri

 

 

 

 

Capitolo I

UN TERRIBILE TAVERNIERE

 

Co... co... co... Che cosa vuol direper tutti i tuoni e letempeste del mare di Biscaglia? Co... co... So che dei pappagalli si chiamanoCocòma io credo che chi mi ha scritto questa lettera non sia uno di queivolatili variopinti!...

“Sarà meglio che chiami mia moglie. Chissà che non riescaa decifrare questi scarabocchi.

“Panchita!...”

Una robusta donna sui trentaquattro trentacinque annibrunacogli occhi tagliati a mandorla come le andalusevestita leggiadramentemacolle maniche rimboccate che mostravano delle ben tornite e vigorose bracciauscí dal lunghissimo banco d'acagiúdietro a cui stava risciacquando deibicchieri.

- Che cosa vuoiPepito? - chiese.

- Al diavolo Pepito!... Sono don Barrejo io e non un Pepitoqualunque. Quand'èmoglieche ti ricorderai che io sono un nobile dellaGuascogna?

- Pepito è un nome piú dolcemarito mio.

- Lascialo in Siviglia.

L'uomo che parlava cosí era uno spilungonealto emagrissimocon due baffi spioventiun po' brizzolatied i lineamentienergiciche mal si adattavano ad un taverniere.

Colle gambe allargateritto di fronte ad una tavola occupatada una mezza dozzina di meticcii quali stavano vuotando un grosso boccale di mezcalfissava i suoi occhi grigiastriche avevano il lampo dell'acciaiosu un pezzodi carta.

- Leggi tuPanchita- disseporgendo alla donna il foglio.- In Guascogna non si scrive cosíper tutti i tuoni del mar di Biscaglia!...

La taverniera prese la lettera e vi gettò sopra uno sguardo.

- Caramba!... - disse. - Io non ci capisco niente.

- Sono dunque tutti asini i castigliani!... - esclamò iltaverniereallargando maggiormente le sue magre gambe. - Eppure laggiú siparla la purissima lingua della grande Spagna!

- E in Guascogna? - chiese la bella brunascoppiando in unaallegra risata. - Non vi sono asini nel tuo paesePepito?

- Lascia stare la Guascogna. Quella è una terra eccezionaleche non nutre che spadaccini.

- Come vuoimarito mio; ma io non capisco niente di ciò cheè scritto su questa carta.

- Non ci vedi? Hai forse le traveggole? Co... co...

- E poi? Avantigiacché tudon Barrejoci capisci qualchecosa.

- Tonnerre!... Non ci capisco nienteio!

- Chi ti ha portato questa lettera?

- Un ragazzo indianoche non mi parve appartenesseall'Amministrazione delle Poste.

- Ehi!… don Barrejo!... - gridò Carmencitamettendosi lemani sui fianchi e lasciando sul marito uno sguardo di fuoco. - Sarebbe forse unappuntamento con qualche donna straniera? Ricordati che le castigliane portanosempre un pugnale nel seno!...

- Non te l'ho mai veduto- rispose il taverniereridendo.

- Saprei mettercelo però.

- Allora c'è tempo e in tanto potremo decifraretranquillamente questi dannati sgorbi. Tonnerre!... Co... co... Aldiavolo tutti i pappagalli dell'America!...

In quel momento la porta si aprí ed entrò un uomo copertoda un ampio mantello grondante d'acquapoiché in quel momento si rovesciava suPanama un furioso acquazzone accompagnato da lampi e tuoni.

Era uno splendido tipo d'avventurieronon piú giovaneperòpoiché la sua barba ed i suoi baffi erano quasi bianchi e la sua frontespaziosa era solcata da profonde rughe che l'ampio feltro piumato nascondevamalamente.

I suoi altissimi stivali di cuoio giallo erano ritagliatibizzarramente verso l'estremità superiore e dal fianco gli pendeva una spada.

Si diresse verso un tavolinoaprí il mantello mostrando unaricca giubba di panno finissimo con alamari d'orosi tolse il cappello e battéun pugno formidabilegridando:

- Ehioste del malannonon si dà dunque da bere aigentiluomini?

Il tavernieretutto occupato a decifrare la letteramisteriosanon si era nemmeno accorto dell'entrata di quel personaggio. Udendoperò il tavolo scricchiolare sotto quel terribile pugno e quelle paroleabbastanza offensivepassò la carta alla moglie e guardò trucemente ilgentiluomodicendo con voce fremente:

- Mi avete chiamato?...

- Oste del malanno- rispose il nuovo venutotranquillamente. - Quando un gentiluomo entra in una tavernail padrone deveaccorrere e domandare che cosa si desidera. Almeno cosí si usa in Europasenon in America.

- Ehisignor mio- rispose il taverniereprendendo unaposa tragica. - Mi pare che voi alziate un po' troppo la voce in casa mia.

- Casa vostra!...

- Tonnerre!... Siete voi che pagate il fittomiogentiluomo?

- Una taverna è una casa pubblica.

- Corpo d'un cannone! - urlò il taverniere.

- Ohébell'uomomi pare che siate voi ora che alzate unpo' troppo la voce!

- Fulmini di Biscaglia!... Sono il padrone della tavernaio!...

- Benissimo.

- E sono un guascone!...

- Ed io sono della bassa Loira.

Il taverniere aveva fatto un giro su se stesso e parve chequella piroetta lo avesse calmato di colpopoiché disse con voce non piúfremente:

- Un gentiluomo francese!... Perché non me lo avete dettoprima?

- Non lasciate nemmeno parlare la gentevoi!...

- Capirete che i guasconi...

- Hanno la lingua lunga e la mano pronta. Lo so.

- Si vede che siete proprio un francese della Loira. Che cosadesideratemio signore?

- Una bottiglia del migliore; Xeres o Alicante o Portononm'interessa. Bevo qualunque vino maturato sotto tutti i soli del globopurchésia buono.

Il taverniere si volse verso sua mogliela quale avevaassistito sorridendo a quella comica scenadicendole con molto sussiego:

- Hai capito tu come sanno bere i francesi della grandeFrancia?

- E tu mi rimproveri se qualche volta alzo un po' troppo ilgomito e faccio breccia nella cantina. Noi non siamo spagnuoli.

“Porta al signore una bottiglia delle piú vecchie. Mi pareche ce ne sia qualcuna di Bordeaux. Farà molto piacere al mio compatriotta.”

- SíPepito.

- Ehlascia andare Pepito. Io sono un guascone e non già untorero qualunque di Siviglia. Ricordatelomoglie!...

Le riprese la lettera dalle mani e si mise di nuovo aleggereborbottando sempre: co... co... me... me... si... si...

Stava forse per decifrare qualche nuova parolaquando laporta della taverna si aprí ed un altro uomo entrò. Come il primoindossavaun ampio mantello pure inzuppato d'acquaaveva altissimi stivali di pellegiallaportava al fianco uno spadone e sul capo un feltro piumato adorno dialcuni bottoncini d'argento.

Poteva avere quarant'annituttavia i suoi baffi erano mistia non pochi fili d'argento ed il suo viso molto abbronzato. Di media staturamembrutopareva possedesse una forza muscolare piú che comune.

Come il gentiluomo francesesi sedette d'innanzi ad untavolino e vi piantò sopra un tale pugno che per poco non lo sfasciòcompletamente.

Il taverniere udendo quel fracassoche rassomigliava alloscoppio d'una bombafece un soprassalto e guatò con sguardo trucel'impertinente che si permetteva di fracassargli i mobilisenza nemmenochiedere il permesso al padrone.

- Tonnerre!... - gridòrialzando i baffi spioventi.- C'è quest'oggi un’invasione di cani arrabbiati? Passi il mio compatriottama questo poi l'accomodo io!...

Si avvicinò al nuovo avventoreedopo averlo squadratodall'alto in bassogli chiese:

- Chi siete voi?

- Un bevitore assetato- rispose lo sconosciuto.

- E dove credete di trovarvi?

- Diavolo!... In una tavernami pare.

- Che non è casa vostrami pare.

- Chiacchiera menotaverniere di messer Belzebúe portamiinvece da bereche muoio dalla sete e poi ho molta fretta.

- E io nessuna.

- Ehitaverniere dell'inferno! - urlò lo sconosciutopicchiando un altro pugno sul tavolo. - L'hai finita? Mi porti una bottiglia sio no?

- No- rispose l'oste.

- Vuoi che ti tagli gli orecchi?

- A chi?

- A tepor Dios!...

- Ah!... Baie!...

Il gentiluomo franceseche stava bevendoproruppe in unaclamorosa risatala quale ebbe per effetto d'irritare sempre piú il bollentetaverniere.

- Tonnerre!... - urlò. - Per chi mi si prende? Sonoun guascone sapete?

Il secondo avventuriero si torse i baffiappoggiò un gomitosul tavolinoormai sgangherato da quei due poderosi pugnie lo guardòridendo ironicamente.

- Come sono buffi questi guasconi! - disse poi.

Don Barrejoproprietario della taverna d'El Moropiccolo gentiluomo guasconescoppiò come una bomba.

- Tuoni dei Pirenei e fulmini del mar di Biscaglia!... A medare del buffone!... Ahtu vuoi bere del mio vino!... È dalla tua botte che nespillerò!... Carmencita!... La mia spada...

Il secondo venuto proruppe in un altro scroscio di risapiúfragoroso del primo e che fece saltare la mosca al naso al bollente taverniereil quale non aveva mai tolleratoda buon guasconeche si ridesse sulle suespalle.

- Bisogna che vi uccida dunque? - urlò.

- Con che cosa? Col tuo spadone? Chiese ironicamentel'allegro sconosciutotogliendosi il mantello. - Mio carodeve avere aquest'ora un mezzo pollice di ruggine.

- Che lascerò tutta nel vostro corpomascalzone!..

- Tu sei sempre piú buffocompare.

- Finitela por Dios! Uscite o vi uccido come un canearrabbiato!... Panchita!... Portami la draghinassa!...

- Tua moglie pare non abbia nessuna premura di vedere il miosangue- disse lo sconosciutoappoggiandosi ad un tavolino e guardando fissoil taverniere.

Poivolgendosi verso il primo entratoil quale assisteva aquella allegra scena che poteva però finire tragicamentegli chiese:

- Non vi sembrasignoreche sia sempre lo stesso questoindiavolato guascone? Nemmeno il matrimonio lo ha calmato.

Queste parole le aveva pronunciate su un tono un po' diversodel primo. Don Barrejocolpito da quell'accento che gli pareva di aver giàudito in altri tempistette un momento dubbiosopoi si precipitò addosso allosconosciuto e se lo strinse fra le bracciagridando:

- Tonnerre!... Mendoza il Basco!... Il braccio fortedel figlio del Corsaro Rosso!...

- Ci voleva tanto dunque a riconoscermi? - disse ilbiscaglinocontraccambiandocon minore entusiasmol'abbraccio.

- Sono passati sei annimio caro.

- Ma sei sempre lo stesso. Per poco non mi aprivi il ventrecolla tua famosa draghinassa e spillavi il mio sangue.

- Tonnerre!... Mi hai fatto uscire dai gangheri!...

- E l'ho fatto apposta per vedere se il mio guascone si eraconservato ancora guascone.

- Briccone!... E tu ne dubitavi? - gridò don Barrejorinnovando l'abbraccio. - E che cosa fai qui? Da dove vieni tu? Qual buon ventoti ha portato alla taverna d'El Moro?

- Non tanta furiamio caro guascone- disse il basco.

Poiindicandogli il gentiluomo francese della bassa Loirache si godeva sempresorridendo sotto i baffila scenagli chiese:

- E quel signore làche sta assaggiando il tuo pessimo vinolo conosci?

- Pessimohai detto?

- Giudicheremo piú tardi.

Don Barrejo aveva piantato gli occhi addosso al gentiluomomentre si passava e ripassava una mano sulla fronte come per evocare dei lontaniricordi.

Ad un tratto si slanciò verso il tavolo colle mani tesegridando:

- Tonnerre!... Il signor Buttafuoco!...

Il famoso bucaniere della marchesa di Montelimar si alzòsorridendoe strinse calorosamente le mani che gli venivano tesedicendo:

- S'invecchia dunquedon Barrejoper non riconoscere piúgli amici?

- È il matrimonio- disse Mendozascoppiando in unarisata.

Il bravo guascone non aveva nemmeno rilevata la frase. Si eraslanciato dietro l'immenso banco di acagiúurlando a squarciagola:

- Panchita!... Panchita!... Porta sopra le migliori bottigliedella nostra cantina e lascia in pace lo spadone. Non ne ho piú bisogno!...

Poi in tre passi tornò verso il tavolino occupato dalbucaniere e dal biscaglino epiantandovi sopra a sua volta due pugnichiese:

- Che cosa siete venuti a fare quidopo tanti anni diassenza? Come sta il conte di Ventimiglia? E la marchesa di Montelimar? Di dovesiete sbucati voi? Sandomingo è lontano da Panama.

- Silenzio- disse Mendozaaccennando con un dito i meticciche stavano bevendo il mezcal.

- Che cosa? - chiese il guascone.

- Puoi mandarli via?

- Se non andranno con le buone li manderò fuori a pedate -rispose il terribile taverniere. - Il fitto lo pago io e non lorocorpo d'untuono secco!...

S'avviò verso il tavolino occupato dai tranquilli bevitoried indicando loro la porta con un gesto tragicodisse:

- Mia moglie sta male ed ha bisogno di riposo. Andatevenesubito senza pagamento. Il mezcal che avete bevuto ve lo regalo.

I meticci si guardarono l'un l'altroun po' stupefatticertamentepoiché proprio in quel momento la graziosa castiglianainvece digiacere su un lettousciva dalla cantina reggendo fra le robuste braccia ungran paniere pieno di bottiglie polverose.

Lieti però di aver bevuto senza sborsare una piastrasialzaronolevandosi i vecchi e sfilacciati sombrerose se ne andaronosenza protestarequantunque al di fuori la pioggia continuasse ad infuriare.

- Moglie mia- disse don Barrejo. - Ho l'altissimo onore dipresentarti il signor Buttafuocoun autentico gentiluomo francese e quellavecchia pelleche tu hai già conosciutodi Mendoza.

“Abbracciali pure: io non sono geloso di questi uomini.”

La bella taverniera depose il paniere e diede quattro grossibaci sulle gote degli amici del maritosenza che questi inarcasse lesopracciglia.

- Oramoglie miachiudi la porta e sprangala- disse iltaverniere. - Oggi non si riceve nessunoperché vi è festa in famiglia.

- Sí Pepito.

- Pepito!... - esclamò Mendoza. - Sei diventato un pollounpappagalloun galloun toro...

- Mia moglievediha una vera mania- rispose il guascone.

- Quando è di buon umoresi ostina a chiamarmi Pepito.

- Pi... pi... pi... - fece Mendozaridendo.

- To... to... to... - Completò il guasconelevando dalpaniere una bottiglia ricoperta di ragnatele. - Beviamo ora e poi mi direte perquale caso strano vi trovate in Panama. Il signor conte di Ventimiglia non deveessere estraneo a questa visita.

- Certoe anche...

Mendoza si era bruscamente interrotto e si era alzatoguardando verso la porta.

- La mignatta- disserivolgendosi al Buttafuoco. -Panchitanon chiudere la porta. Aspettiamo un altro amico.

- Chi è? - chiese don Barrejo.

- Non lo sappiamo ancoraperòdal modo con cui storpia leparoleio lo crederei un olandese o un fiammingo.

- E che cosa vuole da voi?

- Da quando siamo giunti a Panama quell'uomo misterioso ci siè appiccicato ai fianchi e ci segue dovunque andiamopagandoci anche dellebuone bottigliecolla migliore gentilezza del mondo.

- Meno male: non si trovano sempre delle persone generose-disse il taverniere empiendo i bicchieri. - Vorrei però sapere perché vi seguecon tanta ostinazione.

- Io non credo che sia una spia- disse Buttafuoco.

- E non avete trovata ancora l'occasione di sbarazzarvi diquel signore? TuMendozahai sempre avuto la mano lesta.

- Non hai mai potuto incontrarlo di sera e solo.

- Credi che finisca per entrare?

- Certamentecompare.

- Allora vedremo se sarà capace di uscire di qui. Horicevuto stamane una botte contenente dieci ettolitri di Alicantee capace dicontenere un uomo per quanto sia grosso.

- Che cosa vorresti fare? - chiese Mendoza.

- Farlo sparire dentro quella bottecosí l'Alicanteacquisterà un sapore di piú.

Mendozache stava in quel momento gustando l'eccellente Xeresdel tavernieresputò via tutto il vino che aveva in boccafacendo una bruttasmorfia.

- Ah!... Cane d'un taverniere!... - gridòfingendosistomacato. - Ci offre del vino dove ha conservato dei morti!...

Don Barrejo scappò viatenendosi il ventrementre il bravobiscaglino approfittava del momento per afferrare la bottiglia che gli stavadinanzi e per vuotarla in tre tempi.

In quel momento l'uomo misterioso ripassò dinanzi alla portadella taverna e si soffermò a guardare dentro.

- Eccolo- disse Buttafuoco. - In guardiaMendoza.

- La botte è pronta- rispose il biscaglino ridendo. - Siconserverà magnificamente là dentroma ioper paura che don Barrejo mi offradi quell'Alicantenon metterò poi piú i piedi nella taverna d'El Moro.

“Questi osti meriterebbero di venire appiccati.”

La bella castiglianavedendo lo sconosciuto mettere la manosulla manigliafu pronta ad aprire la portadicendo:

- Entrateseñor: il vino è eccellente alla tavernad'El Moro.

L'uomo misteriosoche grondava acqua da tutte le partisifece innanzi e si tolse il feltro adorno d'una vecchia pennadicendo:

- Pona serasignori: io averfi cercato tutta mattina.

Era un individuo fra i trenta ed i quarant'annimagro comeil guasconecolla carnagione bianchissimai capelli biondissimianzi quasibianchi e gli occhi azzurri.

Nel suo insieme inspirava una certa ripulsionequantunquepotesse benissimo darsi che fosse un galantuomo.

Mendoza e Buttafuoco avevano risposto al salutopoi il primosi era affrettato a dire:

- Scusatesignorese non ci avete trovati al solitoalbergo. La pioggia ci ha sorpresi lungo la via e ci siamo rifugiati quidovel'ostessa è amabilissimal'oste un brav'uomo ed il vino squisitissimo.

- Foi permettere a me di tenerfi compagnia?

- Con tutto il piacere- disse Buttafuoco.

L'uomo misterioso si levò il cappello ed il mantello cheerano alla lettera inzuppatimostrando una draghinassa ed uno di quei pugnalichiamati misericordie.

Don Barrejo si era messo a girare e rigirare attorno altavolofissando quell'individuo sospetto.

Quella curiosità però non parve andare troppo a sangue alfiammingopoiché volgendosi d'un colpo verso il guasconegli chiese con tonoun po' piccato:

- Foi folete qualche cosa da me?

- Niente affattosignore- rispose prontamente don Barrejo.- Aspettavo i vostri preziosissimi ordini.

- Io non afere ordini da dare a foiavete capito? Io befocon gli amici.

- Befete puremio gentiluomo- rispose il guasconeandandoa sedersiinsieme a Panchitadietro il lunghissimo banco.

- Assaggiate- disse Mendozaporgendo un bicchiere bencolmo all'uomo misterioso. - Di questo vino non se ne beve nemmeno in Spagna.

L'uomo misterioso bevette d'un fiato il contenutopoi feceschioccare la lingua.

- Pfiffer! Io mai afere befuto fino cosí buono.Ah!...

- Oh!... - fece Mendozatornando ad empirgli il bicchiere. -Bevete puremastro Pfiffer.

- Che cosa Pfiffer? - chiese il fiammingo.

- Non vi chiamate cosí?

- Io mai essere stato un Pfiffer.

- Avrete qualche nome suppongo- disse Mendozaversandogliun terzo bicchiere. - Io per esempio mi chiamo Rodrigo de Pelotased il miocompagno invece Rodrigo de Peloton.

Il fiammingo guardò bonariamente il biscaglinocon un certofare da sornionepoi disse:

- Pfiffer essere un interca.

- Un intercalarevolevate dire. Abbiamo capitoma nonsappiamo ancora come chiamarvi.

- Arnoldo Fifferoffih.

- Ah!... Dei fi fi ce ne sono nel vostro nome. Si potevaquindi chiamarvi benissimo mastro Pfiffer. Si faceva piú presto.

- Se foletechiamatemi cosí.

- Eh... come va la vitamastro Fiffer... fi... fer...?

- Pene!... Pene!... - rispose il fiammingo. - A Panama staretutti penissimo. Conoscete la città?

- Non ancora tutta.

- Foi fenite da lontano?

- Ma che!... Da Nuova Granada.

- E... per affari?

- Dobbiamo comperare cinquanta muli per conto d'un ricco bacienderoche si crede intenda poi venderli ai filibustieri.

- Oh!... - fece il fiammingo.

- Bevete mastro Fiff... fiff... Questo vino è eccellente.

- Oh molto pono!... Ostessa pelissimaoste brutto e finoponissimo.

- È stata una vera fortuna scoprire questa taverna cosífuor di mano- disse Mendozail qualepur chiacchierandonon cessava diempire i bicchieri.

Il fiammingoquantunque dovesse essere piú abituato atracannare birra che vinoresisteva tenacemente a Mendozaperò non dovevalottare a lungo con quel formidabile bevitore.

Già le sue esclamazioni s'imbrogliavano maledettamentefacendo sorridere il silenzioso Buttafuocoil quale se era avaro di parole nonrisparmiava nemmeno lui i buoni bicchieri.

Cominciava intanto ad annottare e la pioggia non cessava discrosciare di fuoricon largo accompagnamento di tuoni e lampi.

Pareva che su Panamache allora era la regina del Pacificosi rovesciasse un vero ciclone.

Don Barrejodopo aver portato altre bottiglieaccese lafumosa lampada ad oliopoiad un segno di Mendozachiuse le porte dellataverna mettendovi dietroper sicurezzauna spranga di ferro.

- Taferniereche cosa fate? - chiese il fiammingoil qualesi era accorto di quella manovra.

- È tardi e chiudo- rispose asciuttamente il guascone.

- Noi folere uscire presto.

- Con questa pioggia?

- Io afere mia testa pesante e folere andare a dormire.

- Forse che non c'è del buon vino qui? - disse Mendoza. - Ilpadrone della taverna d'El Moro è un brav'uomo e rimarrà in piedi finoa domani mattinasempre pronto a servirci.

- Io folere andare- ripeté il fiammingo. - Pfiffer!Afer befuto troppo.

- Ma che!... Abbiamo appena cominciato!... È verodonRodrigo de Peloton?

Buttafuoco fece col capo un gesto affermativo.

- Pasta- rispose l'ostinato fiammingoprendendo il suomantellone ed il suo cappello. - Pona sera a tutti! Taferniereaprite.

Mendoza allontanò la sediasubito imitato da Buttafuocoedue spade brillarono nelle mani dei due avventurieri.

Don Barrejo aveva già preso la sua arrugginita draghinassaportatagli di nascosto da sua moglie e si era messo dinanzi alla porta.

- Pfiffer! - esclamò il fiammingogettando intornouno sguardo smarrito. - Cosa folere voisignori? Assassinarmi?

- Nomettervi in conserva dentro una botte di Xeres- disse don Barrejo. - Mio caro Pfiffero!

- Sedete- disse Mendozacon voce minacciosaposando laspada sul tavolo. - Abbiamo da vuotare altre bottiglie ancora e anche molto dadiscorrereamico.

 

 

Capitolo II

LE MERAVIGLIOSE TROVATE D'UN GUASCONE

 

Il fiammingoche si reggeva già male sulle gambenonavendo la resistenza di Mendoza e di Buttafuocoabituati alle sfrenate orge deifilibustieri e dei bucanierisi era lasciato cadere sulla sedianon cessandodi guardarecon spaventoquelle tre spade che gli pareva gli si appuntasserocontro il petto.

- Pfiffer! - esclamòdopo aver mandato un profondosospiro.

- Questo è cattivo scherzo.

- V'ingannatemastro Arnoldo- rispose Mendoza. - Questonon è affatto uno scherzo e le nostre spade non sono fatte di burrobensí dipuro acciaio di Toledo temprato nelle acque del Guadalquivir.

Il fiammingo proruppe in una risata.

- Datemi da perebrafo amico.

- Finché vorretemastro Arnoldo. La cantina d'El Moroè tutta a nostra disposizionepurché vi prepariate a rispondere alle domandeche vi farò.

- Pene!... Pene!... Dite... dite... - rispose il fiammingoriprendendo un po' d'animo.

- Allora- disse Mendoza- ci spiegherete per quale motivovoi ci seguite ostinatamente da tre giornicomparendoci sempre come unuccellaccio di malaugurionei luoghi che frequentiamo.

- Foi ed il fostro amico siete molto simpatici.

- Ma chi siete voi?

- Fe l'ho detto.

- Che cosa fate a Panama?

- Niente; fifo di rendita.

- Ehmesser Arnoldonon cercare d'ingannarciperchépotreste uscire di qui conciato male.

Il fiammingo divenne livido come un cadaveretuttaviarispose con abbastanza fermezza:

- Sono molto ricco.

- E per questo vi divertite a pagare da bere alle persone chevi sono simpatiche- disse Mendozaironicamente. - Compare Arnoldonon saremonoi che berremmo queste frottole. Sapete come si chiamano nel mio paese lepersone che s'attaccano alle altrecome tante mignattesenza perderle mai divista?

- Calantuomini.

- Nocompare Arnoldole chiamano spie.

Il fiammingo prese un bicchiere colmo e lo vuotò lentamentecerto per nascondere la sua emozione.

- Spie- disse poi. - Io mai afer fatto questo pruttomestiere.

- Eppure vi ripeto che voi dovete essere la spia di qualchepezzo grosso di Panama: del marchese di Montelimar per esempio.

Il bicchiere sfuggí dalle mani del fiammingo e si ruppe confracasso.

- Ohémesser Arnoldovi piglia male? - chiese don Barrejo.

- Siete piú giallo d'un limone. Volete che vi facciapreparare da mia moglie della camomilla?

Il fiammingo ebbe uno scatto d'ira.

- Taferniere della maloraoccupati del tuo fino tu!... -gridò.

- In questo momento le mie botti non hanno affatto bisogno dimequindi posso prendermi la libertà di scambiare due chiacchiere anch'io.

- Ebbenemastro Arnoldo- proseguí l'implacabile Mendoza.- Perchéquando ho pronunciato il nome del marchese di Montelimarle vostremani sono state prese da un tremito? Vedete bene che la tazza l'avete spezzata.

- Io pagarla.

- Il padrone d'El Moro è generoso e non vi faràpagare niente. Non approfittate però della rottura del bicchiere per cambiarediscorso.

“Ditemi invece come e dove m'ha veduto il marchese diMontelimar e come ha fatto a riconoscermidopo sei anni che manco da Panama.”

- Non conoscere marchese di Montelimar- disse il fiammingoasciugandosi la fronte che appariva bagnata di grosse stille di sudore.

- Ah!... Non volete dirmelo!... - gridò Mendoza. - Viavverto che quel signor líche non parla maiè uno dei piú famosi bucanieridi Sandomingoe che io non sono affatto un negoziante di mulibensí unfilibustiere che ne ha fatte di tutti i colori con David e con Raveneau deLussan.

- Quest'uomo sta male!... - esclamò don Barrejo. - PrestoPanchitaprepara una tazza di camomilla pel signore.

“Gli farà molto bene.”

Infatti pareva che il fiammingo fosse lí lí per sveniretanto era pallido e disfatto.

- Non vedete che vi tradite? - gridò Mendoza. - O videcidete a parlare o vi caccio in gola tutta la vostra misericordia.

- Aspetta che abbia almeno bevuta la camomilla- disse donBarrejoridendo.

- Confessate: lo conoscete il marchese di Montelimarsi ono?

È inutile che vi ostiniate a negare ancora.

Arnoldo fece finalmente col capo un cenno affermativo.

- Finalmente!... - esclamò il biscaglinomentre Buttafuocoper dimostrare la sua soddisfazionetracannava due bicchieriuno dietrol'altro.

- Messer Arnoldobevete una goccia anche voi di questovecchio Xeresche si dice sia stato imbottigliato nientemeno che dapapà Noè- disse il guascone porgendogli un altro bicchiere. - Vi darà unpo' d'animo e vi rimetterà in gambeve l'assicura un vecchio taverniere.

Messer Arnoldoquantunque fosse completamente ubbriacononrifiutò il consiglio. Aveva ben bisognodopo tante emozioni e tante angoscedi rimettersi un po'.

- Quando mi ha veduto? - riprese Mendoza.

- Tre giorni fa- rispose il fiammingo.

- Tu sei dunque uno dei suoi confidentiper sapere questecose.

Il fiammingo crollò il capo senza rispondere.

- Dove? - continuò Mendozacon voce minacciosa.

- Sulle calate del porto.

- Corpo d'un archibugio!... - esclamò il biscaglinodandosiun paio di pugni sulla testa. - Ed io non mi sono accorto della sua presenza!..

- Ti avevo detto di non mostrarti nei luoghi troppofrequentati- disse Buttafuoco.

- Sono trascorsi sei anni.

- Si vede che non sei troppo cambiatocomparee che seirimasto sempre giovane- disse don Barrejo. - Che uomo fortunato!

Mendoza si accingeva a riprendere l'interrogatorio e s'avvideche il fiammingo si era abbandonato sulla sedialasciando penzolare le suelunghissime braccia fino quasi a toccare il suolo.

- Che sia morto? - si chiese.

- È briaco fradicio- disse il guasconeil quale si eraavvicinato. - Oh!... Me ne intendo io di sbornie!... Quest'uomomio carononpotrà sciogliere la sua lingua prima di ventiquattro ore.

- Lasciamolo pure a digerire il suo vino e facciamo quattrochiacchiere fra noi. Ti dobbiamo delle spiegazionidon Barrejo.

- Le sospiro da tre ore- rispose il taverniere.

- Te le avremmo già datesenza la comparsa di questamignatta.

- Una parolaprimaMendoza- disse Buttafuoco. - Comeavevi fatto a sapere che questo fiammingo era una spia del marchese diMontelimar?

- Io ne sapevo quanto voisignor Buttafuoco. Avevo avutosemplicemente un vago sospetto ed ho pronunciato il nome del marchesecosí acaso.

- Ed hai indovinato subito! - esclamò don Barrejo. - L'hosempre detto io che tu eri un uomo meraviglioso.

“Ora dammi le spiegazioni promessemi. Sono curioso disapere il perché siete venuti a trovarmi e vi siete ricordati che in Americaesisteva un bravo guascone e fedelissimo amico.

“In questa faccenda deve entrarci il figlio del CorsaroRosso.”

- O meglio sua sorella- disse Mendoza.

- Chi? La figlia del Gran Cacico del Darien!...

- L'abbiamo condotta quinoi.

- È qui la señorita!... Quale imprudenza! Se ilmarchese di Montelimar riuscisse a scoprirlanon la lascerebbe piú libera.

- Oh!... Abbiamo prese le nostre precauzioniamicoL'abbiamo nascosta in una posada tenuta da un amico del signor Buttafuocoun vecchio bucaniere anche luiche trova piú utile ora fare l'albergatoreanziché uccidere buoi selvaggi a Sandomingo od a Cuba.

- E perché è venuta quimentre doveva trovarsi presso ilconte di Ventimigliasuo fratello e la Marchesa di Montelimar sua cognata?

- Non si sa dunque nulla a Panama che il vecchio Cacico èmorto quattro o cinque mesi fa e che ha lasciato erede delle sue favolosericchezze la figlia del Corsaro Rosso?

- Il Gran Cacico è morto!... - esclamò don Barrejopicchiando un pugno sulla tavola. - Allora il marchese di Montelimarche hasempre aspirato d'impadronirsi di quei tesori deve essersi già messo incampagna.

- Invece non pare- rispose Mendoza. - Tre giorni fa eraancora qui.

- Infatti quel Pfiffero l'ha detto. E come ha fatto a saperloil conte di Ventimiglia?

Abita sempre in Italiami pare.

- Lo seppe da un vecchio bucaniere che aveva trovato asilopresso il Gran Cacico e che si recò appositamente al castello del conte peravvertire sua sorella che la tribú l'aspettava per proclamarla reginanonessendovi altri eredi.

- Fu quel bucaniere che vi condusse la señorita?

- Si- rispose Mendoza.

- E dov'è quell'uomo?

- Veglia sulla señorita nella posadadell'amico del signor Buttafuoco.

- E che cosa volete dunque da me? - chiese don Barrejo.

- Sei sempre in relazione coi filibustieri del Pacifico?

- Ne giungono spesso da me.

- Si trovano sempre all'isola Taroga?

- Sempremalgrado i molti tentativi fatti dagli spagnuoliper sloggiarli.

- Chi li comanda?

- Sempre Raveneau de Lussan.

- E David?

- Si è diretto verso il capo Horn e non si è piú saputonulla di lui.

- Sono molti quei filibustieri?

- Si dice che siano circa in trecento.

- Allorasignor Buttafuocoè necessario che noi andiamo arivedere Raveneau de Lussan. Senza l'appoggio di quegli uomini sarebbeimpossibile condurre in porto una cosí grossa impresa.

“Se non sarà oggidomani per lo meno gli spagnuolisapranno che il Grande Cacico è morto esapendolo ricchissimosiaffretteranno ad impadronirsi del paese.”

- Di questo puoi essere certo- rispose Buttafuoco. - Ilmarchese di Montelimar da anni ed anni sospira il momento di mettere le mani suquei tesoritanto piú che si dice che il re di Spagna abbia affidato a lui laconquista di quel paese.

In quel momentofra lo scrosciare della pioggia ed ilrombare dei tuoniudirono picchiare fortemente alla porta.

Don Barrejoil quale da qualche momento si era sedutoerasubito balzato in piedidicendo a Panchitala quale agucchiava dietrol'immenso banco:

- Abbassa la lampadaamica.

- Chi può essere? - chiese Buttafuoco. - Sono quasi le diecie la notte è pessima.

- Se fosse la ronda? - disse il guascone.

- Viene qualche volta?

- Sisignor Buttafuoco.

- Eccoci in un bell'impiccio.

- Niente affatto- disse Mendozail quale da vero bascosapeva sempre trovare un pronto rimedio a tutto. - Prendiamo compare Arnoldo Pfiffere portiamolo in cantina.

- Ed in caso di pericolo annegatelo dentro la grossa botte diXeres- aggiunse il feroce guascone.

Un secondo colpopiú formidabile del primoche per poconon mandò in frantumi i vetri della contro-portasi fece udire.

- Prestoandate e spengete il lume che illumina la cantina- disse don Barrejo.

Poivoltandosi verso la moglieaggiunse subito:

- Porta sopra un paniere pieno di bottigliele piú vecchieche noi possediamo.

Mendoza e Buttafuoco presero il fiammingolo avvolsero nelsuo mantellone ancora bagnato e scesero a precipizio nella cantinaprecedutidalla bella castiglianamentre don Barrejo si avvicinava alla portachiedendocon voce formidabile:

- Chi vive? È tardicorpo del diavoloe la taverna d'ElMoro non è un asilo notturno.

- La ronda- rispose una voce imperiosa.

- Che cosa venite a fare quia quest'ora? Ho chiuso a tempo.

- Aprite.

- Aspettate che mi metta i calzoni e che mia moglie indossila sottana. Che diavolo! Non si può dormire dunque a Panama?

Panchita era ritornataportando un'altra cesta piena dibottiglie coperte di venerande ragnatele e l'aveva deposta sul banco.

Il guascone attese un momento ancora per prendersi il gustodi far ben bagnare la rondapoi si decise finalmente ad aprirenon senza averprima nascosta dietro il banco la sua formidabile draghinassa.

Aperta la portatre uomini comparvero. Erano un ufficialedella polizia e due alabardieri delle guardie notturne.

- Buena nochecaballeros- disse il guasconefacendo buon viso a cattiva fortuna. - Stavo per andarmene a letto. La notte èpessima è vero?

- Siete solo? - disse l'ufficialefacendo un gesto distupore.

- Nosignor ufficialestavo dicendo delle galanterie a miamoglie. È castiglianasapete.

- E voi? - chiese l'ufficiale.

- Dei Pirenei.

- Il paese dei contrabbandieri.

- Signoresono sempre stato un galantuomo e la miarispettabile famiglia da trecent'anni vende vino in Spagna ed in America-disse il guasconefingendosi offeso.

L'ufficiale gli volse le spalle e scambiò alcune parole avoce bassa con i suoi due alabardieripoivolgendosi verso don Barrejoilquale cominciava a mostrarsi inquieto di quella visita inaspettatagli chiese:

- Oggi in questa taverna è entrato un signoreche poi nonè piú uscito.

- Dalla mia taverna!... - Esclamò il guasconefingendo dicadere dalle nuvole. - Che sia rotolato sotto qualche tavolino e si siaaddormentato?... Panchitahai guardato bene se non vi sono ubbriachi accucciatiin qualche angolo?

- Io non ho veduto nessuno- rispose la bella castigliana.

- Eppure quel signore non è piú uscito di qui- insistettel'ufficiale.

- Misericordia!... - esclamò don Barrejo. - Che si siaammazzato nelle stanze di sopra?

- Ma nomarito miosono scesa or oradopo aver preparatoil nostro letto.

- Carrai!... - esclamò l'ufficiale un po'impazientito. - Come va questa faccenda?

- Sícome va questa faccenda? - ripeté don Barrejo.

L'ufficiale scambiò ancora due parole coi suoi alabardieriaccompagnandole con dei larghi gestipoi prese il partito di sedersi ad untavolodicendo:

- Portaci qualche cosa da beretaverniere. Siamo inzuppatifino alla camicia e non si starebbe malequesta seradinanzi ad un buon fuoco.

“Poi riprenderemo il nostro discorsopoiché io devoassolutamente sapere dov'è andato a finire quel signore.”

- Se non era uno spiritoio sono sicuro che voisignorufficialelo scoverete fuori in qualche luogo.

“Non si sarà cacciatoa mia insaputadentro qualchebotte o una bottiglia... Ah! Panchita mianoi volevamo assaggiare quella cassadi bottiglie che mio zio mi ha spedito da Alicante.

“Approfittiamo per berne qualcuna insieme alla ronda.”

- Ve n'è un paniere pieno- disse la castigliana.

- Sturasturaamica mia: offro al signor ufficiale ed allesue brave guardie.

Fare una bevuta senza sborsare un quattrinospecialmente perun soldatonon era cosa che toccava tutti i giorniperciò la ronda fece buonaaccoglienza alla proposta del furbo guascone.

Cinque o sei bottiglie di diversa qualità furono portate ele tazze furono riempite a vuotate parecchie volte di seguitofacendo i piúvivi elogi di quello zio lontanoche non si scordava del nipote taverniere.

- Un magnifico regalopovero zio! - diceva il guascone. -Sessanta bottiglieuna migliore dell'altra e regalate vehperché mio zio amasuo nipote.

“Bevete liberamentesignori mieigià non costa nulla ame.”

- Beviamo puretaverniereperò non dimentichiamo quelsignore che non è piú uscito dalla vostra taverna.

- Mi supporreste capace di assassinare le persone che vengonoa bere nella mia taverna! - chiese don Barrejocon accento piccato.

- Non vi credo capace di commettere cosí orrendi delitti-rispose l'ufficiale. - Io però devo trovare qual gentiluomo.

- Ah!... Era un gentiluomo?...

- Credo. Sentiamo un po' taverniere: chi è venuto a bereoggi qui?

- Quindici o venti personefra europei e meticcipoiché iotengo anche dell'eccellente mezcalche vi farò assaggiare se lodesiderate.

- Lasciate il mezcalper ora. Fra quelle persone nonavete notato un signore altovestito interamente di nerocolla pelle moltobianca ed i capelli biondissimianzi quasi bianchi?

Don Barrejo si mise ad accarezzarsi il mento e guardare inalto come se chiedesse alle travi annerite del soffitto qualche ispirazione.

- Alto... magro... coi capelli quasi bianchi... tutto vestitodi nero... certo... deve essere quel signore che ha bevuto insieme con quei duesconosciuti.

- L'avevate veduto dunque? - chiese l'ufficiale.

- Me lo ricordo benissimoperché l'ho servito io. Era incompagnia di due uomini entrati un po' prima di lui e che io non ho mai vedutiprima d'oggi.

- Uno di mezza età e l'altro piú attempatocolla barbabrizzolata?

- Precisamente- rispose don Barrejo. - Hanno vuotato inbuona compagnia un bel numero di bottiglie a quel tavolino làche è ancoraingombro di vetripoiapprofittando del momento in cui la pioggia accennava adiminuirese ne sono andati.

- Tutti insieme?

- Si reggevano tra loroperché le loro gambe non eranotroppo ferme. Diavolo!... Si beve vino squisito nella mia taverna.

L'ufficiale si era voltato verso uno dei due alabardieridicendogli:

- Hai uditoJosé?

- Sísignore.

- Allora tu non eri al tuo posto in quel momento.

- Eppuresignorevi giuro che io non mi sono maiallontanato da quel portoneil quale o bene o male mi riparava dalla pioggia.

- Forse in un momento di distrazione.

- Lo escludo assolutamente- rispose l'alabardierecon vocerecisa.

- Eh!... Qualche voltaquando si scambia un'occhiata conqualche bella fanciullanon si vede piú nulla- insinuò il taverniere.

- Non ho veduto altro che dell'acqua.

- Ed allorataverniere? - chiese l'ufficiale.

- Panchita- chiamò don Barrejo.

La bella taverniera fu pronta ad accorrere.

- Hai veduto anche tu quei tre signori che hanno vuotato aquel tavolino almeno sette od otto bottiglie?

- SíPepito mio.

- Sono usciti di quisí o no?

- Se non ci sono piú seduti intorno al tavolinovuol direche se ne sono andati.

- Avete capitosignor ufficiale? - chiese il guascone. -Erano in tre e io non son uomo da ammazzare come cani tre cristianiper poigettare i loro cadaveri... dove? Non abbiamo nemmeno il pozzo in questacasaccia. Mi pare quindi impossibile che tre uomini di carne ed ossa sianoscomparsi senza lasciare traccia di sé. Che fossero dei diavoletti? Si dice chese ne trovino fra quei cani dei filibustierialmeno cosí affermano i fratidella cattedrale.

- L'uomo biondo non era di certo un diavolopoiché eratroppo buono cattolico- rispose l'ufficialeil quale pareva preoccupato.

- Vuotiamo alcuni bicchieri ancorapoi procederemo ad unavisita rigorosa alla mia casa. Oh!... Aspettate!... Ho in cantina una bottigliache conta venticinque anni e quattordici giornilo so ci certoperché l'hopresa in mano quest'oggi.

“Volete che l'assaggiamosignor ufficiale?”

- Vada pure la bottiglia vecchia- rispose il capo dellaronda. - Avremo sempre tempo di visitare la vostra casa.

- Panchitaun lume!... - gridò il guascone. - Dammi anchela mia draghinassaperché questa istoria di uomini scomparsi mi ha un po'guastato il sangue.

Prese l'uno e l'altra ementre l'ufficialeapprofittandodella sua assenzafaceva gli occhietti dolci alla bella tavernierascese lascala che conduceva in una profonda e molto spaziosa cantinaoccupata in buonaparte da botti e da barilotti.

Nel passare dietro il banco peròil furbo compare si eraimpadronito di un fascio di tovaglie.

Aveva appena messo i piedi sull'ultimo gradinoquando sivide precipitare addosso Buttafuoco e Mendoza.

- Dunque?... - chiesero ad una voce alta i due avventurieri.

- La va maleamici. Quel Pfiffero era sorvegliato e la rondaè venuta a chiedermi che cosa ne ho fatto.

- Bisogna farlo sparire- disse Mendoza.

- Cacciarlo dentro la botte di Xeres?

- Almeno là non andranno a cercarlo.

- Io ho trovato di meglio- rispose il guascone.

- Di' su.

- Voglio farvi fare la parte dei fantasmi.

- Sei pazzodon Barrejo?

- Vi dico che se non riusciamo a spaventare quei trepoliziottile nostre faccende finiranno malepoiché intendono di fare unavisita minuziosa alla mia casa ed alla cantinaper cercare quel maledettoPfiffero.

- Che cosa vuoi che facciamo? - chiese Mendozaa cuisorrideva l'idea di far la parte dello spauracchio.

- Vi ho portato qui delle tovaglie che indosserete quandol'ufficiale e gli alabardieri scenderanno. All'estremità della cantina poi visono dei ferrivecchi e vi troverete anche delle catene.

“Fingetevi spettri o diavoli e vedrete che corsa prenderàla ronda!”

- Risali? - chiese Mendoza.

- Devo portare sopra un paio di bottiglie ancorache farannogirare completamente la testa a quei brav'uomini.

“Fra un quarto d'ora cominciate a rumoreggiare. Io rispondodi tutto.”

- E se quei tre poliziotti non credessero affatto aifantasmi? - chiese Buttafuoco.

- Tonnerre!... Allora impegneremo risolutamente lalotta e nessuno di loro uscirà vivo dalla cantina- rispose il guascone. - Vilascio il lume che vi raccomando di spegnere dopo che avrete ben nascosto dietrole botti quel Pfiffero ubbriacone.

Il bravo taverniere passò in rivista la sua bibliotecaformata di bottiglie di prima marcaalmeno cosí assicurava luine prese dueche sembravano molto venerande e risalí la scalaimpugnando la draghinassa.

L'ufficiale stava in quel momento accarezzando il mento dellabella castigliana. Don Barrejo finse di non vedere nulla e si precipitò versoil tavolosbuffando come una foca.

- Pepito mio! - gridò Panchitafingendosi spaventata. - Checos'hai?

- Io non so- rispose il guasconedeponendo sul tavolo ledue bottiglie- ma dopo la comparsa di quell'uomo vestito di nero e dai capellibiondi e la sua scomparsa misteriosasuccedono qui certe cose che miimpressionano profondamentemoglie mia.

I tre soldati erano diventati un po' pallidicosa d'altrondenon sorprendente in quei tempiin cui tutti credevano alle apparizioni deidiavolidei follettidelle streghe e degli spettri.

- Che cosa avete veduto? - chiese l'ufficiale.

- Posso essermi ingannatoeppure giurerei di aver scortoall'estremità della cantinauna figura bianca che danzava intorno alla miebotti.

- Volete spaventarcitaverniere?

- Niente affattosignor ufficiale. Non vi pare che io siapallidissimo?

- Veramente lo eravate anche prima.

- Noperché la mia pelle è sempre abbronzataè veroPanchita?

- Verissimo- rispose la castiglianala quale si studiavadi secondare il maritosenza sapere che cosa stava per succedere.

- Mi viene un sospettosignor ufficiale- riprese ilguasconeil quale stava sturando le due bottiglie.

- Quale?

- Che quell'uomo vestito di nero non fosse affatto un buoncristiano e che invece di uscire dalla porta si sia tramutato in uno spirito persucchiarmi tutto il vino della mia cantina.

- Che storie ci narratetaverniere? - chiese l'ufficiale. -Io ho conosciuto quel signore e vi posso garantire che è un buon cattolicopoiché il marchese di Montelimar non prende ai suoi servigi degli eretici.

- Il marchese di Montelimar! - esclamò don Barrejo. - Chiè?

- Alto làtaverniere- rispose l'ufficiale. - Voi nonavete il diritto di conoscere i segreti della polizia di Panama.

- Allora beviamo.

Il guascone stava per empire i bicchieriquando sotto terrasi udirono dei rumori indistinti e tuttavia non meno impressionanti. Pareva chedelle persone martellassero delle lastre di ferromentre altre si divertivano atrascinare catene o ferravecchi.

L'ufficialei due alabardieri e Panchita erano balzati inpiedimentre don Barrejo si lasciava cadere su una sediamandando un sospironeche avrebbe intenerito perfino i sassi.

- Chi produce questo baccano? - chiese l'ufficialesfoderando la sua spada.

- È l'anima dell'uomo che voi cercateve l'assicuro io-disse don Barrejo. - L'ho scorto nella mia cantina.

- Volete burlarvi di noitaverniere?

- Burlarvi!... Andiamo dunque a vedere!... Siamo in quattro ebene armati e anche mia mogliese vuolesa maneggiare benino il spiedo.

Il guascone aveva pronunciate quelle parole con tantagravità che le guardie della ronda erano rimaste non poco impressionate. Quellastoria di diavoletti nella cantina e la scomparsa misteriosaassolutamenteinesplicabile per loro che ignoravano come fossero andate le cosecominciava aseccarli moltissimo.

L'ufficiale vuotò un bicchiere pieno di vecchia Malagachedoveva fargli girare non poco la testapoiasciugandosi i baffi col dorsodella manodisse con voce gravevolgendosi verso i due alabardieri:

- Noi dobbiamo compiere il nostro doverecameratieriportare al signor marchese il corpo o l'anima di quel signore che è venutoqui a bere.

“Vuotate anche voi un altro bicchiere per farvi animo eandiamo a vedere che cosa succede nella cantina di questa taverna.

Por Dios!... Siamo uomini d'armi!...”

- Panchita!... - gridò don Barrejo. - Prendi lo spiedo tu eporta un altro lume.

- Ne avevi già uno quando sei sceso nella cantina- risposela castigliana.

- L'ho lasciato cadere quando mi è sembrato di vedere lospettro dell'uomo biondo.

- Tu finirai per diventare un don Fracassamarito mio.

- I miei malanni li pagano i meticci che vengono qui a bereil mezcaltu già lo sai.

“Siamo pronti? A me il lume ecorpo d'un cannone!...voglio battagliare cogli spettri se realmente si sono rifugiati nella miacantina.

“Signor ufficialevi prego di starmi molto vicino.Sapete... io non sono un uomo d'armi e non ho maneggiato fino ad oggi altro chebottiglie.”

- Ci siamo noi- rispose il capo della rondaa cui parevache la vecchia Malaga avesse dato un gran colpo alle gambe. - Siete prontialabardieri?

- Sísignore- risposero i due soldatii quali non sitrovavano in migliori condizioni.

- Partiamo e non diamo quartiere né ai diavoliné aifollettiné ai fantasmi. Caramba!... Metteremo a soqquadro la cantinadella taverna d'El Moro.

Ed i tre poliziottipieni di ardore pel troppo vino bevutosi mosseropreceduti da don Barrejo il quale reggeva la lampada ed impugnavafieramente la sua fida draghinassa e seguiti dalla bella castigliana armata d'unformidabile spiedo.

 

 

Capitolo III

LA CACCIA AI FANTASMI

 

I quattro uominiben decisi a liberare la cantina dellataverna d'El Moro dall'anima dell'uomo biondo e scialbopoiché ormaianche nell'animo delle guardie era nato il convincimento che fosse qualchedemonios'impegnarono nella lunghissima scalala quale contava non meno di unacinquantina di giardini.

Scesi però i dieci primi gradinidon Barrejo credetteopportuno di fare una breve sosta e di trinciarecolla sua draghinassaunagran croce.

Come se i fantasmi si fossero subito accorti di quel segnocristianoripresero a martellare ferramenta ed a trascinare catenesbattendolecontro le bottie producendo cosí un fracasso veramente infernale.

L'ufficiale e le due guardie avevano rimontato sollecitamentequalche gradinourtando la bella castiglianala quale teneva ben alto lospiedo.

- Signor ufficiale- disse il guasconesimulando un grandespavento. - Volete lasciarmi solo alle prese coll'anima di quell'uomomisterioso?

- Nonoprendo solamente un po' di fiato- risposel'altroil quale era pallidissimo.

- Dovevate bere qualche gocciolo ancoraprima diavventurarvi in queste catacombe.

- È vasta dunque la vostra cantina?

- Io non sono mai riuscito a percorrerla tutta. Si dice chefinisca nell'ossario del cimitero di città.

- Brrr!... - fece l'ufficiale. - Non potevate trovare dipeggio.

- Si diceperò io non ho mai potuto verificare questo.

- Io non vorrei possedere una simile cantinamio carotaverniererispose l'ufficiale.

Le guardie doppiamente impressionate da quella rivelazioneche non s'aspettavanoesitarono un poco prima di riprendere la discesa.

Se si fosse trattato di misurarsi con degli indios bravoso con dei filibustierisenza dubbio avrebbero fatto bravamente il loro doveresenza farsi pregarema quella storia di spettri che già si facevano udire e diossarimetteva nel loro animo uno sgomento d'altronde perdonabile in queitempi.

- Andiamodunque? - Chiese don Barrejoil quale facevatremolare la lampada per simulare un crescente spavento. - Qui bisogna prendereil coraggio a due manicaramba.

- Fate lume- rispose l'ufficiale. - Mi pare che la vostramano oscilli troppo.

- Canarios!... Sono dinanzi a tutti e sarò il primo avenire acciuffato e portato all'inferno o nell'ossario. Pensate che io ho unamoglie e bellina per di piú.

- Mostrate dunque il vostro coraggio dinanzi a lei.

- Se è per Panchitascendo subito ed accoppo tutti glispiriti che infestano la mia cantina- rispose il guasconeil quale frenava agran pena le risa.

Rialzò la lampadatracciò in aria un altro segno dellacroce equantunque nella cantina si udissero sempre sbatacchiare catene controle botti e di quando in quando degli ululati che parevano uscire dalle gole dilupi arrabbiatiriprese animosamente la discesanon senza biascicare delle avemarie. Giunto al venticinquesimo gradinoossia quasi alla metàil guasconetornò a fermarsi.

- Signor ufficiale- disse con voce alterata. - Le mie gambenon mi reggono piú.

- Non vi mostrate un poltrone dinanzi a vostra moglie-rispose il capo della ronda. - Qualcuno bisogna bene che vada innanzi e voi solosiete pratico di questa cantina.

“E poi non siamo noi quipronti ad appoggiarvi?”

- E non udite questi rumori?

- Non sono sordo.

- Da che cosa credete che provengano?

- Lo sapremo quando saremo giunti abbasso. Orsútaverniereun po' di coraggio ed impugna ben salda la tua draghinassa.

- E se ci fossero veramente dei fantasmi? - disse una delledue guardiecon un certo tremolío nella voce. - Sapete benecapoche non siuccidono.

- E che le alabarde passerebbero attraverso ai loro corpicome in mezzo ad una nube di fumo- aggiunse l'altra.

- Noi non li abbiamo ancora veduti- rispose l'ufficiale. -Se compariranno davvero... vedremo che cosa converrà fare.

- Sí darcela a gambe al piú presto- disse don Barrejo.

L'ufficiale non rispose. Si trovava troppo imbarazzato a dareuna risposta contraria.

Tirato il fiatoil guascone si decise finalmente a scenderegli altri venti o venticinque gradini ed a raggiungere il fondo.

La cantina s'apriva dinanzi a loroampiaaltissima ecomeabbiamo dettoben fornita di botti piú o meno piene.

Uno spettacolo terrificantetale da far gelare il sangueanche ad un filibustiere s'offerse allora agli occhi delle tre guardie e delcantiniere.

I gemitile urlai fragori di ferramenta erano cessati edinvece erano comparsi improvvisamente due spettrii quali erano saltati giúdalle ultime botti delle due filemettendosi subito a girare su se stessi efacendo vivamente agitare i loro drappi bianchi.

Don Barrejo aveva cacciato un urlo ed aveva subito lasciatacadere a terra la lampada.

- Scappiamo!...Scappiamo!... - aveva gridato con vocestrozzata.

Le tre guardie avevano già voltate le spalle e stavanoarrampicandosi affannosamente su per la scalaspingendosi innanzi Panchita laquale strillava come se la scorticassero.

In pochi istanti si trovarono tutti nella taverna. Le guardieerano pallide ed affannate e pareva che non avessero piú voce.

Fortunatamente vi era ancora del vino sul tavolo ed un paiodi bicchieri di vecchio Xerescacciati un dietro all'altrodiedero unpo' di animo ai disgraziati.

- La tua cantina è maledetta- disse l'ufficialeappenapoté tirare il fiato. - Erano ben dei fantasmi quelli?

- Se lo erano!... - esclamò Don Barrejo. - Chiedetelo allevostre guardie ed a mia moglie.

- Sísícapo- si affrettarono a confermare i duealabardieri.

- Erano dei veri spettri.

- Allora mio carocavatela come puoi- disse l'ufficiale. -Io non mi occupo di questi affari.

“Aprici.”

- Come!... Ve ne andatesignore ufficiale? - strillòPanchitala quale si era abbandonata su una sediasimulando uno spaventoimpossibile a descriversi.

- I soldati non hanno mai battagliato contro le ombrebellamia- rispose il capo della rondail quale non vedeva il momento di trovarsiall'aperto. - Le nostre spade e le nostre alabarde non ci servirebbero a nulla.

- E dove volete che andiamo a dormire? Sotto la pioggia? -disse don Barrejoil quale fingeva di strapparsi i capelli.

- Andate a bussare alla porta di qualche vicino.

- Dovrò allora raccontargli il motivo per cui io e miamoglie siamo fuggiti e domani tutto il quartiere saprà che la mia cantina èfrequentata dagli spiriti dell'ossario.

- E saremo completamente rovinati- sospirò la bellacastigliana.

- Io non so che cosa farvimiei cari- rispose l'ufficialeil quale fissava la porta della cantina rimasta apertacome se temesse di vedercomparireda un momento all'altrouno di quei due spettri giganti. - Io nonposso darvi che un consiglio.

- Dite susignor ufficiale- piagnucolò don Barrejo.

- Di recarvi domani mattina dal Padre Superiore del conventopiú vicino e di pregarlo di mandarvi una mezza dozzina di frati con delle crocie con molta acqua santa.

- Rimanete qui fino a domani?

- Nomio caro tavernierene abbiamo abbastanza dei misteriche si succedono qui. Domani in pieno giornoverremo forse a ritrovarvi persapere qualche cosa. Aprite ora e lasciateci andare.

- Piove ancora al di fuori.

- Preferisco prendermi dell'acquapiuttosto di scendereancora nella tua cantina. Andiamo camerati.

Don Barrejofingendosi disperatoaprí la porta dellataverna e tutticompresa Panchitauscirono sulla via.

- In quel momento passavano alcuni nottambulinon curantidella pioggia che continuava a cadere a catinelle.

Vedendo aprirsi la taverna ed uscire delle persone che subitonon avevano potuto scorgerepoiché le guardie si erano bene avviluppate neiloro ampi mantellisi accostaronoed uno della comitivaquantunque sembrasseabbastanza alticciochiese:

- Si può bere una bottiglia?

- Eccovi in buona compagnia- disse l'ufficiale a DonBarrejo. - Queste brave persone non se ne andranno finché offrirete da bere.

- E chi è che andrà in cantina a prendere le bottiglie sevi sono i fantasmi?

- Comevi sono i fantasmi nella vostra casa? - chiese unaltro della comitivafacendosi precipitosamente il segno della croce.

- Si caballerose cosí terribili che hanno fattoscappare perfino le signore guardie.

I nottambuli non ne vollero sapere di piú s'allontanaronocorrendomentre le guardie se ne andavano pure dall'altra parte rasentando imuri delle case.

Don Barrejo attese che il rumore dei passi fossecompletamente cessatopoi rientrò nella taverna ementre sua moglie siaffrettava a chiuderesi gettò su una sedia ridendo a crepapelle e con talefragore da attirare perfino l'attenzione dei due fantasmii quali non tardaronoa comparire sulla porta della cantinafacendo svolazzare le candide tovaglieche li coprivano.

- Vade retro Satana!... - gridò il guasconeimpugnando una bottiglia. - Tu puzzi troppo di zolfo.

Mendoza che era dinanzisi sbarazzò delle tovaglie e siprecipitò verso il tavolinoseguito da Buttafuocoil qualeforse per laprima volta dopo tanti annisi permetteva pure di ridere allegramente.

- Rajo de Sol!... - esclamò il bascoafferrando purelui una bottiglia che non era stata ancora interamente vuotata. - Ti proclamodon Barrejoil piú grande ed il piú furbo guascone che la terra deglispadaccini e degli avventurieri abbia allattato.

- Síun brav'uomo- confermò Buttafuocoil quale cercavapure di bagnarsi la gola.

- Sono scappati come lepri- rispose don Barrejo. - Ah!...Che commediaamici!... Io non so come abbia fatto a trattenere fino a questomomento le risa. Non ne potevo proprio piú.

- Che ritornino? - chiese Mendoza.

- Ecco quello che temo. Sono capaci di venire ancora quiaccompagnati forse da una mezza dozzina di frati. Ecco quello che io temoamici.

“L'avventura non finirà certamente quianche perché ilmarchese di Montelimar vorrà sapere che cosa è successo del corpo o dell'animadi compare Pfiffero.

“Questo fiammingo comincia a diventare pericolosissimoanche se è ubbriaco morto. Vi pare signor Buttafuoco?”

- Purtroppo prevedo dei grossi guai ora che il marchese hadei sospetti su di noi e che ci fa pedinare dovunque dalle sue spie- risposeil bucaniere.

- Allora io ritorno sulla mia prima ideadisse il guascone.- Scendo in cantinascoperchio la botte e ve lo getto dentro.

“Per un ubbriaco deve essere una morte dolcissima quella difinire affogato dentro dieci ettolitri di Xeres.”

Che poi dovresti gettar via- disse Mendoza.

- Ma che!... Domani lo ripescoscavo una buca e loseppellisco in qualche angolo della cantina. In quanto al vino vedrai che sapròvenderlo egualmenteanche se ha conservato un morto per dodici ore.

- Ah!... Canaglia!...

- Oh!... I meticci e gl'indiani non hanno il palatoraffinato.

- No- ripeté per la seconda volta Buttafuoco. - Io pensoche quell'uomo potrebbe diventare per noi preziosissimo.

“Se ècome sembrail confidente del marchese diMontelimarnoi potremo sapere da lui molte cose preziosissime.”

- E se domani il marchese manda altre persone a cercarlo? Selo scopronomi appiccanosignor Buttafuoco.

- Che non vi sia qualche nascondiglio nella tua cantina? -chiese Mendoza. - In casa non hai qualche granaio?

Don Barrejo stette un momento silenziosopoi picchiò unpugno sulla tavolaesclamando:

- Ho trovato!... Anch'io ho scoperto l'America!...

- Ehiguasconehai il cervello guasto? - chiese Mendoza. -Che i fantasmi abbiano fatta anche a te troppa impressione?

- I cervelli dei guasconi sono chiusi dentro il cranio condue file di vitiamicoe non si rovinano cosí facilmente. Io ti dico che hotrovato un magnifico nascondiglio.

- Udiamodisse Buttafuoco.

- Giorni fa ho acquistata una botte nuovissimacosí ampiada contenerci tutti insieme e che io contavo di empire di mezcal. Prendocompare Pfiffero e lo caccio là dentrocosí almeno non correrà piú ilpericolo di morire gonfio di Xeres come un otre.

- L'hai proprio colle botti tu! - esclamò Mendoza.

- Non sono forse diventato un taverniere?

- E se le guardie tornano non vi sarà pericolo che comparePfifferocome lo chiami tusi metta ad urlare anche dentro la sua botte e titradisca?

- Mai piú!...

- E perché?

- Perché appena mi accorgo che si svegliainvece di dargliun bicchiere d'acqua zuccherata gli vuoto in gola una bottiglia intera di aguardientee torno ad ubbriacarlo.

Tu sei diventato piú feroce d'un caimanodopo il tuomatrimonio- disse Mendoza.

- Ma nosignor mio- protestò la bella castigliana- anziè diventato piú mansueto d'un agnelloil mio Pepitodopo che si è sposato.

- Lasciamo stare Pepitoche qui non c'entra affattoedoccupiamoci subito di quel Pfiffero.

“Approvate la mia idea?”

- Se non c'è di megliocacciamolo pur dentro la botte perora- disse Buttafuoco. - Ve lo faremo rimanere d'altronde il meno che saràpossibilepoiché avremo noleggiata una scialuppa e fileremo in cerca diRaveneau de Lussan.

- Bada di non ubbriacarlo troppoquel povero diavolodesseMendoza. - Non vogliamo che muoia.

- Per chi mi prendi? - rispose il guascone- per l'ultimotaverniere che esiste in tutte e due le Americhe? Gli darò da bere solamentedell'aguardiente finissimoche costa a me non meno di quattro piastre labottiglia.

- Sbrighiamo allora questo affare e poi andiamocene- disseButtafuoco. - La señorita Ines di Ventimiglia sarà molto inquieta e nonsi sarà certamente ancora coricata.

- Come!... Vi riceve di notte? - chiese don Barrejo.

- Non osiamo farci vedere di giorno. Le precauzioni non sonomai troppe quando si è impegnata una partita con un Montelimar.

Presero i lumi e scesero nella cantinagiungendo ben prestoall'estremità delle due file di botti.

Colà si trovava un enorme recipiente che pareva una piccolatorre messa a guardia dei Xeresdegli Alicanti e dei Malagacapace di contenere nel suo internoe senza alcuna difficoltàalmeno quattrouomini.

- Come vedete la botte è proprio nuova- disse don Barrejo- quindi il Pfiffero non correrà alcun pericolo di asfissiarsi.

Prese un martello e assalí i cerchi superioriper smuoverele doghe e levare il coperchio. Mendoza e Buttafuoco lo aiutavano alla meglionon essendo pratici in quel mestiere che il guascone invece conosceva ormai afondoforse meglio d'un bottaio.

- Il nido è pronto a ricevere il merlotto- disse donBarrejodopo alcuni minuti. - Andatemi a cercare il Pfiffero mentre levo ilcoperchio.

Il disgraziato fiammingo russava beatamente sotto le botticome se si trovasse nel suo letto.

Buttafuoco e Mendoza presero quel corpo inerte e lo passaronoal guasconeil quale lo lasciò caderesenza troppi riguardiin fondo almonumentale recipientemettendo poi subito a posto il coperchio in modo peròche non combaciasse perfettamenteonde l'aria potesse liberamente circolare.

- Sfido chiunque ad andarlo a scovare- disse don Barrejoquand'ebbe finito.

- Si ode però che qualche cosa respira o russa li dentro-disse Mendozail quale aveva appoggiato un orecchio alle doghe.

- T'inganniamico- rispose il guascone. - È il vino buonoche bolle. Forse che non borbotta quando comincia a fermentare?

- Sei meravigliosodon Barrejo- disse Buttafuoco. - Iosono certo che con l'aiuto di voi due non sarà cosa difficile a me di condurrela señorita di Ventimiglia nel paese di sua madre a raccoglierel'eredità lasciatale dal Gran Cacico.

- Volete diresignor Buttafuocoche voi contate fin d'orasulla mia draghinassa- disse don Barrejo.

- Siamo venuti qui per portarvi via con noi. Non ne aveteabbastanza di fare il tavernierevoi che siete un gentiluomo piú atto amaneggiare le armi che le bottiglie?

- Cominciavo infatti ad annoiarmi mortalmente ed arimpiangere i bei tempi passatiquando sotto il figlio del Corsaro Rosso simontava all'assalto di qualche nave o di qualche casa almeno una volta allasettimana.

“E mia moglie?”

- Lasciala qui a condurre la taverna- disse Mendoza. -Quando noi torneremo non avrai piú bisogno di vendere vino e Panchita potràsfoggiare gioielli e bei vestiti finché vorrà.

“Signor Buttafuocoandiamo.”

Risalirono in frettasi gettarono addosso i loro mantelloniprovarono a far scorrere le spade ed i pugnalie dopo d'aver accarezzato ilmento alla bella castigliana senza che don Barrejo trovasse di che direilfilibustiere ed il bucaniere uscirono cautamente in istrada.

Pioveva sempre a dirotto ed un ventaccio impetuoso e quasifreddo sbatacchiava le finestre delle case e le monumentali insegne dei negozi.

In lontananza si udiva l'oceano Pacifico muggiresinistramente e rompersi contro le calate del porto.

- Quando ci rivedremo? - chiese don Barrejo.

- Se domani avremo bisogno di tesegui il ragazzetto indianoche ti ha portata la nostra lettera- rispose Buttafuoco. - Intanto noicercheremo il modo di sbarazzarti al piú presto del fiammingo per noncomprometterti e...

Il bucaniere si era bruscamente interrottomettendo manoalla spada.

- Chi si avanza? - si chiese con inquietudine.

Degli uominicinque o seitutti chiusi in cappe grigie eche tenevano in mano delle lanternes'avanzavano verso la tavernaborbottandodelle preghiere.

- Un funerale a quest'ora? - si domandò Mendoza.

Subito però ruppe in uno scroscio di risa. Aveva capito diche cosa si trattava.

- La polizia ha avvertito il Padre Superiore del vicinoconvento che la tua cantina è infestata dagli spiriti ed ecco i frati chegiungono solleciti per benedire le tue botti d'acqua santa.

“Fa' loro buona accoglienza e cavatela come puoi. SignorButtafuocofiliamo!...”

I due avventurieri si allontanarono velocementementre i seifratipreceduti da un sagrestano zoppoche reggeva un grosso recipiente diacqua santasi fermavano dinanzi alla taverna.

Avevano appena svoltato l'angolo della viaquando un uomoche fino allora era rimasto confuso colla fitta ombra proiettata da un vecchioporticatosi slanciò sulle loro tracce.

 

 

Capitolo IV

LA SCOMPARSA DELLA CONTESSA DI VENTIMIGLIA

 

Il bucaniere ed il filibustieremessi in buono umore daivini tracannati alla cantina d'El Morose ne andavano tranquillamenteper la loro viaprendendosi filosoficamente la pioggia torrenzialela quale siostinava a non cessare.

Né l'uno né l'altro si erano accorti dell'uomo che si eralanciato sulle loro tracce e chepassando attraverso a delle viuzze note a luisolocercava di sopravanzarli.

Il ventaccio rumoreggiava sui tetti delle casefacendodiquando in quandovolare delle tegole e rovinare il comignolo di qualche camino.I tuoni ed i lampi si univano alle raffiche che l'oceano Pacificodiventatooceano rabbiososcaraventava con inaudita violenza sulla città addormentata.

Avevano percorse già una decina di vie fangose e sfondatepoiché in quell'epoca gli spagnuoli non si curavano gran che della viabilitàoccupati come erano a difendersi dai continui attacchi dei filibustiericheinterrompevano i loro fiorenti commerciquando giunsero dinanzi ad una casettaa due pianidi bell'aspettosulla cui porta si leggevasu una insegnamonumentaleil seguente titolo:

 

Posada del Rio Verde

 

- Ci siamo- disse Mendoza. - Che la señorita Inesdi Ventimiglia ci aspetti ancora?

- Ha nelle sue vene sangue indiano- rispose Buttafuoco. -Abbiamo fatto però tardi.

- Vedo brillare un lume attraverso le persiane d'unafinestra. O la señorita o il mio fido bucaniere Wandoevegliano:

Stavano per avvicinarsi alla porta dell'albergoquando unuomo tutto avvolto in un ampio ferraiolosbucò da una via laterale e con tantafuria da urtare malamente Mendoza.

- Ehiamicoavete bevuto? - esclamò il basco. - Girate allargo perché io ho l'abitudine di non farmi urtare due volte dal primomascalzone che incontro di notte.

Lo sconosciuto aveva fatto tre o quattro passi indietro e siera aperto il mantellonedicendo:

- Mi parecaballeroche mi abbiate chiamatomascalzonese non sono diventato sordo.

- Ciò che vi augurodi tutto cuore- rispose il bascoironicamente.

- Giacché dunque non sono sordo- riprese lo sconosciuto-ho potuto raccogliere benissimo la vostra offesa.

- E cosí?

- Vorrei sapere con chi potrei incrociare la mia spada pervedere se sarà degno di me.

- Chi siete voi dunque?

- Don Ramon de los Montesfiglio d'un grande di Spagna.

- Ah!... Figlio di papà!...

- Scherzate meno e ditemi chi siete.

- Io non sarò indegno di voidon Ramon de los Montespoiché io sono il conte don Diego de Alcalà y Veragrua e duca di Sabalioz.

- E... l'altro? - chiese il figlio del grande di Spagnaoalmeno quello che si spacciava per tale.

- Non avendovi dato del mascalzonesignor de los Montespreferisco per ora serbare l'incognito. Vorrei invece pregarvi se non sarebbemeglio rimettere a domani questa questioneche mi pare molto sospettapoichéio credo voi figlio d'un grande di Spagnaquanto io sono figlio di Montezumail disgraziato imperatore del Messico.

- Come!... - gridò lo sconosciutogettando a terra ilmantellone e snudando rapidamente la spada. - Mi si dà del mascalzonee poi sipongono anche in dubbio i miei titoli? ah!... Caramba!... Questo ètroppo!...

- Si direbbe che voi andate in cerca di questioni- disseButtafuocoa cui era sorto un sospetto.

- Canarios!... io sono l'uomo piú tranquillo delmondoma quando mi s'importuna allora divento anche uno dei piú terribili.

“Qui si è insultato il figlio d'un grande di Spagna e quiil sangue scorreràsignori mieiperché io sono ben risoluto a non lasciarviandare indisturbati.

“Se non volete batterviseguitemi al piú vicino posto dipolizia.”

- Tu non sei altro che un miserabile avventuriero in cerca dicolpi di spadapessima canaglia- disse Mendozaestraendo a sua volta laspada.

- O meglio pagato da qualcuno per darci delle noie-aggiunse Buttafuoco. - Quante piastre ti hanno fissato per ognuna delle nostrepelli?

- Canarios!... Questo è troppo!... - gridò losconosciutofacendo un salto contro il muro della posada per non farsisorprendere alle spalle.

- Allora finiamola alla lesta- disse Mendoza. - Voi state aguardarmiper ora; se cadrò mi vendicherete.

- Lo inchioderò contro la parete come una lucertola-rispose Buttafuocomettendo pur mano alla spada.

Mendozacome già sappiamoera uno spadaccino di primoordineche valeva non meno del terribile guascone don Barrejo.

Desideroso di sbrigare presto la faccendapel timore chesopraggiungesse qualche rondaattaccò risolutamente l'avversario vibrandogliuna dietro l'altra tre o quattro fulminee stoccateparate appena in tempo.

- Canarios!... - esclamò lo sconosciutoun po'sconcertato. - Chi è stato il vostro maestro?

- È inutile che ve lo dica- rispose Mendozail quale nongli lasciava quasi nemmeno il tempo di rimettersi in guardia. - Quando vi avròvibrata la stoccata dei Tre Corsarivoi rimarrete inchiodato contro la paretequindi non avrete piú il bisogno dell'indirizzo del mio maestrobensí di unpassaporto per l'altro mondo.

- Ehicorrete troppomio signore.

- Aspettate un po' e vedrete un colpo meravigliosol'ultimoperò per voi.

I due spadaccininon curanti della pioggia che non cessavadi caderesi scambiavano stoccate con grande accanimento. Il fragore dellespade non si udivapoiché il tuono continuava a rumoreggiare ed il vento adululare fra i comignoli delle case.

Lo sconosciutodopo qualche minutosi trovò obbligato arompere ed appoggiarsi quasi alla parete. Sembrava molto sorpreso di avertrovato un avversario cosí formidabilementre forse aveva sperato disbarazzarsi di entrambi con pochi colpi di spada.

- Signor figlio d'un grande di Spagna- disse Mendozamentre una folgore attraversava la piazzaseguita da uno schianto terribile. -Preparatevi alla partenza che non ha ritorno.

Stava per tornare all'attaccoquando una finestra della posadasi aprí ed una voce d'un uomo chiese:

- Chi si ammazza davanti al mio albergo?

- È l'amico Mendoza che si diverte un po'- disseButtafuocoalzando la testa. - Lascia fareWandoefra poco tutto saràfinito.

“Porta invece una torcia ed un archibugio.”

- Canaglie!... - gridò lo sconosciutofacendo una rapidamossa di fianco per prendere piú campo. - Avete degli amici qui ed ora mifarete assassinare a colpi d'arma da fuoco.

“Non è agire da gentiluomini questo.”

- Basterà il colpo dei Tre Corsari- rispose Mendozachiudendogli prontamente il passo e costringendolo ad appoggiarsi alla parete. -A tebanditoprendi questo per ora!...

- Ed anche tu questa - rispose lo sconosciutoil quale sidifendeva disperatamentechiamando in suo soccorso tutte le risorse dellaterribile arte della scherma.

Mendoza parò la bottapoi tutto d'un tratto si abbassòverso terraappoggiandosi sulla mano sinistra e andò a fondo.

Lo sconosciuto aveva mandato un gridopoi aveva lasciatacadere la spadaappoggiandosi contro il muro.

Aveva ricevuta una magnifica stoccata nella spalla sinistradal basso in alto.

Mendoza ritirò lentamente la lamala cui punta si eraarrossata contro la scapola dell'avversario e fece un gesto di malumore.

- Troppo alto - disse. - Avrei dovuto attraversargli ilcuore.

In quel momento il preteso figlio del grande di Spagnavintodal dolore intenso causatogli da quel terribile colporovinò al suolorimanendo inerte.

- Morto? - chiese Buttafuoco.

- Ohno- rispose Mendoza. - La ferita però deve esseredolorosissima.

In quell'istante la porta della posada ed un uomo dialta staturache rassomigliava stranamente a Buttafuocopure molto barbuto emolto abbronzatocomparveportando in una mano una lanterna e nell'altra unlungo archibugio.

- Che cosa succede quiamici? - chieseavvicinandopremurosamente al bucaniere ed al filibustiereil quale stava asciugandotranquillamente la punta della lama.

- Non ne sappiamo piú di teWandoe- rispose Buttafuoco. -Questo mascalzone ci ha provocati e Mendoza ha approfittato dell'occasione perdargli una buona lezione di scherma.

- Non ci vedo chiaro in tutto questo- rispose ilproprietario della posada. - Questo furfante deve essere stato pagato dalmarchese per assassinarvi. Vediamo un po': ne conosco molti di questi sicari. Siavvicinò al feritoil quale pareva che fosse svenuto e gli proiettò in pienoviso i raggi della lanterna.

Ad un tratto un grido gli sfuggí e fece due o tre passiindietroesclamando:

- Ah!... Disgraziato!... Disgraziato!... L'avevo sospettato.

- Che cosa? - chiesero ad una voce Mendoza e Buttafuoco.

- Aiutatemi a portare a coperto quest'uomo- rispose Wandoe.- Non bisogna lasciarlo morire.

- Questi birbanti hanno la pelle dura e poi la sua ferita èpiú dolorosa che pericolosa. Ah!... Se l'avessi côlto un po' piú sottoallora non risponderei piú di lui.

I tre uomini sollevarono il ferito ed entrarono nella posadaarrestandosi in una vasta camera a pianterreno che era ancora illuminatalaquale conteneva solamente sei amache che in quel momento erano vuote.

Il ferito fu sollevato con molte precauzioni e deposto su unodi quei comodi e freschi giacigli.

Subito Mendozacon una navaja datagli da Wandoeglitagliò la casaccail giustacuore e la camicia e mise allo scoperto la ferita.

- Niente di grave- dissearrestando con un fazzoletto ilsangue che sgorgava in abbondanza.

La fasciò alla meglioaggiungendo:

- Ci occuperemo poi meglio di quest'uomo. Spiegaci oraWandoeil tuo sgomento che per noi è inesplicabile.

“L'hai veduto altre volte questo avventuriero?”

Wandoeil quale aveva un viso assolutamente sconvoltoguardò il bucaniere ed il filibustiere quasi con terrorepoi chiese con vocestrozzata:

- Non ve l'ha condotta?

- Chi? - domandarono ad un tempo Buttafuoco e Mendoza.

- La señorita.

- La señorita Ines di Ventimiglia?...

- Sí!... Sí!... - balbettò Wandoe.

- Tu sei impazzito? - gridò Buttafuoco. - Che cosa vuoidire?

- Non ho il coraggio di dirvelo. Ora comprendo che noi siamostati giuocati.

- Suvvia- disse il bucaniereil quale cominciava a perderela pazienza. - Spiegati una buona volta.

- Vi chiedo se ve l'ha condotta.

- Ma chi?

- La señorita di Ventimiglia- ripeté Wandoeconangoscia.

- Quell'uomo lí è venuto oggidopo il mezzodícon unbiglietto firmato “Buttafuoco” con cui la si avvertiva di lasciareimmediatamente la mia posadaessendo ormai stato scoperto il mio rifugiodal marchese di Montelimar.

Buttafuoco e Mendozaudendo quelle paroleerano rimasticome fulminati.

- La señorita scomparsa!... - esclamò finalmenteButtafuocomentre Mendoza si strappava un ciuffo di capelli. - L'hai veduta tuquesta lettera?

- La señorita me l'ha fatta leggereprima didecidersi a lasciare la mia posada.

- Ah!... Cane d'un marchese!... - urlò Mendozacon accentoferoce. - Ce l'ha fatta!...

- DimmiWandoe- disse Buttafuocoil quale avevariacquistato prontamente il suo sangue freddo. - La señorita non haavuto alcun sospetto?

- Nessunoperché quel biglietto portava la tua firma e giàsapeva che qualche cosa c'era in aria. Glielo avevi già detto tu che ilmarchese era ormai sulle vostre tracce.

- A che ora ha lasciato la posada?

- Verso le tre pomeridiane.

- Ed è uscita con quell'uomo lí?

- Si.

- Ne sei ben certo?

- Non posso ingannarmiperché avevo già oggi osservato sulviso di quell'avventuriero una profonda cicatrice che pare prodotta da un colpodi draghinassa.

- Mi stupisce però come la señorita non avesseintuito che si trattava d'un tradimento.

- Nessuno poteva sapere in Panama che Buttafuoco era qui-rispose Wandoe.

- È vero anche questo. Che polizia ammirabile ha quelmarchese! Ci ha portato un colpo mortaletuttavia noi non siamo uomini daperderci di coraggio.

“Occupati del ferito e curalo piú che puoi. Da lui sapremodove ha condotto la contessina di Ventimiglia.

“C'è il lume nel tuo gabinetto?”

- Síamico.

- Vieni Mendoza- disse Buttafuoco.

Aprirono una porta ed entrarono in una stanzina attiguacheserviva come di segreteria della posadae come la prima camera era pureilluminata.

Buttafuoco gettò via con dispetto il feltro ed il mantello esi sedette dinanzi ad un tavoloprendendosi il capo fra le mani.

Mendozache aveva scoperta sullo scrittoio una bottigliasiera affrettato ad impadronirseneper rimettersi meglio da tante emozionipassate.

- Orsúsignor Buttafuoco- disse il filibustiere empiendodue bicchieri. - Schiarite un po' le idee con questo Portoche Wandoe hacertamente serbato per noi. Verranno subito a galla come le sardine del maredell'Olanda.

- Io credomio caro- rispose il bucaniere- che noiabbiamo trovato un avversario degno di noi.

“È vero che aveva dato molto da fare al figlio del CorsaroRosso.

“Se noi non riusciremo a riavere nelle nostre mani la señoritapotremo rinunciare all'eredità del Gran Cacico del Darienpoiché la presenzadella figlia del Corsaro è assolutamente necessaria.”

- Lo so- rispose Mendoza. - I capi delle tribú nonconsegnerebbero il tesoro ai primi arrivati. Il difficile sta ora nellostrapparla nuovamente al marchese di Montelimar.

“Egli certamente aspettava pazientementeda anni ed anniil suo arrivo in Panamaper averla ancora una volta sottomano.”

- Che il nostro passaggio attraverso l'istmo sia statonotato? Io mi sono rivolto piú di cento volte questa domanda.

- E da chi? Chi poteva riconoscerci dopo sei anni d'assenza?

- Eppurecome vediappena abbiamo messo i piedi in Panamaabbiamo avuto intorno delle spie. Io non credo affatto che il marchese ti abbiariconosciuto mentre passeggiavamo sulle calate del porto.

- Vi deve essere qui sotto un misterosignor Buttafuoco. Iovorrei sapere innanzitutto il perché quel bucaniere inviato al conte diVentimiglia dal Gran Cacico prima di esalare l'ultimo suo sospiroci abbialasciati sbarcando sul continentecolla scusa di recarsi ad avvertire le tribúdel Darien dell'imminente arrivo della principessa.

“Non avete mai notato qualche cosa di doppio in quell'uomo?”

- Piú di quanto tu credi- rispose Buttafuoco.

- Che sia stato lui a tradirci per impadronirsi da solo deltesoro?

- Può darsiMendoza; però io conosco gl'indianiso quantosono cocciuti e non rimetteranno l'eredità del Gran Cacico che nelle mani dellaseñorita.

- E come faranno a riconoscerla?

- Da un tatuaggio misterioso che la contessina porta su unaspalla e che sarebbe come una specie di timbro reale.

- Allora siamo al sicuro contro qualunque mistificazione.

- Oh!... Per questo sí- rispose il bucaniere. - A noi oranon resta che far perdere nuovamente le nostre tracce alle spie del marchese edai suoi sicarie cercare di metterci al piú presto in relazione con Raveneaude Lussanpoiché senza l'aiuto dei filibustieri non potremmo raggiungere legrandi selve del Darien.

In quel momento entrò Wandoe portando un'altra bottiglia edei bicchieri.

- Come va dunque il ferito? - chiese Buttafuoco.

- L'uomo è robusto e la lama non ha offeso alcun organoimportante. Fra dieci o dodici giorni quell'uomo sarà perfettamenteristabilito.

- La botta era troppo alta- disse Mendozacon un certorammarico.

- Non dolertene- gli disse Buttafuoco. - Quest'uomo saràpiú prezioso vivo anziché morto.

Quindirivolgendosi verso il padrone della posadagli disse:

- Hai degli amici nel porto?

- I filibustieri che hanno ormai rinunciato al loropericoloso mestiere non mancano.

- A noi occorre una casetta isolata e non sospettataperpoter agire a nostro agio. Ormai non possiamo soffermarci né qui né allataverna di don Barrejo.

- Ho l'affar tuo- rispose Wandoedopo d'aver pensato unmomento. - Prima di mezzodí tu avrai una modesta casetta ese vorraiancheuna buona barca da pesca.

“Il proprietario dell'una e dell'altra è unex-filibustiere di Davidgraziato dagli spagnuoli e che ora fa il pescatoremain fondo è rimasto sempre un figlio della Tortue.”

- Non ti domando di piú. Questa sera noi prenderemo possessodell'alloggio e vi trasporteremo i due prigionieri.

- E come? - chiese Mendoza.

- Lascia fare a memio caro bascoe vedrai che noi lafaremo bella alle spie del marchese di Montelimar.

“Wandoehai sempre quel vispo ragazzo indiano?”

- Sempreamico.

- Dammi una penna ed un calamaio per scrivere a don Barrejo.Scommetto che quando riceverà la mia letteraquel pazzo di guascone rideràtanto da slogarsi le mascelle.

 

 

Capitolo V

IL VIAGGIO STRAORDINARIO D'UNA BOTTE

 

Scappati via Buttafuoco e Mendozail guascone era rimastosolo in mezzo alla stradasotto la pioggia torrenzialeguardando con una certaansietà i sei frati che indossavano delle cappe grigie e che portavano dei cerifumosii quali resistevano ostinatamente all'acqua.

Il venerando drappello formato da barbe grigiecome abbiamodettoera preceduto da un sagrestano zoppo che procedeva con delle strane mosseda ranocchio e che reggeva un secchio pieno d'acqua santa.

Il povero guascone sarebbe stato ben lieto di chiudere laporta in viso ai fratiquantunque buon cristianoe di andarsene subito adormirema a quei tempi non c'era da scherzare coi religiosi ed una qualunqueoffesa si poteva pagare assai cara.

Costretto a fare buona cera suo malgradodon Barrejoinvecedi chiudere la portaspalancò i due battenti e ricevette cortesemente le seibarbe grigiebaciando ad ognuna di esse il cordone per mostrarsi buoncristiano.

- A che cosa devo l'onore della vostra visita ad un'ora cosítardareverendi? - chiese. - Non vi è alcun morto qui da portare al cimitero.

- Vi sono però dei fantasmi- disse un frate rubicondo egrosso.

- C'erano una volta.

- Comec'erano una volta!... - esclamò il frateinarcandole sopracciglia. - È appena mezz'ora che è venuto da noi un ufficiale delleguardie ad avvertirci che la vostra cantina era piena di satanelli.

- Ora però non ci sono piúreverendopoiché poco fa sonodisceso e non ho piú udito nessun rumorené veduto nessun satanellonésatanasso.

- Noi vogliamo vedere bene dentro in questa faccenda-rispose il frate. - Le stregonerie non sono tollerate.

- Se i reverendi padri vogliono seguirmiandiamo pure a darela caccia ai fantasmi- disse il guasconeprendendo un lume e mettendosidinanzi al sagrestano-ranocchio che era piú bianco d'un cencio di bucato. Lesei barbe grigie scesero attraverso l'ampia scalauna scala quasi da palazzoegiunsero ben presto in cantinadove cominciarono subito a borbottare certepreci ed a trinciare una infinità di segni della croce.

Il guascone fingeva di borbottare anche lui qualcosa che nonsi capivae di quando in quando s'appoggiava contro il sagrestano-ranocchiomanifestando un grande spavento.

Quando le preghiere furono finiteil frate piú anzianocominciò a benedire le botti e le pareti per rimandare all'inferno spettri esatanelli.

Passando dinanzi alla grossa botte dove stava rinchiuso ildisgraziato Pfifferosi arrestò titubante.

- Che cos'è questo rumore che si ode lí dentro? - chieserivolgendosi al guascone.

- È vino nuovo che bollereverendo- rispose don Barrejocon grande serietà.

- Ne siete ben certo?

- Diamine!... Ce l'ho messo dentro tre giorni fa.

- Gorgoglia in un modo curioso.

- La cantina non è troppo frescaquantunque sia moltoprofonda.

- Dove sono comparsi i fantasmi?

- Precisamente qui.

- Quanti erano?

- Duereverendo.

- E il passaggio che conduce all'ossario del cimitero?

- Quale passaggio?

- L'ufficiale delle guardie mi ha detto che qui vi era unagalleria.

- Síuna voltareverendopoi è venuta una scossa diterremoto ed ha fatto crollare le vôlte.

Le sei barbe grigie fecero il giro della cantinacontinuandoa benedirementre don Barrejo cercava fra la botti un certo caratello che nonsarebbe dispiaciuto nemmeno ai reverendi.

- Padri- dissequando stavano per risalire la scalaormaipersuasi di aver relegati per sempre tutti gli spiriti maligni all'inferno. - Ionon ho dell'olio da offrirvi per le vostre lampadeperché sono un poverodiavolo. Accettate però pel vostro disturbo questo caratello di vecchioAlicante.

- Graziebuon figliuolo: servirà pei feriti che ricoveriamoal convento.

Don Barrejo lo mise sulle spalle del sagrestano-ranocchio ela comitiva ritornò nella taverna e quindi uscí nella via.

- Dieci giornate come questa- disse il guasconequando ifrati se ne furono andati e la porta fu chiusa- ed a temio povero donBarrejonon rimarrà altra alternativa che di chiudere bottega per mancanza divino.

“Che buco hanno fatto quest'oggi fra MendozaButtafuocoil Pfifferola ronda e poi i frati per sopra mercato.

“Al diavolo anche i fantasmi!

“Panchita!...”

Una voce che veniva dal di sopra rispose:

- Vieni a dormirePepito.

- Lascia che faccia i conti della giornata- rispose ilguascone. - Abbiamo lavorato molto quest'oggi. L'affare dell'eredità del GranCacico del Darien mi ricompenserà però largamente delle perdite- aggiunsepoi a mezza voce.

Stava per aprire un vecchio registrotutto sgorbio e macchied'inchiostrodove nessuno avrebbe potuto certamente raccapezzarsifuorché ilproprietario della taverna d'El Moro e sua mogliequando si udípicchiare alla porta.

- Tonnerre!... - esclamò il guasconeil qualecominciava a perdere le staffe. - È proprio scritto che questa notte io nondebba né fare i miei continé andare a dormire? Al diavolo tutte le ronde diPanama.

Si alzòscaraventando lontano lo sgabello su cui stavasedutoprese per precauzione la sua draghinassa ed aprí la porta.

Due uomini d'aspetto poco rassicurantecon ampi ferraiuoli ecappellacci immensitentarono di entrarementre uno di loro chiedeva:

- È vero che la vostra taverna è piena di spettri? Noi nonabbiamo paura nemmeno del diavolo e vi offriamo di tenervi compagnia fino adomani mattina.

- Chi ve lo ha detto? - gridò don Barrejomostrando ladraghinassa.

- Abbiamo veduto i frati uscire poco fa dalla vostra taverna.

- Ebbenegiacché non avete paura nemmeno del diavoloandate a tenere compagnia a lui. Io non ho bisogno di nessuno.

E chiuse senz'altro la porta sul viso dei due sconosciutiaccompagnando il colpo con un tonnerre dei piú formidabili che fosserousciti mai dalle sue labbra.

- Questa è una notte d'inferno- borbottò il brav'uomo. -O questi spettri faranno la fortuna della mia taverna o rovinerannocompletamente le mie tasche e porteranno via anche la lunga catena d'oro diPanchita.

“Birbante di Mendoza!... Quando c'entra luiporta ovunquela rivoluzione. È vero che anche don Barrejoche è qui che mi ascoltaquandoci si mette fa le sue.”

Aveva appena terminato i conti della giornataconstatandoun'uscita di trenta bottiglie non pagatesenza contare il caratello regalato aifratiquando fu di nuovo picchiato alla porta.

- Cane d'un lume!... - esclamò il guasconefurioso. - Èquesto che mi tradisce.

Riprese la draghinassa e per la seconda volta aprí.

Si trovò di fronte a tre o quattro altri individui di dubbiacerai quali gli chiesero tutti ad una voce:

- È qui che ci sono gli spettri? Siamo venuti per spazzarlivia.

- Basta la mia scopa!... - gridò don Barrejo. - Tonnerre!...Lasciate che i galantuominiche hanno lavorato quindici ore su ventiquattrosiprendano un po' di riposo. Filate!...

Vedendo il guascone a roteare minacciosamente la draghinassaanche quegli ultimi nottambuli se la diedero a gambe sotto la pioggia semprescrosciante.

- Che vengano a prendermi a gabbo? - si chiese don Barrejoil quale perdeva la pazienza. - Il primo che viene a seccarmi ancoralo afferroper la gola e lo mando a tenere compagnia a compare Pfifferoparola diguascone.

“La notte è perdutaè quindi inutile guastare il sonnodella mia dolcissima metà.”

Scosse tre o quattro bottiglie ed avendone trovata unasemipiena la svuotò in due colpipoi si allungò su due sedieappoggiandosicontro il tavolino.

Il suo sonno non durò moltopoiché fu interrotto benpresto dallo squillare delle duecento campane che contava allora Panama e chetutte insieme formavano un tale baccano da scuotere anche i morti.

Quel breve sonno però lo aveva rimesso completamente ingambenon avendo ancora dimenticato le sue vecchie abitudini d'avventuriero.

Aveva appena data la voce a Panchita perché si alzassequando udí bussare discretamente alla porta.

- Che sia un altro che viene a vedere i fantasmi? - sichiese. - Tonnerre!... Gli romperò la testa con un colpo di bottiglia.

Brontolando e bestemmiandoandò ad aprire e si ritrovòdavanti un ragazzo indiano di dodici o quattordici annid'aspetto furbesco edintelligentissimocon occhi di fuoco e la pelle dai riflessi ramigni.

- Che cosa vuoi tufurfante? - Gli chiese don Barrejo.

- Prendeteda parte di Buttafuoco- rispose il ragazzoconsegnandogli il biglietto piegato in quattro.

Poi se ne fuggípiú lesto d'un cervoprima che ilguascone avesse pensato a trattenerloscomparendo ben presto fra le fittecortine di pioggianon essendo il cattivo tempo ancora cessato.

- Qui dentro ci devono essere delle grandi novità-borbottò il guasconegirando e rigirando la carta fra le dita. - Saprò iodecifrare questi sgorbi? Quel caro Buttafuoco ama troppo la scrittura.

“Bah!... Una mania anche quella!...”

Allargòcome aveva l'abitudinele sue lunghe e magrissimegambesimili ad un immenso compassosi mise una mano sul fianco destro e collasinistra si cacciò sotto gli occhi la carta che era coperta di lettere grossecome ditalipoiché anche i gentiluomini allora si occupavano di frequentarepiú le sale di scherma che la scuola.

Il guascone non era della forza del gentiluomo francesequantunque anche lui avesse prese delle lezioni dal curato del suo villaggiosicché dopo una mezza dozzina di tonnerrepronunciati su tutti i tuonidavverodovette rinunciare e darsi del triplice asino.

Fortunatamente la bella taverniera era già scesae siccomene sapeva molto piú di luinon le riuscí difficile decifrare quegli sgorbi.

Quali terribili notizie conteneva quel bigliettino!... Lacontessina di Ventimiglia scomparsa e probabilmente prigioniera del marchese diMontelimar; Buttafuoco e Mendoza assaliti e con un altro prigioniero da unire alPfiffero; la necessità quindi di mettere insieme i due uomini dentro la botte edi trasportarli altroveper evitare delle sgradite sorprese da parte dellapolizia.

- In conclusioneche cosa vuole Buttafuoco? - chiese donBarrejoil quale si grattava furiosamente la testa.

- Che questa sera tu gli conduca il fiammingo alla posadasenza levarlo dalla botte.

- Diventano pazzi questi avventurieri scatenati? Il rapimentodella contessina deve aver fatto perdere loro la testa.

- Io credo il contrarioinvecePepito mio- dissePanchita.

- Ti sbarazzano di quell'uomo che per noi costituisce uncontinuo pericolo.

“Pensa che cosa succederebbe se le guardie lo scoprisserodentro la botte.”

- Tu ragioni meglio del curato del mio villaggioche siostinava a cacciarmi in testacome tanti chiodidegli a e dei b.Condurre via quella botte non sarà cosa facile.

“È bensí vero che non sarò cosí stupido da farlaviaggiare in pieno giorno.

“Tra là làci sono!...”

- A che cosa?

- Il problema è sciolto- disse il guasconeprendendo unabottiglia d'aguardiente e riempiendosi un bicchierino. - Ad ogni passo ioscopro una nuova America.

- E con tutte queste scoperte io non vedo altro che te che tiattacchi alla bottiglia dell'aguardiente- disse la bella castigliana.

- Questa seraprima del tramontoandrai a chiamare tuofratello. Egli è forte e grosso come un toro e fra noi due la botte verràportata fuori dalla cantina.

“Raccomandagli di noleggiare un carretto qualunque percaricare il Pfiffero e anche l'altro che si trova nella posada.

“Come vedinon ci voleva molto studio a risolvere laquestione.

Quella invece che farà sudare sarà l'altra: la scomparsadella contessina di Ventimiglia.”

- Vuoi occuparti anche di quella? - chiese la castiglianacon inquietudine.

- Quand'è che i guasconi hanno dimenticato gli amici? -chiese don Barrejocon voce gravemettendosi le mani sui fianchi ed allargandopiú che poté le sue gambe. - OhéPanchitavi permettete delle osservazionifuori di luogo.

- Io penso alla tua vitaPepitoche può correreda unmomento all'altroqualche grave pericolo.

- I guasconiquando hanno una draghinassa al fiancosannodifendersi contro tutti gli spadaccini di questo e dell'altro mondo. RicordateloPanchita.

Tracannò un altro bicchierino di aguardiente e andòa sedersi presso la portaosservando le persone che passavano.

La storia degli spettricolla relativa visita dei fratidoveva essersi sparsa fra gli a abitanti del quartierepoiché presso gliangoli delle case si raggruppavano delle vecchie comari le quali si additavanodopo il segno della crocela taverna d'El Moro.

Don Barrejo fingeva di non accorgersi di nulla e poi sioccupava piú di certi tipiche non aveva mai veduti bazzicare la sua osteria eche passavano e ripassavanocoi feltri inclinati insolentemente su un orecchioe le spade bene in vista.

- Se quei corvi credono di farmi pauras'ingannano-borbottò il guascone. - Devono essere tutte spie del marchese di Montelimarperciò niente vino per loro.

E mantenne la parola. A piú ripresealcuni di quegliindividui sospettientrarono nella taverna chiedendo da bereperò donBarrejocolla scusa che le botti erano state benedette troppo di recente e chei fantasmi potevano ritornareun po' scherzando e un po' colle brusche li fecesloggiare al piú presto.

Quel giorno la taverna d'El Moro non vendette unbicchiere di vinopoiché la cera burbera del proprietario aveva fatto scapparetutti.

Verso seramentre l'uragano si rinnovava colla solitaviolenzaessendo Panama una città soggetta alle grandi siccità e anche agliinterminabili acquazzoniPanchita lasciava la tavernamentre il maritochiudeva con fracasso le porteper avvertire i vicini che non voleva esseredisturbato.

Da un armadio aveva tratta una corazza irrugginita ed unelmetto e si era messo a strofinare vigorosamente or l'una ed or l'altrocontinuando a borbottare come era sua abitudine.

Quando le credette abbastanza lucideprese un lume ed unabottiglia di aguardienteche aveva già prima sturatae scese nellacantinaper vedere in quali condizioni si trovava il suo Pfiffero.

Scalò la grossa bottealzò il coperchio e si lasciòcadere entro l'ampio recipientebadando di non calpestare il povero fiammingoil quale stava rannicchiato in fondo.

- Ohémastro Arnoldo!... - chiamò don Barrejoscuotendolovigorosamente. - A che punto siamo della vostra digestione?

Dapprima non ottenne per risposta che un rauco brontoliopoile labbra del disgraziatosi agitarono come se volessero pronunciare qualcheparola.

- Dite sumastro Arnoldo- disse il guasconemettendoglila lampada sotto il viso. - Avete sete?

- Si... da... pere...

- Sempre ai vostri ordinimastro Arnoldo.

Gl'introdusse in bocca il collo della bottiglia e lo tennefermo finché gli parve conveniente.

Guardò la bottiglia attraverso la luce: era mezza vuota.

- Eccellenteè veromastro Arnoldo? - chiese. - Scommettoche non ne avete bevuto mai di simile da quando siete nato.

Il fiammingo non rispose. Fulminato da una seconda sborniasi era raggomitolato su sé stessoricominciando a russare.

- Lasciamolo riposare tranquillo- borbottò don Barrejo. -Sarebbe un'imprudenza se gli facessi inghiottire tutto il contenuto dellabottiglia.

Risalí rimise a posto il coperchiobadando che noncombaciassee tornò nella taverna per indossare la corazza e mettersi in testal'elmetto.

- Eccomi tornato armigero- dissecon sospiro. - Ah!...Quelli erano bei tempi!... Le draghinasse non avevano il tempo di arrugginirsi.

“Chissà che non ritornino.”

Un quarto d'ora dopoPanchitatutta inzuppata d'acquaeradi ritornoaccompagnata da un bell'uomo sui trent'annibruno come un indianocon due baffoni neri che gli davano un aspetto marziale. Don Barrejo non avevaesagerato quando aveva detto a Panchita che il di lei fratello era grosso eforte come un toropoiché infatti il nuovo venuto doveva possedere certimuscolida rompere a pugni le costole anche ad un bue.

- Hai condotto il carretto Rios? - Gli chiese don Barrejo.

- Sìcognato- rispose il bell'uomo.

- Sai che cosa dobbiamo fare?

- Mia sorella mi ha spiegato ogni cosa.

- Hai portato con te almeno una spada? L'avventura potrebbefinire maluccio.

- Tu sai che io maneggio meglio il randello e me ne sonoportato uno di quei solidissimi.

- Allora sbrighiamoci: Panchitafa' lume.

I due uomini scesero nella cantinaalzarono non senza faticala grossa botte e la trasportaronodopo un lavoro laboriososu un carretto chestava fermo dinanzi la porta della tavernacollocandovela diritta per nondisturbare il sonno del fiammingo.

- Chiudi subito e non aprire a nessuno- disse don Barrejo aPanchita.

- E tuquando tornerai? In quale avventura t'imbarchiPepito mio? Eravamo cosí tranquilli prima!...

- Quando si tratta d'un tesoro come quello del Gran Cacicodel Dariennon vi è da esitare a mettervi le mani sopramoglie mia- risposeil guascone. - E poi ho nelle vene il sangue di centomila avventurieri ecominciavo ad invecchiare troppo presto nella mia taverna.

“Ti rimanderò Riosil quale ti terrà compagnia durantela mia assenza.”

L'abbracciòpoi si mise dietro al carrettomentre ilrobusto castigliano tirava piú forte d'un mulo.

La notte non era migliore della precedente. Il vento soffiavacon mille ululati attraverso le vie oscurestrappando le larghe foglie dellesplendide palme e devastando i giardinie la pioggia non cessava un soloistante di cadere.

Il fratello di Panchita e don Barrejol'uno tirando el'altro spingendoerano giunti all'estremità della viaquando s'incontraronoin tre individuii quali si divertivano a prendersi l'acquazzonechiacchierando tranquillamente.

- Ohédove si va a quest'ora con quel po' po' di vino? -gridò uno dei treavanzandosi verso il carretto.

- Al porto- rispose asciuttamente don Barrejo.

- Si potrebbe assaggiarloprima che se lo bevano tutto iperuviani od i cileni?

- È merce sigillata- ripose il guasconecontinuando aspingere.

- Carrai!... - esclamò un altro. - Si fa un buco nelventre della botte e si succhia. Credi che noi non abbiamo abbastanza piastreper pagarti?

- Io non sono il padrone.

- Cerchi d'ingannarcipoiché abbiamo riconosciuto benissimoin te il proprietario della taverna degli spettri.

- Insommache volete? - chiese il guasconecui il sanguecominciava a muoversi piú rapido.

- Berepor dios!... - risposero i tre sconosciutimettendosi dinanzi a Rios per impedirgli di proseguire.

- Che cosa bere?

- Quello che sta lí dentrocaramba- rispose unadei tre.

- Se vuoialzo il coperchio e ti lancio fra le gambe labestia che vi è dentro. Vorrei vederti allorabravaccioche corsaprenderesti.

“Non sai che lí dentro vi è un giaguaro?”

- Ah!... Baie!... - esclamarono i tre uomini.

- Accostate dunque i vostri orecchi d'asino alla botte edascoltate- disse don Barrejo.

Il fiammingo russavain quel momentoin modo tale da fartremare perfino le doghe dell'enorme recipiente.

I tre sconosciutiniente affatto persuasi di quanto avevadetto il padrone della taverna d'El Moros'accostarono al carretto edallungarono le teste verso la botte.

Udendo quel brontolio raucobalzarono indietro spaventati.

- Carrai!... - gridò uno. - Il padrone porta via glispettri che infestano la sua cantina!... Gambeamici!...

- E subitoo lancio il giaguaro- gridò don Barrejo. -Vale meglio di tutti i satanelli dell'inferno.

I tre uomini si erano slanciati ad una corsa disperatascomparendo ben presto fra le tenebre.

- Anche gli ubbriachi qualche volta servono a qualche cosaè vero Rios? - disse il guascone.

- Se non la finivano però li randellavo per bene- risposeil castiglianoriprendendo la marcia.

- Sai dove si trova la posada del Rio Verde?

- Sícognato.

- È là che dobbiamo fermarci per ora.

Dopo venti minuti giungevanosempre sotto una pioggiadirotta che li bagnava fino alle ossadinanzi alla posada del Rio Verde.

Come don Barrejo si era immaginatoerano attesi da MendozaButtafuoco e da Wandoei quali stavano chiacchierando sotto il piccolo patio.

Scambiarono appena poche parolepoi il bucaniere e ilfilibustiere portarono fuori un uomo che pareva non desse piú segno di vita.

- È quello che deve tenere compagnia al Pfiffero? - chieseil guasconeil quale si era affrettato a levare il coperchio alla botte.

- Sí- rispose il basco.

- Mi sembra morto.

- Lo abbiamo fatto bere perché non gridi.

- Un sistema pericoloso che non consiglierei mai per un uomoferito.

- Se anche muoreci rimarrà sempre compare Arnoldo.

Alzarono il preteso figlio del grande di Spagnalo calaronocolle dovute precauzionidentro la bottestendendolo accanto al fiammingo.

- Al porto ed in fretta- disse Buttafuoco. - Noi scorteremoil carretto e Wandoe ci guiderà.

- Che bella notte per far viaggiare le botti- disse donBarrejoridendo. - Vorrei essere dentro anch'io col Pfifferoalmeno sarei alcoperto.

Sempre sotto la pioggia torrenzialeil carretto si misequasi in corsaperché spingeva anche Mendozamentre Wandoe segnava la via eButtafuoco stava alla retroguardia.

Le vie erano deserte ed oscure. Nemmeno le ronde silasciavano vederepreferendo certamente qualche vecchio porticato dove potevanoalmeno ripararsi da quel furioso ed ostinato acquazzone.

L'oceano Pacifico muggiva sempre rabbiosamentecon uncrescendo talvolta spaventoso.

Già i cinque uomini cominciavano a scorgere i fanali dellenavi ancorate nel portooscillanti sotto il battere e ribattere delle ondeeWandoe aveva già annunciato che stavano per giungere alla casa affittataquando udirono il rumore di persone lanciate a corsa disperatache cercavano diraggiungerli.

- FermaRios!... - gridò don Barrejolevando ladraghinassa.

Il robusto castigliano arrestò il carretto e s'armò d'unodi quei nodosi bastoni che usano i contadini della Manica e che valgono talvoltameglio delle spade e delle draghinasse.

- Siamo lontani dalla casa? - chiese Buttafuoco a Wandoe.

- Appena duecento passima sarà meglio che quegli individuiche ci danno la caccia non ci vedano entrare. Possono essere anche quelli agentidel marchese che ci hanno seguiti.

- Tonnerre!... Allora picchierò sodo- disse donBarrejo. - È un po' che ho una voglia pazza di sfogarmi su quei mascalzoni.

- Ed io non meno di tecompare- aggiunse Mendoza. - Questabotte non doveva giungere a posto senza qualche cattivo incontro.

“Diamine!... È visibile come un faro!...”

Otto o dieci uominicoperti di ampi mantelli e cappellaccisi eranodopo una lunga ed affannosa corsaavvicinati al carro rimastoimmobile in mezzo alla via sotto quel diluvio d'acqua.

- Chi siete e che cosa volete? - Chiese Mendozaavanzandosiverso di loro colla spada in mano.

- Sapere a chi avete rubata quella magnifica botte- disseuno di quegli sconosciuti.

- Marrano!... Ci prendi per dei ladri!...

- Non si porta via del vino a quest'ora e sotto questapioggia.

- Che cosa vuoi concludere?

- Che noi abbiamo sete e che vi proponiamo di dare l'assaggioal contenuto.

- Síabbiamo sete!... - gridarono tutti gli altrisbarazzandosi dei mantelli per mostrare che erano armati.

- Ehitu che vuoi assaggiare di questo vinello- disse ilguascone rivolgendosi al capo-banda- vieni a udire qui come borbotta. Poi midirai se sarà bevibile.

- Se borbotta sarà vino nuovo e a noi piace molto perché èpiú dolce- rispose lo sconosciutoavanzandosi verso il carretto edappoggiando un orecchio alla bottementre i suoi compagni ridevano acrepapelle.

- Odi? - chiese il guascone.

- Carrai!... Tu mi burli!... Si direbbe che lí dentrovi sono delle bestie feroci che ringhiano.

- T'inganniamico: vi sono degli spettri che abbiamo presiin una cantina d'una famosa taverna e che andiamo a gettare in mare.

Un grande scoppio di risa accolse quelle parole.

- Camerati!... - gridò il capo-banda. - Avete paura voidegli spiriti?

- No!... No!... - risposero gli altri ad una voce.

- Fuori le spade e diamo battaglia a quei figli di Satana.Almeno vedremo come sono fatti. Rovesciate la botte!...

- Quale? - chiese Mendozaavanzandosi a sua voltaseguitoda Buttafuoco e da Wandoe.

- Quella che sta sul tuo carretto.

- Lo scherzo è finitomio caroe ora si lavora a colpi dispadase ci secchi ancora.

- Oh!... Il buffone che...

Una terribile piattonata attraverso le labbra gli ruppe lafrase e qualche dente insieme.

- A tecanaglia!... - aveva gridato Mendoza.

I compagni del colpitoi quali parevano molto allegriavevano estratte le spade e si erano gettati confusamente contro i quattrouominii quali li aspettavano a piè fermoappoggiati al carretto. Riosaspettava il momento opportuno per far suonare il suo terribile bastone murcesesulle spalle degli assalitorii quali vociavano in coro:

- Prendiamo d'assalto le botte!...

Abituati però piú a vuotare boccali di vino che amaneggiare le spadefino dal primo attacco si trovarono a mal partito. Civoleva ben altro per tenere testa al guasconea Mendoza ed al gentiluomofrancese diventato bucaniere.

Fra un grandinare di colpi si udirono due o tre grida didolorepoi due uomini abbandonarono precipitosamente il campo di battaglialasciando a terra mantelli e cappellisegno evidente che se l'erano già prese.

Gli altri peròincolleriti di essere tenuti in iscacco daquei quattro uomini che credevano dei semplici tavernieristavano per ritornareall'attaccoquando il forte castigliano entrò in linea.

La faccenda fu breve. Gli aggressorimartellati sonoramentedal randello murcesedopo una breve resistenza scapparono a gambe levatelasciando sul terreno perfino delle spade spezzate.

Mentre l'ercole castiglianoaiutato da Buttafuocoliinseguiva per qualche tratto per impedire un ritorno offensivodon BarrejoMendoza e Wandoe spingevano il carretto a tutta corsa verso il portomettendoloal sicuro sotto un oscuro porticato che riparava una modesta casetta dapescatorisituata di fronte ad una delle calate.

 

 

Capitolo VI

LE IMPRESE DEL GUASCONE

 

L'abitazione affittata da Wandoeperché i suoi amici incaso di pericolo fossero piú pronti ad imbarcarsicome abbiamo dettoera unamodestissima casetta ad un solo pianocomposta di tre sole stanze e di unporticato necessario a stendervi le reti.

L'interno era illuminatola porta apertasicché Wandoeilguascone ed il basco non ebbero da aspettare per entrare.

Un ruvido tipo d'uomo di marepiuttosto attempatoliaspettava in una stanza che doveva servire ad un tempo da cucina e da tinello.Vedendoli entraresi tolse dalla bocca la pipapoi il berrettodicendo:

- Buena nochecaballeros: siete in casavostra.

Strinse la mano a Wandoe e se ne andò senz'altro aggiungerecome per far meglio comprendere loro che erano realmente in casa propria.

Mendoza diede uno sguardo all'intornovisitò le altre duestanze occupate da quattro amache e da molti arnesi da pescae tornò verso icompagnidicendo:

- Ci staremo benissimo quifinché le spie del marchese nonverranno a scovarci. Quel gentiluomo tiene sotto di sé degli uomini che devonopossedere un fiuto straordinario.

“Lestiamiciportiamo dentro il ferito ed il fiammingo.La botte la getteremo piú tardi in mareperché non possa servire come ditraccia.”

Tornarono nel porticato portando un lumelevarono ilcoperchio e tirarono fuoricon precauzioneil Pfiffero ed il preteso figliodel grande di Spagnamettendoli su due amache che occupavano la stanza vicina.

In quel momento Rios e Buttafuoco entraronol'uno armato delsuo formidabile bastone e l'altro sempre impugnando la spada.

- Sono scappati? - chiese Mendoza.

- Io credo che corrano ancora- rispose Buttafuoco. - Lalezione è stata durama l'hanno cercata loro.

“Mio caro don Barrejole vostre botti sono troppopericolosesiano piene di buon vino o vuote.”

- Sono stregatesignor Buttafuoco- rispose il guasconeridendo- e tali sono rimaste anche dopo tutte le benedizioni dei frati.

- Come stanno i nostri prigionieri?

- Russano come canne d'organo- rispose il basco.

- Sarà meglio rimandare a domani l'interrogatorio.Lasciamoli riposare e cerchiamo anche noi di schiacciare alla meglio unsonnellino.

“Ne abbiamo bisogno.”

Chiusero e sprangarono la portafecero una nuova visita allacasettapoi Buttafuoco e Wandoe si gettarono sulle due altre amachementreMendozail guascone e Rios si sdraiavano su un mucchio di vecchie reti.

Al di fuori intanto l'uragano continuava ad infuriare ed ilPacifico scaraventavadentro il porto di Panamale sue formidabili ondatemettendo a dura prova le âncore e le catene dei numerosi velieri che loingombravano.

Per Buttafuoco ed il basco fu forse quella la prima notteveramente tranquilla che trascorsero da quando erano giunti nella grande cittàspagnuolache allora godeva la famacome oggi S. Francisco di Californiadiessere la regina del Pacifico.

Il guasconeabituato ad alzarsi molto per tempo nella suaqualità di tavernierefu il primo ad aprire gli occhi.

Suo primo pensiero fu quello di fare una visita ai dueprigionieri.

Il preteso figlio del grande di Spagna russava ancora; ilfiammingo invece si dibatteva come un disperato dentro l'amaca che gli era statachiusa addosso perché non scappassebrontolando e facendo delle smorfie cosíridicole da far scoppiare dalle risa il feroce guascone.

- Compare Arnoldomi sembrate un bel pesce dentro la rete-disse don Barrejoallentando subito le corde. - Come va dunque la salutedopouna cosí lunga dormita? Che pessimo soldato sareste voi in guerra!...

- Da pere- chiese il disgraziatodopo d'aver dimenatadieci volte la linguache doveva essere stata arrostita da quell'abbondantebevuta d'aguardiente.

- Pere qui non ne abbiamocompare Arnoldoperò vi daròqualche cosa di meglio.

Prese una ciotola di terradella capacità di un litrolariempí in un grande vaso poroso che si trovava in un angolo e la porse alpovero diavoloil quale la vuotò senza staccarla un solo istante dalle labbra.

- La va un po' meglio oracompare Arnoldo? - Chieseironicamente il feroce guascone.

- Testa malata- rispose il fiammingo.

- Bevete e dormite troppo voimio caro. Avete delle pessimeabitudini e iose fossi il marchese di Montelimarnon vi perdonerei.

- Montelimar... - borbottò il fiammingopassandosi una manosulla fronte.

In quel momentosvegliati da quel chiacchierioentraronoMendozaButtafuocoWandoe e Rios.

- L'avete spedita al Perú la sborniasignor Arnoldo Pfifferecc.? - Chiese Mendoza. - Sono ben lieto di vedervi finalmente in ottima salute.

Il fiammingovedendo tutte quelle personeaggrottò lafronte e divenne pallidissimo.

- Svegliate l'altrodon Barrejo- disse Buttafuoco.

- Perché? - chiese sotto voce Mendoza.

- Per accertarmi se si conoscono.

- Lo sospettate?

- Scommetterei il mio vecchio e fedele archibugioche mi hasalvato cento volte la vitacontro una navaja da due piastre.

- Lasciate fare a meallorasignor Buttafuoco.

Si avvicinò al ferito e cominciò a fargli il solleticosotto la golaprovocandogli subito il singhiozzo.

Il preteso figlio del grande di Spagna era stato un po'ubbriacatoaffinché si mantenesse tranquillo dentro la botteperò non avevapreso la solenne sbornia del fiammingosicché dopo tre o quattro sbadigli emolti singhiozzisi decise finalmente ad aprire gli occhi.

Mendozache lo spiava attentamentelo sollevòperchépotesse vedere il fiammingo che stava seduto nell'amaca vicina.

I due spioni del marchese di Montelimar si guardarono unmomentostupiti di trovarsi insieme; poi dopo d'aver fatta una brutta smorfianon poterono frenare due imprudenti esclamazioni:

- Aramejo!...

- Stiffel!...

- Datevi il buon giornodunque- disse Buttafuoco. - Sietevecchie conoscenzea quanto pare.

Il fiammingo e il preteso figlio del grande di Spagnamasticarono fra le labbra qualche cosa. Certo non dovevano essere contenti diessere caduti nella trappola cosí abilmente tesa da Buttafuoco.

- Chi è che si chiama Aramejo? - chiese il bucaniereridendo.

Il ferito si guardò bene dal rispondere e fissò gli sguardisul soffittoper contare forse le ragnatele che vi si trovarono.

Il fiammingo invece preferí sbadigliaremostrando certidenti degni di non sfigurare in bocca ad un giovane squalo.

- Orsú- disse Buttafuocoironicamente. - Vedo che visiete riconosciuti. Sarebbe ormai troppo tardi per negarlo.

“Mastro Arnoldodate dunque la mano a questo figlio d'ungrande di Spagna. Sono ben lieto che voi abbiate delle buone relazioni fral'alta società panamese.”

Il fiammingo sgranò gli occhiguardando due o tre volte ilsuo compagno di sventurapoi proruppe in una fragorosa risata.

- Un crande di Spagna!... - esclamò.

- Ohémastro Pfifferosiete allegro stamane- disse ilguascone. - Vi preferisco però cosí. Il mio vecchio aguardiente fatalvolta di questi miracoli.

Il ferito aveva guardato il fiammingo ferocementeseccato diessere stato tradito cosí prestoperò non pronunciò alcuna parola.

- Signori- disse Buttafuocorivolgendosi verso i dueprigionieri- vi avverto che il Consiglio si raduna e che sarà per voi unterribile Consiglio di guerraperché noi siamo uomini risoluti ad affogarvi inmare con una pietra al collo se vi ostinerete a non parlare.

“La parola a voiinnanzi tuttodon Aramejosiate o no ilfiglio d'un crande di Spagnacome ha detto mastro Arnoldo.

“Non dimenticate che giuocate la vostra pelle.

“Che cosa avete fatto della señorita che sieteandato a prendere alla posada del Rio Verde adoperando un biglietto cheportava la mia firma?”

- Señor... - balbettò il ferito- che cosa ditevoi? Io non so di quale señorita intendete parlare.

- Ehifurfante- disse Wandoefacendosi innanzi. -Vorresti negare di riconoscermi? Guardami bene in viso!

- Mio pofero crande di Spagnasiamo presi- disse mastroArnoldorivolgendosi al ferito. - Gettate fuori tutto o perdere tutta la pelleamico.

Il ferito masticò a mezza voce una bestemmiapoirivolgendosi risolutamente verso Buttafuocogli chiese:

- Che cosa volete saperevoi?

- Voglio saperemio caro ladro di signorinedove avetecondotto la señorita che siete andato a prendere a nome miocapitebenealla posada del Rio Verde- rispose il bucaniere piccatodall'insolenza del prigioniero.

- E quando vi avrò detto che l'ho condotta dal marchese diMontelimaril quale vantava su di lei dei dirittiavendola allevatache cosavorreste concludere?

- Che tu sei il piú grande furfante che io abbia incontratofino ad oggie che io sono un uomo da non lasciarmi intimorire da tespavaldo.

- Volete ammazzarmi? Fatelo pure!

- La morte talvolta è troppo dolce- rispose Buttafuococon voce minacciosa. - Qui siamo isolati e potrei farti subire tali tormentidarimpiangere il giorno che sei nato.

“Sai già di che cosa sono capaci i bucanieri ed ifilibustierie noi tutti apparteniamo ai terribili Fratelli della Costachetanto male hanno fatto ai tuoi compatrioti al di qua e al di là dell'istmo.

“Se vuoi provare la nostra ferocianoi siamo pronti.”

Il feritoudendo quelle paroleaveva provato un sussulto edera diventato livido. Solamente il nome dei filibustieri provocava su tutti glispagnuoli per quanto coraggiosi fosseroun disastroso scoraggiamento.

- Mi hai capito? - chiese Buttafuocodopo qualche istante disilenzio.

- Síseñor- rispose il prigionierocon menosuperbia.

- Allora risponderai alle domande che ti farò. Chi ti hadato il mio nome?

- Il marchese di Montelimar.

- Da chi aveva saputo che io ero giunto a Panama collacontessina di Ventimiglia?

- Questo potreste domandarlo a Stiffel.

- Ah!... Io non so nulla affatto- si affretto a dire ilfiammingo.

- Il silenzio è d'oro- sentenziò gravemente Mendoza.

- Compare Pfiffero è prudente- aggiunse don Barrejo.

Il fiammingo approvò con un grazioso sorriso che aveva peròmolta ironia insieme.

- Voibricconinon direte mai nullao per lo meno diretesoltanto ciò che vi potremo strappare dalle labbra- disse Buttafuoco. - Nongiuocate a scarica-barileperché la pazienza non è mai stata il forte deibucanieri.

- Lo sappiamo- disse il fiammingo.

- Allora parlateprima di farvi gettare in mare dopod'avervi arrostite le piante dei piedi.

- Aramejosiamo presi- ripeté il Pfiffero. - Canta!...Canta!...

Il preteso figlio del Grande di Spagna assunse un'aria dabravaccionon ostante la sua ferita che gli doveva dare non pochi doloripoidopo essersi alzati i baffichiese:

- Ebbeneche cosa volete sapere ancora da me? Non ve l'hogià detto che la señorita l'ho condotta dal marchese di Montelimar? Mipare che basti.

- E dove? - chiese Buttafuoco.

- Diavolo!... Nel suo palazzo!...

- A quale scopo?

- Ah!... Io non posso conoscere i segreti del mio padrone-rispose Aramejo. - Mi si danno degli ordini ed io obbedisco senza discuterli.

“Potrà saperne di piú il mio compagno.”

- Verrà la sua volta. Dammi ora un'altra spiegazione.

- Non ne ho altre.

- Perché ci hai provocati ed assaliti presso la posadadel Rio Verde?

- Perché avevo ricevuto l'ordine di tentare di stoccarvi.

- Ci conoscevi dunque?

- Vi avevo seguiti dopo la vostra uscita dalla taverna d'ElMoro - rispose lo spadaccino.

- E tu ti credevi tanto forte da spedirci all'altro mondosenza lasciarci il tempo di farci firmare il passaporto da compare Belzebú? -disse Mendoza.

- Speravo ecome avete vedutomi sono ingannatoperché misono presa una magnifica stoccata che per un pelo non ha mandato invece meall'altro mondo.

- Passiamo ad interrogare messer Pfiffero- disse ilguascone. - Quell'uomo lí deve sapere qualche cosa di piú di questo imprudentebravaccio.

Il fiammingo sorrise ironicamentesenza darsi la cura didissimularlo.

Il terribile guasconeche lo teneva d'occhioscoppiò comeuna granata.

- Ehicompare Pfiffero! - gridò. - Non ridete sotto i baffiin presenza nostracorpo di tutti i tuoni della Francia e della Spagna!... Secredete di preparavi a prenderci a gabbovi dico subito che il vostro giuocopotrebbe finire malissimo.

“Riosaccendi il fuoco e scalda un pentolone d'acqua ebada che sia ben calda. Giacché questo Pfiffero m'ha bevutosenza pagare unapiastraXeresAlicante e aguardiente finissimose non parleràchiarogli faremo ora trangugiare una bottiglia piena d'acqua bollente e glicucineremo gl'intestini.”

- Misericordia!... - mormorò Mendozafrenando a stento unoscoppio di risa. - Questo don Barrejo è diventato piú feroce d'uncannibale!...

- Va'Rios! - comandò il guasconecon un gesto tragico. -Ed orasignor Buttafuocointerrogate pure.

“Lo sorveglio io questo Pfifferoe guai se s'imbroglia.”

Il viso del fiammingo era diventato oscuro. Gettò suButtafuoco una sguardo inquietochiedendogli con voce tremolante:

- Che cos'è dunque che si vuol sapere ora da me? Io non hoavuto alcuna parte nel rapimento della señorita.

“Prendetevela con Aramejo.”

- Tu devi saperla piú lunga del tuo compagno- disseButtafuoco- e spero strapparti delle informazioni che ci sarannopreziosissime.

“Il marchese di Montelimar era stato avvertito del nostroarrivo a Panama?”

- Sí- rispose il fiammingoterrorizzato dagli occhiterribili del guascone fissi su di lui.

- E come?

- Voi non avevate un compagno?

- Síun uomo che era stato molti anni ai servigi del GranCacico del Dariene che ci lasciò prima di sbarcare sul continente.

- Per andare dove? - chiese il fiammingoun po'ironicamente.

- Per recarsi al Darien ad avvertire quelle tribúdell'imminente arrivo della señorita.

- O per venire invece di nascosto a Panama per tradirvi?

- Che cosa dici tu? - chieseroad una voceButtafuoco eMendozacolpiti in pieno petto da quell'inattesa rivelazione.

- La verità- rispose mastro Arnoldocon voce grave. -Quell'uomo doveva aver saputo che il marchese di Montelimar da anni mirava adimpadronirsi del tesoro del Gran Cacico e vi ha traditidietro la promessa diavere un terzo del tesoro.

- Ah!... Cane dannato!... - esclamò Mendozafuribondo. - Edio l'avevo creduto un onesto bucaniere!... Ora comprendo tutto.

- Ed io comprendo che l'eredità del Cacico è in pericolo-aggiunse don Barrejo. - Ah!... Quel Montelimar sa condurre a meraviglia i suoiaffari!

- Non mi aspettavo un colpo simile- disse ButtafuocoIlquale pareva scombussolato- e non avrei mai supposto che un vecchio bucanierefosse capace di compiere un simile tradimento. È vero che la canaglia abbondafra le nostre file!...

- Che cosa faremo orasignor Buttafuoco? - chiese il basco.

- Non perdiamo la testa per cosí poco- rispose ilbucaniere. - Quell'uomo può essere pericolosissimoperò io credo che non siaancora giunto al Darien. E poisenza la contessina di Ventimiglia non si potràfar nulla da parte di chicchessia.

- L'ha in mano il marchesesignor Buttafuoco- disse ilguascone.

- Non sono però ancora partiti.

- Chi lo sa?

- Oh!... Signor Arnoldo- disse Buttafuococon ferocecipiglio- avete da narrarci delle altre cose molto interessanti. Don Barrejotenete pronta qualche bottiglia d'acqua bollente.

- Ve ne sono dieci in cucina- rispose il guascone. - Riosnon perde il suo tempo.

- Allora a noi duemesser Arnoldo.

Il disgraziato fiammingo era diventato terreomentre inveceil suo compagno sogghignava sotto i baffi.

- In che cosa posso esservi ancora utile? - balbettò.

- Il marchese quando partirà pel Darien? Voi dovete saperlo.

- Appena le truppe spagnuole si saranno ammassate in buonnumero attraverso l'istmo- rispose il fiammingo. - Il Darien deve finire lasua indipendenza.

- E la contessina?

- So che il signor marchese ha dato gli ordini opportuniperché un galeone la trasportifra qualche settimanaalla baia di Davidperrisparmiarle un lungo e faticoso viaggio in terra.

- Il nome di quel galeone? Tu devi certamente saperlose seidentro gli affari del tuo padrone.

- Il San Juan.

- È giunto già in porto?

- Non ancora; si aspetta dal Perú con un carico di verghed'oro.

- Buonissime per i filibustieri di Raveneau- borbottòMendoza. - Ah!... Se potessero metterci sopra le maniche magnifico colpetto!Terremo nota di questo affare.

- Don Barrejo- disse Buttafuoco- tenete a mente il nomedi quel galeone.

- Me lo pianto nel cervello con un chiodo lungo quanto la miadraghinassa- rispose il guascone.

- Ora lasciamo in pace questi uominipel momento- ripreseil bucaniere. - Ne sappiamo piú di quanto speravo.

“Veniteamici.”

Si erano radunati in cucinadove il bravo Rioscredendo inbuona fede che il suo terribile cognato volesse cucinare le budella dei dueprigionierisi affannava a soffiare sul fuoco per far bollire un pentolonemonumentale pieno d'acqua.

- Il Consiglio di guerra apre l'udienza- disse don Barrejocon quel suo fare fra il comico ed il serio. - Il signor Buttafuoconominato adunanimità presidenteha la parola.

- Sarò breve- rispose il bucaniere. - Qui si tratta di nonperdere tempo e di raggiungere a Taroga Raveneau de Lussan ed i suoifilibustieriper arrestare la nave che dovrà portare la contessina diVentimiglia alla baia di David.

“Senza la señorita noi non potremmo fareassolutamente nulla e tanto varrebbe allora rinunciare alla spedizione.”

- Noi siamo tutti pronti a partire- disse Mendoza. - Verraianche tuè verodon Barrejo?

- Dove ci sono da menare colpi di draghinassa accorro sempre- rispose il terribile guascone.

- E Panchita?

- Mi aspetterà sotto la sorveglianza di mio cognato Rios.

“Sono o non sono padrone della mia libertàiotonnerre!...”

- Bisognerebbe però trovare il modo di avvertire la señorita- disse Buttafuoco.

- Oh!... Me ne incarico io- disse don Barrejo.

- Cosí presto? - chiese Mendoza.

- Tu saibascoche io ho una fantasia fervidissima.

- Bada di non farti prendere.

- Colle mie gambe!... Sfido tutte quelle degli armigeri delmarchese. Lasciate fare a me e vi garantisco che prima di questa sera lacontessina avrà nostre notizie e che noi avremo anche le sua.

“Signor Buttafuocovolete prepararmi qualche bigliettino?Ho una matita a vostra disposizione.”

- Ed io non manco di carta- rispose il bucaniere. - Miaspetto però da voi un vero colpo di testadegno di un guascone.

- Quando ci va di mezzo l'onore della grande Guascogna sipossono affrontare mille pericoli e compiere mille miracoli.

- Noi intanto ci occuperemo per noleggiare qualche caravellaper raggiungere i filibustieri di Taroga. TuWandoeconosci molti marinai.

- L'affare non sarà difficile- rispose il padrone della posada- non so però come farete a lasciare il porto. Gli spagnuoli sono diventatieccessivamente curiosidopo che Raveneau de Lussan li guarda dal Pacificoenessun veliero può uscire senza uno speciale permesso od un'altaraccomandazione.

- Tonnerre!... - esclamò il guascone. - Non abbiamoforse con noi il Pfiffero ed il figlio del grande di Spagna? Avranno dellecartesuppongoche accorderanno loro ampia libertà di agire in nome delmarchese di Montelimar.

“Assoldiamo quelle due canaglie promettendo loro una partedell'eredità del Grande Cacico del Darien. Piú tardi penseremo noi a gettarliin bocca ai pesci-cani del Pacifico.”

- Decisamente questo guascone è diventato un antropofago-disse Mendoza. - Ed io che avevo creduto che dopo il suo matrimonio fossediventato uno zuccherino candito!

- Approvate le mie idee? - chiese don Barrejoil quale nonaveva fatto attenzione alle parole del basco.

- Pienamente- rispose Buttafuocoil quale aveva scrittorapidamente alcune righe su un pezzo di carta strappato da un libriccino. -Contiamo di lasciare Panama questa sera: pensateci voi a cavarvela come megliopotrete.

- Ed io vi prometto di darvi una prova di quanto sanno fare iguasconiquando vogliono- rispose don Barrejo. - Riosattaccati al carrettoe riconduci la botte alla taverna.

“Ora è giorno e non avremo piú da fare con degli ubriachiinsolenti. Amicia questa seraprima del tramonto.”

Si gettò sopra la corazza il mantellone di panno oscurosifissò bene al fianco la draghinassae lasciò la catapecchiainsieme alrobusto castiglianoil quale non si era dimenticato di armarsi del suoformidabile randello. Il meraviglioso porto di Panamail piú bello ed il piúampio che gli spagnuoli possedessero nell'America centralee centro d'unattivissimo commercio col Messicocol Perú e col Chilíi quali inviavano alPresidente dell'Udienza Reale i loro galeoni carichi di verghe d'oroera tuttoin movimento.

I velierisempre numerosissiminon ostante la vicinanza deifilibustierispiegavano le loro ampie vele per asciugarle al sole o perprendere il largomentre sulle comode calateturbe di meticci e d'indianis'affaccendavano intorno a vere montagne di merci pronte ad essere imbarcate peiporti del Perú.

Sull'avamportodue grosse fregatearmate di una quarantinadi cannoni ciascunabordeggiavanofacendo di quando in quandodelle punte allargoper prevenire una qualche non improbabile sorpresa da parte deifilibustieri annidati solidamente a Tarogama sempre pronti a piombare suivelieri isolati ed espugnarli colla loro solita bravura.

La filibusteriache tanti mali aveva recato agli spagnuolisi spengeva lentamenteperò i suoi ultimi campioni non valevano meno diMontbarsdi Pietro l'Olandesedi terribile famadi Wan Horndi Laurent e diMorganche per circa un secolo avevano fatto tremare e piangere l'orgogliosaSpagna.

Rios ed il guasconedopo essersi aperto un varco fra lafolla dei mercanti e degli armatori che affluiva verso il portorisalironoverso il centro della cittàdove sorgevano i piú grandiosi palazzi deisignori di Panamafra cui quello del marchese di Montelimarche don Barrejoconosceva benissimo.

Giunti a questo punto si separarono.

- Dirai a tua sorella che questa sera ci rivedremo e che siprepari per un po' di tempo a non vedermi piú- aveva detto il guascone. -Bisogna curarli i propri affaritonnerre!...

- Va bene - aveva risposto semplicemente il robustocastiglianoe se n'era andato col suo carretto e colla sua botte monumentalela quale non mancavaper la sua moledi attirare gli sguardi di tutti ipassanti.

Don Barrejo percorse diverse viefinché sbucò su una vastapiazzafiancheggiata da bellissimi palazzi.

Da tutte le porte uscivanoin gran numerocuochidomesticigarzonie delle belle meticce per fare le spese mattutine.

Don Barrejo si rialzò i baffi un po' grigiastrisi mise ilfeltro piumato sulle ventiquattroaprí il mantellone per mettere ben in vistala sua corazzadiventata press'a poco lucentee l'impugnatura della suaformidabile draghinassae si mise a passeggiarecon sussiegodinanzi ad unpalazzone sul cui frontone campeggiava lo stemma dei marchesi di Montelimarformato da un monte verde come un ramarrosorgente da un mare bluastro su fondodorato.

- Aspettiamo qualche gallinella- disse. - Tonnerre!...Sono ancora un bell'uomo!... Se ho guadagnato il cuore della piú splendidataverniera di Panamapotrò fare ancora una breccia nel cuore di qualche cuocao di qualche servetta.

Passeggiava da un quarto d'ora dinanzi al palazzosbirciandoun po' insolentemente gli alabardieri che vegliavano dinanzi alla grandiosagradinata di marmoquando vide uscireagile come un uccellouna bellissimamulattadagli occhi ardenti ed i capelli crespi e nerissimiportando infilatoin un braccio nudo e rotondo un grosso paniere.

- Ecco l'affar mio- disse il guascone. - Ora pesco il miopesciolino.

 

 

Capitolo VII

SULL'OCEANO PACIFICO

 

Don Barrejo ai suoi tempimalgrado le sue lunghissime gambeera statonella sua qualità di armigeroun gran conquistatore di donnequindi non disperava affatto di condurre a buon porto i suoi disegni.

Adocchiata la bella mulattaallungò il passo ed in pochimomenti le fu alle spalledicendole:

- Eh!... Eh!... Dove corretemia bella?

La mulatta si voltòguardò il guasconepoicomeaffascinata dall'aria marziale di lui o dallo splendore della corazzaglirispose:

- Al mercatocaballero.

- Chiamatemi conteperché mio padre è un grande di Spagna.

- Sísignor conte.

- Sei ai servigi del marchese di Montelimar? - le chiese donBarrejomettendosele a fianco.

- Sísignor conte.

- Posso offrirti qualche cosa? La mattina è frescae unbuon bicchiere di mezcal non farà male né a mené a te.

- Oh!... Signor conte!... - esclamò la mulatta.

- Insieme ad un gruzzolo di piastre luccicanti- proseguíil furbo guascone.

- Che cosa volete da mesignor conte? - chiese la mulattastupita di trovarsi a fianco d'un cosí grande gentiluomo.

- Signor conte- disse poi- io non sono che una poveraserva mulattache non ha mai avvicinato persone di cosí alto grado.

- Ebbene sono io che ti avvicino a me- rispose don Barrejoposando fieramente la sinistra sull'impugnatura della draghinassaperché gliera parso che qualche passante lo avesse guardato sorridendo ironicamente. -Pelli bianche dal sangue azzurro o pelli dorate dal sangue multicoloreper mefanno lo stessoperché nelle mie vene non ho una goccia di sangue castigliano.

“Come ti chiami?”

- Carmencita.

- Bel nometonnerre!...

Passavano in quel momento dinanzi ad un negozio mezzo albergoe mezzo bottiglieria. Il guascone prese per una spalla la bella mulatta esenzatanti complimentila cacciò dentrocomandando un boccale di mezcal edelle focacce dolci.

- Signor conte- si provò a dire la cuciniera del marchese.

- Qui dentro chiamami semplicemente Diego- rispose donBarrejo. - I figli dei grandi di Spagna bisogna che qualche volta conservinol'incognito.

Prese il boccale colmo di quel vino dolciastro e piccantericavato dall'alcoolempí le tazzepoi offrí galantemente alla mulatta ipasticcini inzuccherati.

- Odimi mia cara- disse poiabbassando la voce. - vuoiguadagnare dieci piastre?

- Non ne prendo tante in un mese di lavorosignor...

- Diegoti ho detto. Allora ne aggiungeremo altre diecicosí faranno venti. Spero che saprai contare.

- Voi gettate i denari dalla finestrasignor... Diego.

- Che cosa sono venti piastre pel il figlio d'un grande diSpagna? Mio padre deve possederne un numero sterminato che un giorno passerannoattraverso le mie mani.

- Che cosa devo fare per guadagnare la somma che mipromettetemio gentiluomo? - chiese la mulattala qualepur chiacchierandosgretolava coi suoi magnifici denti i pasticcini zuccheratiinnaffiandoli condei buoni bicchieri di mezcal.

- Rispondere semplicemente alle mie domande- rispose ilguascone.

- Allora potete interrogarmi anche fino a questa sera.

- Non voglio privare il marchese delle sue belle cuoche.Stammi bene attenta oraCarmencita.

- Parlatesignor Diego.

- Sai tu che sia stata condotta al palazzodue giorni orsonouna bellissima señorita che ha la pelle leggermente abbronzata?

- Sísignor Diego. Sono io che le fornisco i pasti.

- Tonnerre!... Questo si chiama aver fortuna!... Èben guardata?

- Ha sempre due alabardieri dinanzi alla sua porta.

- Tu però puoi entrare liberamente quando vuoi?

- Sísignor Diego.

- Vedimia cara Carmencitaio sono pazzamente innamorato diquella señorita e anche lei mi vuole un gran benema mio padre si èmesso di mezzo e me l'ha fatta portar via dal Marchese di Montelimar.

- Oh!...

- Non la vedi mai piangere il suo perduto amore?

- Veramente no- rispose la mulatta.

- È orgogliosa la señoritae non vorrà farsivedere dinanzi agli altri.

- Sarà come dite voisignor Diego.

- Ho da darti un incarico che costerà a me le venti piastreed a te nessuna fatica- disse il guasconelevando da un tasca il bigliettodatogli da Buttafuoco. - Non hai da fare altro che consegnarglielosenza chenessuno ti veda.

- È una cosa semplicissima.

- La señorita ti darà un altro biglietto che tu miporterai qui prima che il sole tramonti. Ora eccoti le prime dieci piastre; lealtre ad affare finito.

“Sei contentamia bella Carmencita?”

- Siete generososignor conte.

- Eh!... Come un conte- rispose il guasconesorridendo. -Suvviada' un ultimo colpo di denti a questi pasticcini che fanno piú bene ate che a mepoi vattene subito perché il marchese non sospetti qualche cosa.

- Non si occupa delle sue serve.

- Non si sa mai!

La bella mulatta diede fondo ai dolcibevette qualche altrobicchiere di mezcalpoidopo aver promesso di trovarsiall'appuntamentose ne andò col suo gran paniere infilato nel braccio.

- Tonnerre!... - mormorò il guasconequando fu solostropicciandosi allegramente le mani. - Anche fra le serve si trovano dellebrave persone.

“Orsúandiamo a passare la mia ultima giornata insieme aPanchitapoiché domani noi non saremo piú certamente a Panama.

Tonnerre!... Era tempo che don Barrejo sisvegliasse dal suo lungo sonno matrimonialee che riprendesse la sua vita diavventuriero.

“Non ero già nato per fare il cantiniere.”

Gettò sul tavolo una piastra ed uscí senza attendere ilcambiofra gli inchini dei garzonistupiti di tanta generosità. Giàsicapisceessi ignoravano la storia dell'eredità del Gran Cacico del Dariensulla quale il guascone contava di rifarsi ampiamente.

Soltanto verso il mezzodí don Barrejo fece la sua entratanella sua tavernaproprio nel momento in cui Panchita e Rios stavano permettersi a tavola.

- Salute e buon appetito alla compagnia- dissesbarazzandosi del ferraiolo. - Com'è che non vi è alcun bevitoremoglie?

- Ah!... Sei tufinalmente!...

- Credevi che fossi un altromoglie? Vanno male gli affari?La mia taverna è diventata un deserto.

- Quella maledetta botte ha spaventato tutti- risposePanchita. - L'hanno veduta uscire ieri sera e rientrare stamane e nel quartieresi sussurra che tu alla notte vai ad affogar gli spettri che accalappi nellacantina.

Il guascone proruppe in una risata.

- Non mi ero mai creduto capace di tanto- disse. - Vuoi unconsiglioRios? Va' a gettare in mare quella dannata botte che minaccia didiventare la nostra rovina.

“Quando non la vedranno piú ritornare si persuaderanno chei satanellii diavolettii fantasmi ed i folletti se ne sono andati e verrannoancora a bere il buon Xeres d'El Moro.

“Orsúfacciamo il nostro ultimo pranzo in compagniamoglie.”

- Comeparti?

- Sono tre giorni che continuo a dirtelo. Siete un po' durid'orecchiovoialtri castigliani?

- E dove vai?

- Fra gl'indiania raccogliere l'eredità del Gran Cacicodel Darien. Mia cararitornerò con una montagna d'oro ed apriremo un magnificoalbergo come non se ne sono mai veduti in Panama.

- E se ti uccidono?

- Chi? Uccidere don Barrejo? I guasconi non si lascianoammazzare come pollimia cararicordatelo. E poi quando ci sono con me Mendozae Buttafuoco si può star tranquilli.

“Scommetto che verrebbe volentieri con me anche Rios.”

- Certose si trattasse di combattere solamente contro gliindiani- rispose l'ercole castigliano.

- Ah!... Questo non si sae perciò ti lascio a far laguardia a mia moglie. Bevimangia ed intascasenza contareché l'ereditàdel Cacico pagherà tutto.

“Pranziamo e basta colle chiacchiereper ora. Ho la linguaquasi secca.”

Pranzò allegramentesenza piú accennare alle sue futureconquisteoccupò il pomeriggio a rimettere in ordine la cantina insieme aRiospoi verso il tramonto prese le sue pistole e disse a Panchita che loguardava con sorpresa:

- Addiomogliettina: ritorno il guascone dei bei tempi.

- E quando rimarrai assente?

- Chi lo sa? Potrebbe dirtelo solamente l'anima del GranCacicco del Darien.

- E se tu non ritornassi piú?

- Ti rimariterai- rispose semplicemente don Barrejo.

L'abbracciò affettuosamentestrinse la mano al cognato e sene andò tranquillamentecanticchiando fra i denti:

 

Las doncellas son de oro

Las casadas son de plata

Y las viudad son de cobre

Y las viejas de hora de lata.

 

(Le donzelle sono d'oro

Le donne maritate d'argento

Le vedove son di rame

E le vecchie di latta)

 

Affrettò il passo e giunse ben presto nella posadadove l'aspettava la mulatta.

La giovane vi era di già e stava sgretolando altripasticcini e bevendo dell'altro mezcalcerto che il suo generoso amiconon si sarebbe fatto pregare per pagare il conto.

- DunqueCarmencita? - chiese il guasconeabbracciandola.

- Tutto fattosignor conte.

- Corpo di Giove Pluvio!... Tu sei una perla!... Ilbiglietto?

- Consegnato alla señorita.

- E non ti ha dato nulla per me?

- Un altro biglietto- rispose la mulattalevandosi dalcorsetto di percallo variegato un piccolo piego.

Il guascone l'afferròl'aprívi gettò sopra gli occhiborbottò delle parole incomprensibiliper non farsi credere un ignorantepoise lo mise in tascamormorando:

- Qui ci vogliono gli occhi di Buttafuoco o quelli del curatodel mio villaggiose risplenderanno ancoracosa di cui dubito assaipoichéil sant'uomo era già vecchio ed anche in Guascogna purtroppo si prendono deipassaporti per l'altro mondo.

Mise dinanzi alla mulatta le altre dieci piastrevuotò unpaio di bicchieri di mezcalpagò il conto e si alzòdicendo:

- Noi ci rivedremo ancoramia bella. Dirai alla señoritache tutto va bene.

“Addioe non commettere imprudenze.”

Ecome aveva lasciato sua mogliepiantò in asso la mulattae se ne andò sempre canticchiando fra i denti:

 

Las doncellas son de oro...

 

Quando giunse al porto la notte era già calata ed il cannoneaveva tuonato per segnalare la sospensione delle partenze.

Trovò Buttafuoco e Mendoza in grandi faccende. Avevano fattoacquisto di archibugidi pistole e di munizioni e stavano impaccandole.

- Ecco la risposta della señoritasignor Buttafuoco- disse il guasconepiombando nella casetta come una bomba. - Come vedeteioho mantenuta la mia promessa.

- Comincio a sospettare che siate parente del diavolo-rispose il bucaniere.

- Un po' piúun po' meno tutti i guasconi sono imparentaticon compare Berlicche- rispose don Barrejo. - È una cosa che si sa anche inBiscagliaè veroMendoza?

Buttafuoco aveva aperto rapidamente il biglietto dellacontessina di Ventimigliae d'un colpo d'occhio l'aveva scorso.

- I nostri prigionieri hanno detto la verità- disse. - Fraotto o dieci giorni il marchese la farà imbarcare sul San Juan percondurla alla baia di David insieme all'avanguardia della spedizione.

- Fulmini di Biscaglia!... - esclamò Mendoza. - Abbiamoappena il tempo di raccogliere i filibustieri di Raveneau de Lussan.

- Non ci manca che d'imbarcarci poiché tutto è pronto-rispose Buttafuoco. - Domani mattina saremo ben lontani da Panama.

- Si parte? - esclamò il guascone.

- Wandoe insieme al fiammingo hanno noleggiato oggi unapiccola caravella che si dice dovrà trasportarci in Californiamentre quandosaremo in mare andremo dove vorremose l'equipaggio non vorrà servire dacolazione o da cena ai pesci-cani.

- Quanti sono a bordo?

- In seicompreso il capitano.

- Se faranno i prepotenti con quattro colpi di draghinassapareggeremo il numero- disse il guascone. - Chi viene con noi?

- Il tuo amico Pfiffero e il figlio del grande di Spagna-disse Mendoza. - Ormai si sono decisi ad abbandonare il marchese di Montelimar ead associarsi a noi.

“Uno è fiammingo e l'altro portoghesequindi potrannomenare stoccate sugli spagnuolise si presenterà l'occasionesenza che laloro coscienza abbia nulla che dire.”

- Sono già a bordo?

- Sí.

- Con Wandoe?

- Quello ha la sua posadamio caro don Barrejoe diavventure non ne vuole piú sapere.

- Quello non è né un basco né un guascone- rispose iltavernierecon disprezzo. - Forse che io non ho lasciato mia moglie per correreattraverso il mondo in cerca di gloria e di stoccate?

- Forse eri stanco della castigliana- disse il bascoridendo.

- Oh no!... - protestò il guascone. - Io amo la mia donnama preferisco le avventure.

- Partiamo- disse in quel momento Buttafuocoil qualeaveva terminato di fare i suoi pacchi.

- Ehsignor mionon avete pensato ad una cosa però!

- A qualedon Barrejo?

- Il cannone ha già tuonato e l'uscita dal porto è chiusaper tutti i velieri.

- Non per quelli però che portano a bordo un agente segretodel marchese di Montelimar- rispose Buttafuoco. - Abbiamo pensato a tutto noie questa notte lasceremo Panama.

- Quand'è cosí possiamo cominciare la nostra vitaavventurosa- rispose don Barrejo. - Sono sei anni che non mi ritrovo fra ifilibustieri e che non provo il mare.

- Allora prenditi degli aranciamico- disse Mendoza. - Saiche le onde giuocano talvolta dei brutti scherzi allo stomaco.

- Il mio è di ferro- rispose don Barrejo.

Presero i pacchi contenenti le armi e le munizionichiuserola porta e si diressero verso la gettatadinanzi alla quale ondeggiavaagilmente una piccola caravella di ottanta o cento tonnellatecolle due velelatine e le quadre del trinchetto già sciolte.

Ricominciava a piovereperò l'oceano non muggiva piúrabbiosamenteed una fresca brezza soffiava dalla parte di terra.

Mastro Arnoldo fu il primo che ricevette i tre formidabiliavventurieri con un “pona sera” dolcissimo.

Un uomo barbuto e molto abbronzatogli stava dietro: era ilcomandante.

- Tutto fattocompare? - chiese Buttafuocoal fiammingo.

- Fia libera per foi- rispose il fiammingo. - Fanale ferdesegnare permesso.

- Dov'è il tuo compagno?

- In una cabina: molto malato Aramejo.

- Se non guariràoffriremo una colazione agli squalidell'oceano Pacifico- disse don Barrejo. - Il tuo amicocompare Pfifferononha nemmeno una goccia di sangue dei grandi di Spagna.

- Aho!... - fece il fiammingoil quale credette opportuno dinon aggiungere nessun'altra parola.

I cinque marinaitutti meticci della costa del Pacifico eche anche in quei tempi godevano fama di essere bravi uomini di maresalparonol'âncoramentre il capitano issava sulla cima del trinchetto un fanale a luceverdeciò che indicava che il veliero aveva libera uscita a suo rischio epericolo.

Con un'abile manovra la caravella si staccò dalla banchinasfilando tra una moltitudine di navi disperse pel portoe si diressesollecitamente verso l'uscitaspinta dalla brezza che soffiava abbastanza forteda terra.

ButtafuocoMendoza ed il guasconedopo d'aver fatta unarapida visita alla stivala quale era ingombra di botti che sembravano vuote eche perciò potevano nascondere degli avventurieri del marcheseerano risalitiin coperta radunandosi a prora.

- Avete notato nulla di sospettosignor Buttafuoco? - chiesesotto voceil guascone. - Io non mi fido moltosapetedi quel Pfiffero.

- Assolutamente nulla- rispose il bucaniere.

- Allora siamo padroni noi.

- Ossia le nostre spade.

- Le qualial momento opportunosapranno fare terribilmenteil loro dovere.

- Prendiamo però le nostre precauzioni. Che uno di noi veglisempre e faccia scrupolosamente il suo quarto.

“Noi non ci troviamo certo fra buoni amici.”

- E tuMendozache sei stato marinaio- disse il guascone- bada alla rotta di questa carcassa. Invece di farci andare in Californiaquesti uomini sono capaci si condurci al Perú o al Chilí.

- Tengo d'occhio la bussolaamico- rispose il basco. - Alprimo quarto che fanno saltare agguanto il timoniere e lo getto in mare.

- Insieme al Pfiffero.

- Se sarà possibile manderò a bere anche luinel caso chetradisca la fede giurata.

- Ha troppa paura di noi per tentare qualche cosa ai nostridanniquantunque abbia due occhi cosí azzurri che non mi persuadono affatto.

- Strage generale- disse Buttafuocoaccendendo la suapipa.

La caravella con poche bordate aveva raggiunta la bocca delportodinanzi a cui incrociavano le due grosse fregate per impedire qualchesorpresa da parte dei filibustieri che si aggiravano ancora sulle acque delPacifico.

Al di fuori l'onda era un po' fortenondimeno il piccolovelieroquantunque dovesse contare un bel numero d'anni e dovesse avere lacolomba spezzatasi comportava discretamente bene.

Il capitanodopo un breve consulto coi suoi cinque marinai edopo aver interrogato a lungo l'orizzonte con un cannocchialeaveva messo laprora a nord ovestper evitare le numerose scogliere che coprivano la costa.

- Tutto va bene per ora- disse Mendozail quale avevafatto una scappata a poppa per accertarsi della rotta sulla bussola. - Domanicostringeremo questi uomini a filare su Taroga e se si opporranno daremo loroaddosso.

- M'incarico io di tagliare la barba al capitano- disse donBarrejo.

- Se volete andarvi a riposare rimango io di guardia.

- NoMendoza- rispose Buttafuoco. - I nostri quarti licominceremo domaniquando avremo la certezza che l'equipaggio ci tiene in contodi pacifici passeggeri.

“Compare Arnoldo potrebbe aver soffiato qualche cosa negliorecchi del capitano e non commetterò mai l'imprudenza di lasciare il pontealmeno per ora.”

I suoi due compagni approvarono con un cenno del capoe dopodi aver accese a loro volta le piperipresero il loro posto a prora.

Al largo mareggiava sempre forte l'ondatatribolando nonpoco la corsa della piccola caravellaperò la notte era magnificamentestellata ed un quarto di luna molto pallido brillava all'orizzonte specchiandosinelle acque. I cinque marinai ed il loro capitanopreoccupati forse dallavicinanza dei terribili scorridori del Pacificonon lasciarono la coperta unsolo momentoe compare Arnoldo tenne loro compagnia.

Quando l'alba spuntòle coste americane non erano piúvisibili all'orizzonte. La caravelladurante la notteaveva derivatofortemente al largo in causa forse di qualche corrente.

- Siamo già ben lontani- disse Mendoza. - Se questa corsacontinua fra un paio di giorni poi potremmo giungere a Taroga.

“Mi pare però che l'amico barbuto non abbia l'intenzionedi farci vedere i nostri amici filibustieri.”

Infatti i marinaia un colpo di fischietto del capitanoavevano virato di bordocercando di tornare almeno in vista della costa pergettarvisi sopra nel caso che i filibustieri facessero la loro comparsa.

Non era però cosí che la intendevano i tre avventurieriiquali non tardavano a mettersi in tasca le pipe e ad affrontare il comandante.

- Che cosa fate? - gli chiese Buttafuococon un certocipiglio poco rassicurante.

- Cambio rotta- rispose l'uomo barbuto. - Siamo troppo allargo ed io non ho alcun desiderio di dare dentro a qualche nave corsara.

- Vi ordino di riprendere la rotta di prima e di nonoccuparvi dei filibustieri.

- Voi!... - esclamò il capitanostupito.

- Io- rispose tranquillamente Buttafuoco.

- E per andare dove?

- Vogliamo accertarci se a Taroga ci sono ancorasí o noquei bravi uomini.

- Io vi ho imbarcati per condurvi in California.

- Abbiamo ora cambiato pensiero.

- È forse vostra la caravella?

- L'abbiamo noleggiata per nostro conto e noi vogliamo andaredove ci piace.

- Eh!...Eh!...Comandate un po' tropposignor mioin casamia!... - gridò il capitano. - Se volete farvi ammazzare dai filibustieriimbarcatevi sulla scialuppa che la mia caravella rimorchia e andatevene aldiavolo.

“In quanto a me ritorno alla costa il piú prestopossibile.”

- Non avendo però noi nessun desiderio di farci divorare daipesci-canied avendo noleggiata la vostra caravella e non già la scialuppaper la seconda volta vi ordino di rimettere la prora a ponente poiché la nostrarotta è quella.

“In California ci andrete piú tardi.”

- E bastamesser barbuto- aggiunse il guasconebattendola mano sulla sua draghinassa. - O obbedire o provare il filo dei nostrigingilli; e taglianosapete.

Il capitano era diventato livido.

- Chi siete dunquevoi? - chiese balbettando.

- Non vi occupate di sapere chi siamo e che cosa intendiamodi fare- rispose Buttafuoco. - Vi dico solo dai filibustieri non avrete nullada temerefinché noi saremo a bordo della vostra caravella.

Il capitano stava per ribattere la parolaquando mastroArnoldoil quale aveva assistito impassibile a quella disputa che minacciava difarsi gravepoiché i meticci non sembravano disposti a lasciar solo il lorocapointervenne.

- Obbedite a questi signori- disse. - Ordine del marchesedi Montelimar.

“Io rispondo di tutto.”

- Quand'è cosísi vada allora verso l'inferno. Vedremo seil signor marchese sarà là a proteggerci quando i filibustieri monterannoall'abbordaggio.

- Basta cosí- disse Arnoldo.

- Ehicompare Pfifferopotevi intervenire un po' prima erisparmiarci un sacco di chiacchiere inutili- disse il guascone.

Il fiammingo alzò le spalle senza rispondere e riprese ilsuo posto dietro l'abitacolo di poppa.

Il capitanodopo essersi consigliato coi suoi uominiiquali cominciarono a guardare in cagnesco i tre avventurierisenza però osaredi manifestare apertamente il loro malumorefece rimettere la prora versoponente.

Nessun pericolo pareva d'altronde che minacciasse lacaravellapoiché l'oceano appariva assolutamente deserto. Solamente degliuccellacci marini e dei branchi di pesci-volanti lo percorrevanoe quelli nonpotevano dare certamente noia ai naviganti.

Il vento però era diventato cosí debole coll'alzarsi delsole che la caravella non riusciva a guadagnare piú di un paio di nodi all’ora.C'era però del malvolere anche da parte dei marinai i quali lasciavano troppole scotte.

A mezzodí i tre avventurieriche si consideravano ormaicome i padroni della navicellareclamarono imperiosamente la colazione e ancheabbondantedichiarando di avere un appetito da pesci-cani.

Il capitano ed i marinaii quali incominciarono ad averpaura di quei tre spavaldi che già supponevano dei filibustierisi guardaronodal negarla.

Durante la giornata la caravella continuò a navigarepesantemente verso ponenteguadagnando appena una ventina di migliaperòappena il sole scomparvela brezza si rialzò piú viva accelerando la corsadella carcassa.

I tre avventurieri si digerirono tranquillamente anche lacenapoi Buttafuoco ed il guascone si ritirarono nella cabina loro assegnatamentre il basco montava il suo quarto di guardia con un paio di pistoloni allacintura e la sua fida spada che tante meraviglie aveva compito sotto il figliodel Corsaro Rosso.

 

 

Capitolo VIII

IL TRADIMENTO

 

La notte non accennava di essere cosí limpida e cosítranquilla come quella precedente.

Era scesa sull'oceano una nuvolaglia piuttosto fittalaqualesubito dopo il tramonto del solesi era dispersa pel cielo oscurando gliastri e coprendo il quarto di luna.

Ma pel momento nessun indizio vi era che avesse a scoppiarequalche tempesta.

Mendozaaccesa la sua pipasi era seduto dietrol'abitacolonel posto occupato durante il giorno dal fiammingoe che glipermetteva di sorvegliare attentamente la bussola.

Temeva che i marinai approfittassero di quell'oscurità perfare rotta falsa e ritornare verso la costa americana e forse non aveva torto disospettarepoiché si era già accorto che i due uomini rimasti a guardia dellavelaturaavevano già piú volte tentato un colpo di sorpresa per virare dibordo.

Erano trascorse un paio d'ore senza che il bascoil qualeraddoppiava la sua vigilanzaavesse notato nulla di straordinarioquandoguardando verso proragli apparve di scorgere il fiammingo in segreto colloquiocol capitano che da poco era salito in coperta.

Sospettoso per carattereil basco intuí subito che qualchecosa si doveva combinare fra quei duee se ne convinse sempre piú quando livide sparire entro il boccaporto di prora.

- Amico Mendozaapri quattro invece di due occhi- sidisse. - Qui gatta ci cova.

Si alzòvuotò la pipadiede un ultimo sguardo all'oceanopoi disse forte:

- Buona nottetimoniere: vado anch'io ad allungare un po' legambe.

Poi si lasciò cader giú dal boccaporto di poppama invecedi entrare nel quadro dove russavano il guasconeButtafuoco ed il pretesofiglio del grande di Spagnaaprí silenziosamente la porta che comunicava collastivala qualecome abbiamo dettoera ingombra di botti vuote.

Fu subito colpito dalla luce proiettata da una lanterna laquale si avanzava lentamente seguendo la corsia di babordo.

- Che cosa si viene a fare qui a quest'ora? - si chiese coninquietudine.

Si gettò verso la corsia opposta confondendosi fra le bottie scorse ben presto le due persone che seguivano la lanterna: erano il capitanoed il fiammingo.

- Che abbiano nascosto qui qualche caratello di vino e chevengano a berselo senza invitarci? - mormorò il basco. - Simili bricconate noinon le permetteremoe se c'è da bere si berrà in compagnia.

Si rannicchiò in un angolo oscuro e stette ad osservare.

I due uomini si avanzarono fino quasi verso il centro dellastivapoi sollevarono due grossi botti gettandole sopra le vicine e sicacciarono dentro il vano rimasto.

- È qui- disse il capitanola cui voce giungevadistintamente fino a Mendozadata la sonorità della stiva.

- Molta polfere? - aveva chiesto subito mastro Arnoldo.

- Cinquanta libbre.

- Basteranno?

- Non rimarrà intatta una tavola.

- E nemmeno uno di quei pirpanti?

- Spero di no.

- Afete la miccia?

- È già a posto.

- Quanto durare?

- Dieci minuti almeno.

- Afremo tempo di scappare colla scialuppa?

- Non avremo che da ritirare la fune poiché è sempre arimorchio della caravella. Vi ho fatto mettere già dentro dei viveri e deiremi.

- Date fuoco.

Mendoza ne sapeva piú del bisogno. Spaventatocolla frontemadida di freddo sudoreretrocesse sollecitamente verso il quadro e siprecipitò dentro la cabina occupata dal guascone e da Buttafuoco.

- Susuin piedi subitosenza perdere un istante- dissescuotendoli vigorosamente.

- Ci si abborda? - chiese il guasconebalzando lestamentegiú dal lettuccio.

- Seguitemi senza far rumore e non mi chiedete spiegazioni-rispose Mendoza. - Venitesignor Buttafuocose vi preme la pelle.

A poppacome in tutte le caravelle e anche nei galeonis'apriva un ampio sabordoil quale serviva anche talvolta a piazzarvi dellapiccola artiglieria.

Mendoza spinse i suoi amici verso quellopoi disse:

- Calatevi in mare senza esitare.

Buttafuoco ed il guasconeimpressionati dalla voce alteratadel basconon chiesero nessuna spiegazione. Si assicurarono le spadescavalcarono il sabordo e si lasciarono cadere in mezzo alla scia spumeggiante.

Un secondo dopo anche Mendoza era in acqua.

In quel momento la scialuppala quale seguiva la caravellaattaccata con una funicella d'una trentina di metrigiungeva.

Mendoza e don Barrejo l'abbordarono da una parte eButtafuocoche era piú alto e piú pesantedall'altra partepoi non senzasforzo vi si issarono.

- Taglia la fune!... - comandò il bascovolgendosi a donBarrejo.

Il guasconecomprendendo che stava per accadere qualche cosadi terribileobbedí subito.

- Ai remi ora!...Arrancate forte se vi preme salvarvi!...

La scialuppa si mise in corsa in senso inverso della rottatenuta dalla caravella. Aveva appena percorsi cinquanta o sessanta metriquandoun urlo echeggiò sul piccolo veliero.

- Maledizione!... La scialuppa è scomparsa!... Siamoperduti!...

Si udirono delle urladelle bestemmiepoi un gran lamposquarciò l'oscuritàseguito da un rombo formidabile e da una tempesta dirottami.

La caravella era saltata in aria col suo disgraziatoequipaggiocon compare Pfiffero ed il pretesto figlio del grande di Spagna.

Per alcuni istanti sopra il gorgo aperto dallo scafosventrato dall'esplosionesi distese una nuvolaglia di fumo rossastropoi labrezza notturna lo disperse.

- Amici- disse Mendozacon voce commossaasciugandosi ilsudore che gli copriva la frontemalgrado il bagno- ringraziate Iddiosesiete ancora cristianipoiché a lui solo dovete la vostra salvezza.

- Io mi domando ancora che cosa sia successo- disse donBarrejoil quale pareva istupidito. - Che cos'è che è saltato?

- La caravellae se tardavamo due o tre minuti saltavamoanche noi.

- Aveva preso fuoco? - chiese il bucaniereil quale nonriusciva ancora a raccapezzarsi di quel terribile colpo di scena.

- Cioèavevano dato fuoco ad un barile di cinquanta libbredi polvere per mandare noi in aria- rispose il basco. - Per una fortunatacombinazione me ne sono accorto a tempo e la scialuppache doveva servire aloroè rimasta invece nelle nostri mani.

- Avevano giurata la nostra perdita?

- Il capitano insieme a compare Pfiffero e probabilmented'accordo coll'equipaggio- rispose Mendoza.

- Amici- disse Buttafuoco- ritorniamo laggiú. Vi puòessere qualche uomo da raccogliere.

- Lasciate che i pesci-cani se lo mangino- disse il feroceguascone.

- No- rispose Buttafuocoafferrando un remo. - Questeinumanità non le permetterò mai.

“Sono stati abbastanza puniti del loro infame tradimento.”

- È giusto- disse Mendoza.

Presero i remi e si diressero rapidamente verso il luogo oveera scomparsa la caravellasormontandonon senza difficoltàl'onda prodottadal gorgo che stava distendendosi all'intorno con un orribile rumoreggiare.

Lo scafoaperto dall'esplosioneera affondato. Allasuperficie rimanevano invece moltissimi rottami: pezzi d'alberipennoni chereggevano ancora le loro vele latine distese sull'acquacassebottipezzi dimurata ed avanzi del quadro e del castello di prora.

L'esplosione doveva essere stata formidabilepoiché non viera nessun attrezzo intero.

La scialuppa passò in mezzo ai rottamisoffermandosi qua elà con la speranza di raccogliere ancora qualche superstite.

Nessun essere vivente galleggiava. Scorsero invece untroncone umano appartenente ad un meticcioil quale si teneva ancora col lebraccia disperatamente aggrappato ad un'antenna. Il disgraziato era statotagliato a metà e non aspettava che un pescecane per perdere anche quantorimaneva del suo corpo.

- Sono scomparsi tutti- disse il guascone. - Anche comparePfifferoquantunque io in fondo fossi convinto che avesse qualche legame diparentela con messer Berlicchese n'è andato in un mondo migliore.

- Era però il piú colpevolepoiché deve essere stato luia preparare il tradimento che doveva mandarci a cercare il tesoro del GranCacico nel regno delle tenebre eterne.

- Qui non vi è piú da far nulla- disse Buttafuoco. - Nonci rimane che di puntare su Tarogase potremo giungervi.

- E perché nosignore? - chiese il basco. - La scialuppa èsolidaabbiamo dei viveri e nulla dobbiamo temere da parte dei nostri amicifilibustieri.

- Siamo lontani ancora? - chiese il guascone.

- Non vi potremo giungere prima di quarant'otto ore-rispose Mendoza. - Dobbiamo contare solamente sui remi ed avremo da faticare unpoco a compiere la traversata.

“Fortunatamente il tempo finora si mantiene buono.”

- Guarda che cosa hanno messo qui dietro i marinai dellacaravella- disse Buttafuoco.

- Vedo dei pacchi ed un barile.

Mendoza ed il guascone fecero rapidamente l'inventario diquanto era stato imbarcatoe constatarono che il capitano barbuto aveva fattole cose per benepoiché il barile era pieno d'acquauna cassa era colma dibiscotti ed i pacchi contenevano dei formaggi e dei prosciutti salati. Non viera certamente l'abbondanzama non vi era nemmeno il pericolo di morire difamepoiché le provviste erano state fatte per sette uominimentre gliavventurieri non erano che tre.

- Orsúnon possiamo lagnarci- disse Mendoza. - Queipoveri diavoli avevano certamente contato di riguadagnare la costa americana inun paio di giorni.

“Noi avremo provviste sufficienti per una settimanaanchesenza metterci a razione. Si parte?”

- Partiamo- disse Buttafuoco sedendosi a poppa.

Il guascone si mise a mezza barcail basco si sedette sullapanca di prora e la scialuppa abbandonò lentamente quel tratto di mare cosparsodi rottamidirigendosi verso ponente.

Fra i viveri il basco aveva trovatoben avvolta in unostracciouna bussolae se l'era subito appropriata per mantenere la direzionealmeno approssimativa. Per tre o quattro ore la scialuppa si avanzò sotto icolpi vigorosi del guascone e del bascosormontando abbastanza facilmente leondate che di quando in quando giungevano dal largo; poi i due uomini dovetterocedere.

- Preferisco dare dei colpi di draghinassa- disse ilguasconesbarazzandosi della giubba ed anche del giustacuore.

- Ed io colpi di spada- disse il basco. - Sono diventato unpessimo marinaio.

- T'ingannicompare: sei solamente invecchiato.

- Vorrei però che tu ti gettassi davanti alla mia spada.

- Tonnerre!... La draghinassa d'un guascone nonattraverserà mai il mare di Biscaglia per ferire i fratelli piú o menoprossimi- disse con voce grave.

- O per non prenderle? - disse il bascoscherzando.

- I guasconi cadono sul campo dell'onoresenza prenderle.

- Sicché nemmeno quando sono stati accoppati non le hannotoccate secche- disse Buttafuoco.

- Nosignoreperché quando un uomo è morto nonconfesserà mai di essersi fatto ammazzare da un altro spadaccino piú abile dilui.

“Almeno cosí si pensa nella grande Guascogna.”

- Un paese che non vale nemmeno la Biscaglia e che èsolamente un piccolo dipartimento francese!

- Che cosa importa il paese se siamo grandi noi? E poivedimio caro basco...

Un urto violentissimoche fece cappeggiare la scialuppa dababordo a tribordofino quasi ad imbarcare dell'acqualo interruppe.

- Abbiamo urtato? - disse Buttafuocobalzando in piedi.

- E contro chisignore? - chiese il basco. - Non vi sonoscoglietti da queste parti.

- Contro qualche rottame della caravellaamico Mendoza.

- Ehsiamo ben lontani.

Un altro urto avvenne in quel momentoe fu cosí improvvisoda mandare a gambe levate il guascone.

- Tonnerre!... - gridòaggrappandosi al banco pernon cadere in acqua. - È il diavolo del Pacifico che giuoca con noi?

Mendoza si era curvato sull'acqua ed osservava attentamente.

Dapprima non vide nullama dopo qualche istante scorse dellegrosse strisce fosforescenti che correvano in tutte le direzionidescrivendodei fulmini zig-zag.

- Capperi!... - esclamò. - Ora so chi sono i disturbatoridella nostra quiete.

Poi volgendosi verso il guasconeil quale si era rimessogià in equilibriogli disse:

- Ecco una bella occasione per provare il filo della tuadraghinassa e la robustezza del tuo braccio.

- Si tratta di menare colpi? - gridò don Barrejolevandosubito lo spadone. - Non

chiedo di meglio.

- Contro chi? - domandò Buttafuoco.

Siamo caduti in mezzo ad una banda di pesci-martellosignore- rispose il basco.

- Che riescano a rovesciare la scialuppa?

- Non sono grossi come i charchariastuttaviamisurano anche essi quattro o cinque metri ed hanno certe bocche da far venir lapelle d'oca solamente a vederle.

- L'affare è dunque serio- disse don Barrejo.

- Forse piú grave di quello che tu credipoiché la nostrascialuppa non è niente affatto pesante ed il suo fasciame è cosí avariato chepotrebbe cedere sotto un poderoso colpo di coda.

- Scommetterei qualunque cosa che è l'anima di comparePfiffero che ce li ha mandati per prendersi la sua rivincita.

Malgrado la gravità della situazioneButtafuoco e Mendozanon poterono frenare un risata.

- Non c'è da ridere- disse il burlone. - Ve l'avevo sempredetto che quel Pfiffero doveva essere qualche parente del diavolo.

Ohé!...Volete buttarci all'aria? Pensate che io ho le gambetroppo lunghe per mantenermi in equilibrio su questa carcassa e che non sono maistato marinaio.

Un terzo urto aveva gettata la scialuppa da un lato facendolanuovamente piegare fino al livello d’acqua. Guai se in quel momento forsegiunta l'eterna ondata del pacificola quale per fortuna si riproduce adintervalli abbastanza lunghi.

- Fuori le spadeamicie diamo battagliase non voleteservire da cena a questi dannati squali- disse Mendoza.

- Ora li punisco io questi insolenti- rispose il guascone.

- Bada di non cadere in acquapoiché allora nessuno certoti salverebbenemmeno la tua draghinassa.

“Dobbiamo avere intorno a noi una decina di quei mostri.”

- Dieci colpi di spada e tutto sarà finito- disse ilguascone.

Si sedettero sui banchi disponendosi in modo da equilibrareil meglio che era possibile la scialuppa e cominciarono a menar colpiall'impazzata a babordo ed a tribordo.

I pesci-martello però pareva che non avesseroalmeno pelmomentoalcun desiderio di provare il filo e le punte delle spadepoiché simantenevano ostinatamente sommersi. Solamente di quando in quando qualcunoappena segnalato da una rapidissima scia fosforescentes'avventava contro lascialuppavi cozzava la grossa e robusta testa foggiata a martello e passavasubito dall'altra parte della chiglia senza dar tempo ai tre spadaccini dicolpirlo.

- Che battaglia è questa? - chiese don Barrejodopo d'avermenato inutilmente una trentina di colpi di draghinassa senza aver ottenutoaltro risultato che di spruzzare i suoi compagni. - Non si combatte cosí inGuascogna.

- Manda loro un cartello di sfida e pregali di presentarsiuno per volta- disse Mendoza.

- Non ho potuto ancora vedere una di quelle bestiacce.

- L'aurora è vicina e cosí avrai l'occasione di ammirarli.

- È vero che sono bruttissimi?

- Ma nosono anzi carini; con quel loro martellaccio fornitoalle estremità di due occhi che ti mettono indosso il malessere al solovederli...

- E il chiami carinibirbante!... Ah!... Eccone uno chearriva!... Se ti prendo ti taglio in due!...

Una striscia fosforescente si avvicinava con una rapiditàfulmineadirigendosi verso la scialuppa.

Don Barrejo afferrò la draghinassa a due mani e tirò giúuna botta capace di spaccare anche un macigno.

La larga lama questa volta non cadde nel vuoto e colpí suldorso il pesce-martellotagliandogli nel tempo stesso le pinne dorsali.

Lo squalo si rovesciò prontamente sul dorso e si avventòcontro il bordo della scialuppacercando di addentarlo.

- Tonnerre!... Se è brutto!... - gridò don Barrejo.- E Mendoza li chiamava carini questi mostri!...

La draghinassa piombò sul muso del terribile squalospaccandoglielo mentre Mendoza e Buttafuoco gli cacciavano nei fianchi le lorospadeurlando:

- Prendibirbante!...

- Gusta questacanaglia!...

Lo squalo fece un balzoalzandosi quasi a metà fuoridall'acquapoi scomparve nella profondità dell'oceano.

- Ecco uno che va a trovare l'ospedale dei pesciammesso cheve ne sia qualcuno in fondo al mare- disse don Barrejo.

- Gliele abbiamo datefinalmente- aggiunse Mendoza. - Erostanco di forare inutilmente l'acqua.

- Questo si chiama battagliareè verobasco? Che colpi chedanno i guasconieh?

- E che stoccate danno i baschi- rispose Mendoza. - Devoavergli trapassato il cuore di colpo.

- Allora è inutile che vada all'ospedale.

- Chiacchierate troppovoi- disse Buttafuoco. - Non vedeteche i compagni del ferito montano all'assalto?

- E noi siamo pronti a riceverliè veroMendoza? - gridòil guascone.

- Sempre- rispose il basco.

Delle linee fosforescenti s'incrociavano attorno allascialuppastringendosi sempre piú. I pesci-martello accoverano a vendicare ilcompagno.

- Aprite gli occhi!... - gridò Mendoza- e saldi ingambe!...

La scialuppaurtata da tutte le partitrabalzavadisordinatamente come se l'oceanotutto d'un trattofosse diventatotempestoso.

I mostri la investivano con furoreavventando dei colpi dicoda che potevano sfondare il vecchio fasciamecome aveva detto il bascopoipassavano sotto la chiglia e cercavano di alzarla spingendosi a galla.

Fortunatamente il peso costituito dai tre avventurieridalbarile pieno d'acqua e dalle provvisteera abbastanza considerevolequindi viera ben poca probabilità che riuscissero nel loro intento di gettarla collachiglia in aria.

ButtafuocoMendoza ed il guasconenon poco impressionatidal simultaneo attacco di tutti quei mostrisi facevano in dodici per menarebotte furiosele quali non cadevano sempre nel vuoto. Era la draghinassaspecialmente che faceva i piú bei colpispaccando quei brutti martellacci.

Quell’assalto durò dieci buoni minutipoi gli squaliparvero averne abbastanza di quella grandine di stoccate che apriva dei larghibuchi sui loro dorsipoiché finalmente si decisero ad allontanarsipurmantenendosi sempre in vista.

- Non sono battagliequesteguascone? - chiese il bascoasciugandosu uno stracciola sua spada grondante di sangue.

- Non dico di no- rispose don Barrejotergendosi il sudoreche gli colava dalla fronte. - Però preferisco sempre quelle che si combattonoin terra.

“Almeno si guardano i nemici in viso e poi si hanno i piedipiú fermi.

“Che siano persuasi che coi guasconi e coi i baschi non c’èda guadagnare nessuna cena?”

- Si dice che quei mostri siano molti testardiamicoe nonsarei sorpreso se alla prima luce del giorno ritornassero all’attacco.

- Se provassimo ad allontanarci? disse Buttafuoco.

- Era quello che volevo proporvisignore. Lasciamo cheBarrejo si riposi un po' e facciamo lavorare noi i remi.

- Anzi io vi guarderòcorpo d'un satanello- rispose ilguascone. - Ho incominciato a provarci un po' di gusto anche alle battagliemarittime.

Buttafuoco ed il basco presero i remi e si misero adarrancarecolla prora sempre volta a ponentecercando di passare di fiancoalla torma famelica.

Infatti per un po' vi riuscironoma poi dovetteroconstatarecon loro poco piacereche gli squali organizzavano la cacciadecisia quanto parevaa guadagnarsi la prima colazione giacché avevanoperduta la cena.

Quando il soledopo una brevissima auroras’alzòrisplendente sull’oceanofacendo scintillare le acque di miriadi di pagliuzzed’oroi pesci-martelloche durante la notte si erano limitati a scortare lascialuppatenendosi ad una certa distanzatornarono a mostrare delleintenzioni estremamente bellicose che non garbavano piú nemmeno al battaglierodon Barrejo.

Mendoza non si era sbagliato sul loro numero. Erano proprionove o diecitutti lunghi dai quattro ai cinque metrii quali si avanzavanocon dei ridicoli movimentiche in altre occasioni avrebbero strappate dellerisepoiché martellavano l’acqua a destra ed a sinistrasollevando altisprazzi di candidissima schiuma.

Di quando in quando si arrestavano come per prendere lenarimontavano alla superficie per un buon terzo della loro lunghezza e mostravanole loro enormi bocche semi-circolariirte di denti e situate là dove avrebbedovuto trovarsi il collociò che doveva rendere un po' difficilea queimostril’afferrare di colpo la preda.

- È un piccolo esercito che si prepara a darci valorosamenteun nuovo attacco- disse don Barrejoil quale li osservava piú con curiositàche con vera apprensione. - Da buon guascone io francamente li ammiro.

- Perché desiderano mangiare le tue magre gambe? Bellacolazione che offriresti tu! - esclamò Mendoza. - Fossero quelle del signorButtafuoco!...

- Io spero che rimarranno col desiderio in gola- risposedon Barrejo - Tonnerre!... La mia draghinassa è sempre prontae poi saiche cosa si dice?

- Se non ti spieghi non posso indovinare.

- Che la carne dei guasconi è piú amara di quella deglialtri.

- Perché siete piú biliosidiavolo!...

- Allora daranno la preferenza alla tue bistecche ed a quelledel Signor Buttafuoco e risparmieranno le mie gambeintorno alle quali d’altrondetroverebbero delle ben magre polpe.

“Ah!... Eccoli!... Mano alle spadesignori mieiecerchiamo di far onore alla Guascognaalla Bassa Loira ed alla Biscaglia.”

- Coi pesci!... - esclamò Buttafuoco.

- Non sono meno pericolosi degli uominisignore.

- Questo è veroperò sono certo che non apprezzerannoaffatto il nostro valore.

La torma furibonda si scagliava allora all’attacco in lineaserratanon cercando piú di tenersi sott’acqua.

Reclamava imperiosamente la sua colazione con certi rauchigorgogliiche certi momenti rassomigliavano al tuono udito ad una grandissimadistanza.

I tre avventurieridopo d’aver trasportato rapidamente aprora il barilela cassa ed i viveriper non squilibrare la scialuppasiradunarono intorno alla poppa e cominciarono animosamente la lottaincoraggiandosi a vicenda con altissime grida.

- Avanti la Guascogna!...

- Sotto la Bassa Loira!...

- PicchiaBiscaglia!...

Il primo pesce martello che giunse sotto la poppa e chetentò di addentare l’orlo del fasciame coi suoi denti duri come l’acciaionon ebbe fortunapoiché il bucaniere fu pronto ad immergergli nella boccaspalancata la sua spada inchiodandogli la lingua contro il palato.

Il povero squalo fece un capitombolo e si lasciò andare apicco fra un cerchio di sangue.

Anche al secondoche si slanciò all'assalto con grandeimpetotentando di cozzare contro la scialuppa colla sua testaccianon andòmeglio.

Aveva avuto il torto di presentarsi al guasconee vi poteteimmaginare come il terribile spadaccino picchiasse sodo.

Vlan!... Vlan!... Due colpi di draghinassa ben assestati e ledue estremità del martello cadono interamente tagliate.

Il povero squalocosí spaventosamente mutilatosi arrestòun momento versando due torrenti di sangue dalle feritepoi anche quello silasciò andare.

La lotta era appena cominciata. Gli altriresi furiosi perle perdite subite e per tanta ostinata resistenzacircondarono la scialuppascrollandola poderosamente e tentando di rovesciarla.

I colpi di spada e di draghinassa grandinavano fitti su queicorpaccitagliando e bucando; però i mostri marini tenevano duro quantunque inmaretutto intorno a lorosi tingesse di sangue.

I tre avventurieri erano costretti a precipitarsi ora versoprora ed ora verso poppaa seconda che l'attacco diventava piú violento.

Un profondo terrore cominciava ad impadronirsi anche di queisaldi cuori che avevano sfidato tante volte la morte in tanti combattimenti.L'idea di dover ben presto finire nelle gole di quelle affamate bestiacceparalizzava non poco la loro energia.

Battagliavano ferocemente da un quarto d'orasempreminacciati di trovarsi da un momento all'altro in acquaquando un colpo difucile rimbombòed uno squalocolpito dalla palla di un bersagliereinfallibilebalzò piú che mezzo fuori dalla spuma sanguigna riversandosiall'indietro.

Quasi subito altre due detonazioni si seguirono e altri duepesci-martello subirono l'egual sorte.

Buttafuoco aveva gettato un rapido sguardo verso il largo.

Una grossa pirogache pareva fosse sorta improvvisamente dalmaremontata da una dozzina di uomini che portavano dei giganteschi cappellaccidi foglie di palma intrecciateaccorreva a gran forza di remi in loro aiuto.

Quattro di quei salvatori sconosciutiche dovevano esseredei meravigliosi tiratorifacevano fuoco contro gli squali senza mai mancare albersaglio.

Buttafuoco aveva mandato un grido altissimo:

- I filibustieri!...

- Tonnerre!... Finalmente e proprio a tempo- disseil guasconemenando un ultimo colpo.

Cinque minuti dopo i tre avventurierisfuggitimiracolosamente e per ben due volte ad una morte spaventevolesalivano a bordodella piroga filibustiera e cadevano fra le braccia di Raveneau de Lussan.

 

 

Capitolo IX

GLI ULTIMI FILIBUSTIERI

 

La filibusteriaquella formidabile repubblica di masnadieriche non sentendo né amor di patriané sete di gloriané ambizioni di statos'era rovesciata sull'America centraleanimata dal solo scopo di saccheggiare egoderenell'epoca in cui si svolge il nostro racconto non era piú la tremendané mobile quanto i cavalloni del marecome veniva chiamata.

Golfo del Messico la filibusteria era morta colle ultimeimprese di Montaubancon Sardauun altro gentiluomo francesecon unbiscaglino conosciuto sotto il nome di Basco e con Jonqué.

Essendoci noi prefissi di raccontare le gesta di questiultimi corsari che diedero ancoracolle loro imprese meraviglioseun ultimolampo di lustro alla loro societàci occuperemo prima di questi uomini per poipassare a quelli che nell'oceano Pacifico tenevano ancora alta la fama deiFratelli della Costa.

Le imprese di questi quattro uomini si possono considerarecome le ultimepoiché dopo di loro la filibusteria scomparve dal Golfo delMessico e la Tortue che rimase pressoché desertain balia del primo occupante.

Montauban era salito in grandissima rinomanza colle sueaudaci scorrerie

Narrasi di costui un tratto che non si aspetterebbe da partedi uomini dati con tanto furore al pubblico ladroneggio.

Una schiera di filibustieri si era impegnatadietro un certocompensodi condurre in salvo un bastimento spagnuolo portante un ricchissimocarico.

Durante il viaggio uno di quei corsari fa la proposta aicompagni di abbordarlo di sorpresa e d'impadronirsene.

Montauban che guidava quegli avventurieriudendo talepropostaordinò di mettere una scialuppa in mare e di lasciarlo guadagnare laterra piú vicina.

I filibustieri rifiutarono energicamentedicendo che nessunodi loro aveva approvata la proposta che gli faceva tanto orrore.

Il colpevole fu abbandonato sulla prima isola deserta ches'incontrò e tutti giurarono che un tal uomo senza fede e senza onore nonavrebbe mai piú fatto parte dei Fratelli della Costa.

Il naviglio spagnuolo fu condotto in salvo e Montauban simise a corseggiare pel golfo recando non pochi fastidi agli spagnuoli e facendonon poche prede.

I tempi però erano cambiati e l'esistenza dei filibustieridiventava giorno per giorno piú duranon avendo ormai piú un sicuro puntod'appoggio nella Tortue diventava quasi spopolata.

Per di piú le nazioni europee che avevano interessi inAmericaspecialmente la Francial'Inghilterrala Spagna e l'Olandadopo unlungo guerreggiareavevano concluso la pacesicché i filibustieri nonpotevano piú ottenere patenti di corso che li facessero considerate comebelligeranti.

Tuttedopo essersi servite di quei formidabili scorridoridel mareli avevano abbandonati alla loro sorteconsiderandoli come un brancodi pirati degni di essere appiccati ai piú alti pennoni delle fregate.

Montauban vedendo che nelle Indie Occidentali ormai ifilibustieri non godevano né protezionené indipendenzaattraversa pel primol'Atlantico e va a corseggiare sulle coste africanein attesa di qualchevascello della celebre Compagnia delle Indie.

Dopo varie prede ne incontra finalmente uno di nazionalitàinglese e poderosamente armato.

I filibustieri lo assaltano con grande fidanzaessendo ormaiabituati alle vittorieed invece si accorgono di avere da fare con della genterisoluta al pari di loro.

Montauban però inspira ai suoi uomini titubanti un talecoraggioche sebbene assai inferiori di numeroriescono finalmente adabbordare il vascello nemico e mettere piedi sul ponte.

Il capitano inglesevedendosi ormai perduto e non sostenendouna tale umiliazionedà fuoco al deposito delle polveri e manda in aria tutti.

Una buona stella proteggeva certamente i filibustieripoiché mentre tutti gl'inglesi perivanoquindici di costoro si salvavanoinsieme a Montauban.

Per loro mala sorteinsieme al vascello inglese era puresaltato il legno corsaronondimeno quei terribili uominidopo d'aver vagato alungo fra i rottami delle due naviscoprono uno schifo ancora galleggiante e siavviano verso l'Africa.

Errano sull’Atlantico per settimane e settimaneesposti adogni genere di patimentiobbligatidi quando in quandoa cibarsi delle carnidei loro compagni che la fame e la miseria aveva spentifinché toccano terrae per un caso stranovengono accolti amichevolmente da un principe negro cheMontauban aveva conosciuto in altri tempi.

Era quel principefamoso sulle coste della Guineadoveaveva compiute molte arditissime impreseed era in quel tempo specialmenteoccupato a molestare i forti inglesi.

Montauban unisce le sue poche forze a quelle del principe edespugna un forte difeso da ventiquattro cannonima poistanco di tantescorreriesi ritrasse in patria portando con sé una discreta fortunaedoccupò il resto dei suoi giorni a scrivere le sue memorie.

Un altro filibustiere francese che godette in quei tempi ungran nomefu Sardaue facciamo specialmente menzione di lui per un singolarecaso.

Dopo d'aver compiute moltissime e fortunate scorreriequestoardito marinaio si getta sulla Giamaica alla testa di duecentonovanta compagniper saccheggiarla.

Il caso volle che centotrentacinque dei suoi uominirimanessero separati dalla loro naveche un colpo improvviso di vento avevasbalzata lungi dalle coste.

La Giamaica allora era uno stabilimento di primo ordine emunito di forte guarnigione.

I disgraziati filibustieriabbandonati al loro destinoerrano nell'interno dell'isola combattendo giorno e notte contro gli abitanti econtro le truppe.

Non avrebbero certamente potuto a lungo sostenersi controtanti continui attacchi che giungevano da ogni partepoiché molti di loroerano già caduti nei combattimentiquando trovarono meravigliosamente lasalvezza in uno dei piú tremendi disastri che la storia registri.

Un tremendo terremoto devasta da capo a fondo l'isolaopulentaed in mezzo alla generale costernazione i filibustieriche hanno lefibre piú saldesi impadroniscono di alcuni battelli e riescono a raggiungerei compagni corseggianti al largo.

Il Basco e Jonqué furono pure in grande rinomanza per certeloro straordinarie imprese.

Incrociavano un giorno dinanzi a Cartagena con tre piccolilegniin attesa di fare un buon colpoquando videro uscire dal porto duevascelli da guerrai cui comandanti avevano ricevuto l'ordine di sterminarequella razza di ladri e di ricondurli in città vivi o morti.

I filibustieri del Basco e di Jonqué non si perdono perquesto d'animoe quantunque immensamente inferiori per numero d'uomini e perbocche da fuocoassaltano arditamente le due fregate ecosa incredibilese neimpadroniscono dopo un combattimento durato solamente poche ore.

Presi poi quanti spagnuoli vi eranoli sbarcarono a terracon una letteracolla quale ringraziavano il governo di Cartagena di avermandato loro due buoni vascelli dei quali avevano estremo bisognoavvertendoloche se ne avesse qualche altro di troppo lo avrebbero aspettato per quindicigiornied aggiungendo che se non lo fornisse anche d'una buona somma di denarol'equipaggio non avrebbe avuto quartiere. E manterranno la parola; però nessunvascello si mosse ad assalirli.

I capitani Michel Brouage furono gli ultimi filibustieri chediedero ancora un po' di splendore ai Fratelli della Costa.

Si narra di costoro che essendo un giorno in crociera dinanzia Cartagenas'imbatterono in due vascelli olandesii quali avevano caricatograndi ricchezze in quel porto.

Michel e Brouage che avevano pure due navima inferiori diforzemuovono animosamente all'attacco e se ne rendono ben presto padroni.

Gli olandesivergognosi di aver dovuto cedere dinanzi aforze tanto inferiori alle loroardiscono dire a Michel che se fosse stato solonon sarebbe riuscito nell'impresa.

- Ebbene- rispose fieramente il valoroso corsaro-ricominciamo il combattimento mentre il mio compagno starà a guardarci.

“Se vincoio non avrò una sola piastrama rimarròpadrone delle due navi.”

Gli olandesi si guardarono bene però dall'accettare lapropostae furono solleciti a ritirarsiper tema che tardando non venisseroforzati alla prova.

Dopo questi la storia non ricorda piú famosi filibustierinel golfo del Messico.

Rimasero però ancoraper molti annidelle accozzaglie didisperatiimpotenti a compiere le grandi imprese dell'Olonesedi MontbarsdiWan-Horndi Michele il Bascodi Morgan e di tanti altri famosissimi.

Cessata la filibusteria nel golfo del Messicoeccola peròsorgereabbastanza potentesull'oceano Pacificoil quale si prestava meglioalle lunghe corse ed alle grosse cattureessendovi quei formidabili uominiquasi sconosciuti.

Nel 1684 un primo nucleo di filibustieriguidati da uninglese chiamato Davidcompiono l'allora arditissimo viaggio intornoall'America del Sude dopo di aver girato felicemente lo stretto di Magellanocompariscono improvvisamente nell'oceano Pacifico.

Erano in ottocentoe ben risoluti di mettere a ferro e afuoco le opulenti città del Chilídel Perú e dell'America centrale.

Un altro corpo di duecento francesi tiene dietro a quel primonucleo e lo raggiunge per rinforzarli.

Quando leggiamo nelle storie dei moderni navigatoriCookBouganvilleLa PerouseKrasensterne tanti altrile grandi difficoltà cheessi hanno incontrato nell'oceano Pacificoquantunque forniti di tantisussidiipoiché la geografial'astronomia e la nautica erano salite ai lorotempi ad altissimo grado di perfezionenon si può non rimanere stupitidell'audacia incredibile di quegli avventurieri che con scarsi mezziconvascelli cosí sgangherati compivano imprese audacissime.

Eppurequantunque non conoscessero affatto l'estrema Americadel Sudla superarono felicementesfidando tempeste e scogliere ed eccolicomparire improvvisamentequando meno gli spagnuoli se l'aspettavanonelgrande oceano.

Un altro corpo d'inglesicomposto solamente di centoventiuominiardí frattanto concepire il disegno di scendere verso l'oceano Pacificoattraversando per terra l'America centrale dal Golfo d'Uraba al fiume Chicaepoco dopo quattrocento francesi li seguonorisoluti a vedere almeno da lontanole torri merlate dell'opulenta Panama.

Alcune altre piú piccole schiere osarono altrettantoma noinon seguiremo le tracce di tutti costoroche troppo lungo sarebbe narrare leardite imprese che tentarono ed i disastri ai quali dovettero per la maggiorparte andare incontropoiché gli spagnuoli vegliavano dovunque.

Ci limiteremo a parlare del grosso dei filibustieri che avevapassato lo stretto di Magellano con una flottiglia di dieci bastimenticioè didue fregateuna di trentatré e l'altra di sedici cannonidi cinque legniminori senza grossa artiglieria e di tre barcaccie che tenevano appena il mare.

Erano inglesifrancesi ed olandesie fra tutti sommavano amille cento uominiai quali piú tardi si aggiunsero quei piccoli gruppi cheavevano attraversato l'America centrale per via di terra.

Un inglesedi nome Davidfu il capo di quella grossaspedizione.

Il primo incontro di quella flottiglianavigante ormailiberamente verso settentrionefu di un bastimento spagnuolo che tostopredarono.

Avendo inteso dagli uomini caduti nelle loro mani che deilegni mercantili avevano avuto l'ordine dal viceré del Perú di non abbandonarei porti della costa fino a tanto che una squadra non avesse purgato l'oceanoPacifico dai filibustieriDavid ed i suoi tirarono egualmente innanzirisolutia dare la caccia ai famosi galeoni che lo spento impero degli Incas mandavasempre numerosissimi a Panama.

La loro improvvisa comparsa dinanzi alla regina dell'oceanoPacifico mette in grande ansia gli spagnuolimemori dei disastri in addietrosubiti da parte di quella terribile razza di ladroni.

Se David avesse osatoun'altra volta Panama avrebbe subitoun orribile saccheggioma il coraggio gli mancò e dopo d'aver incrociato perquattro settimane in vista delle cittàcondusse la sua flotta all'isola diTarogaallora quasi deserta.

Ecco però che quasi subito compariscono sette navi daguerradue delle quali portavano nientemeno che settanta cannoni ciascuna.

Il Mare era tempestoso e niuna proporzione vi era fra leforze spagnuole e quelle del filibustiereessendo queste immensamenteinferiori.

Inoltre questi ultimi non conoscevano i bassifondidell'isolané avevano tanta artiglieria da opporre a quella nemica.

I filibustiericome sempre non si perdono d'animo edimpegnano furiosamente la lottaquantunque quasi certi di una sicuradistruzionee liberano prontamente le loro due fregate in procinto di esserecatturateriportando in poche ore una vittoria inaspettata.

Sfortunatamente dopo il fuoco delle artiglierie il mare entrain scenadisperde i legni vittoriosi e molti sono trascinati lontani su terrepoco note e naufragano.

Quella flottiglia che avrebbe potuto far tremare Panamasisciolse. I francesicon a capo un certo Grogniervanno a stabilirsi sull'isoladi San Giovanni di Pueblomentre David continua le sue scorrerie sul mare concrescente fortuna.

Le imprese di queste due schiere di filibustieri sonoincredibili.

Prendono d'assalto Leon ed Esparsoabbruciano Ralejo dopod'averla saccheggiatas'impadroniscono di Puelbo-Viejodi Granatacittàgrandiosa ed opulentadi Villialontana ben trenta leghe da Panamapoi diGuayaquill'opulenta città Nicaragua.

Malgrado tante fortunate spedizionimolti anelavano diritornare nel Golfo del Messicodove si trovava la culla della filibusteria.

Davidche possiede sempre la sua fregataè il primo che sidecideindebolendo cosí fortemente quelli che ancora rimanevano nell'oceanoPacifico.

Aveva costui svaligiati parecchi vascelli spagnuoli e fattivari sbarchi a Piscoad Aricaa Sagra ed in altri luoghiquindi si trovavaormai abbastanza ricco per lasciare quel pericoloso mestiere.

Egli prende risolutamente la via del sud per riattraversarelo stretto di Magellano.

Già stava per toccarloquando i suoi uomini lo obbligano atornare indietro. Durante la lunga navigazione avevano giuocatomalgrado cheleggi dei Fratelli della Costa proibissero il giuoco a bordo delle navie nonvolevano tornare in patria spogli di tutto.

Incontrato però un vascello condotto da un certo Wilnettutti quelli che avevano guadagnato vi si imbarcaronosicché a David non eranopiú rimasti che settanta inglesi e venti francesi.

Tuttavia ritornò nelle acque di Panama accolto con gioia dacoloro che erano rimasti sulle coste del Pacifico.

Frattanto un altro gruppo di cinquantacinque uomini tentapure il ritorno al Golfo del Messicoe si narrano di costoro delle avventuremeravigliose.

Possedendo un piccolo vascello e per di piú assai sdruscitoavevano concepito l'idea di spingersi fino sulle coste della California e di làtentare la traversata per terra attraverso l'impero Messicano.

Un uragano li scaraventa su un gruppetto d'isolette desertechiamate le Tre Marienon molto lontane dalla Costa Californiana.

Quei miserabili non possedevano piú nulla e le terre nonavevano di che nutrirlieppure vi si mantennero quattro anni sfidando tutti gliorrori dell'estrema miseria.

Finalmente la disperazione li trae da quel miserabilerifugiosu cui non avevano trovato per tutto pasto che qualche radice e delleconchiglie. Avevano accomodata alla meglio la navema non possedevano perviveri altro che un certo pane formato con la polvere dei gusci di conchiglie!

Fidenti nella loro sortescendono verso il sud e raggiungonole coste di Guayaquil dove speravano di trovare i loro antichi compagni.

Essendo questi partiti per altre spedizioniquei disgraziatiche si vedono dovunque minacciati dagli spagnuoli e dagl'indiani che impedisconoloro di scendere a terra per provvedersi di vivericoncepiscono l'incredibiledisegno di raggiungere lo stretto.

Per duemila miglia spingono innanzi il loro misero legnocontinuamente lottando coi venti contrari e soffrendo fame e sete quanto uomopossa mai immaginare.

Ma sopra ogni altra cosa era per essi intollerabile affannoil pensare che dopo tanti patimenti e pericoli ritornavano senza una vergad'argentopoiché tutto avevano perduto.

Avevano già raggiunto dopo tante fatiche e tante lottelostrettoquando deliberarono di tornare indietro e di raggiungere le Coste delPerúcolla speranza di fare qualche preda.

La fortuna è con loropoiché avendo per caso saputo che adArica stava all'âncora un vascello carico di verghe d'argento del Potosíentrano furiosamente nel portolo prendono d'assalto sotto gli occhi dellapopolazione terrorizzatae se lo portano via.

Il carico era di due milioni di piastre.

Diventati di colpo ricchie credendosi ormai largamentericompensati dalle tante miserie passateriprendono la via dello stretto colloro nuovo vascello e vi fanno naufragioperò riescono a salvare l'interocarico.

Ricostruitosi un legno cogli avanzi di quello naufragatoquegli uomini infaticabili attraversano finalmente lo strettoe dopo una lungae penosa navigazione salutano le superbe isole del golfo del Messico e vi sistabilisconochi a San Domingochi alla Giamaica.

Erano però rimasti ancora nell'oceano Pacifico duecento eottantacinque filibustieriparte annidati a Taroga e parte presso Guayaquileche altro non chiedevano che di andarsene a loro volta e di disperdersiessendoormai diventato il corseggiare quasi impossibile in causa delle numerose squadrespagnuole sempre sull'allerta.

Di questo nucleol'ultimopoiché dopo non si parlò piúné sulle coste del Pacifico né nelle acque del golfo del Messico difilibustieri propriamente dettici occuperemo fra breve.

 

 

Capitolo X

ALL'ARREMBAGGIO DEL GALEONE

 

Raveneau de Lussanmalgrado i sei anni passati alle isolefra continui combattimenticontinue ansie e miserie senza fineavevaconservato il suo inalterabile buon umore del gentiluomo francesesicchél'accoglienza fatta a Buttafuocoa Medonza ed al guascone fu una delle piúcordiali.

- Il cuore mi diceva- disse lorodopo di averli fattipassare sulla sua piroga e di averli abbracciati- che un giorno in qualcheangolo del mondo vi avrei riveduti. Peccato che con voi non vi sia anche quelbravo conte di Ventimiglia.

“Ah!... Come l'avrei riveduto volentieri!...”

- Mio caro- rispose Buttafuoco- egli è troppo felicecolla marchesa di Montelimar e non lascerà certamente il suo magnifico castellodi Ventimiglia.

“Se però non è venuto lui abbiamo condotto qui suasorella.”

- Chi? - chiese Raveneaucon stupore. - La nipote del GranCacico del Darien?

- Síamico.

- E dove si trova? Io non la vedo fra voi.

- Se fosse ancora con noiforse non ci avresti riveduticosí presto.

- Spiegati meglioButtafuoco.

- Noi siamo qui venuti a chiedere l'appoggio dei filibustieridel Pacifico per liberare ancora una volta la señorita Ines diVentimiglia.

- Ben detto- disse il guascone.

- Per Dio!... Ve l'hanno presa?

- Il marchese di Montelimar ce l'ha ritolta.

- È dunque innamorato pazzamente di quella fanciulla?

- Delle sue immense ricchezzemio caro Raveneau. Non haisaputo dunque che il Gran Cacico del Darien è morto?

- Come vuoi che gli avvenimenti che succedono dall'altraparte dell'istmo giungano fino a noi che siamo come isolati in mezzo al mondo?Sicché la señorita è sbarcata in America per recarsi al Darien araccogliere le favolose ricchezze di suo nonno?

- E come vedi non ha avuto fortunaperché appena giunta inPanama è rimasta nelle mani del suo nemicoil quale aspira da anni ed annicon una pazienza incredibiledi mettere le mani lui su quei tesoricolla scusache è stato lui ad allevare la contessina ed a mantenerla in casa sua persedici anni.

- E si trova a Panama?

- Síamico.

- Ebbene tu giungi in un cattivo momentomio caroButtafuoco.

“Tutte le altre partite di filibustieri che possedevanoqualche nave hanno preso la via del sud e non siano rimasti che in duecento eottantacinque fra i quali non pochi malati che saremo costretti ad abbandonaree quello che è peggio non possediamo che delle piroghe sgangherate.

“Come vorresti tu che io lanciassi quest'orda di disperaticontro Panama che oggi è quasi imprendibile?

“I bei tempi di Morgan sono ormai passati.”

- Noi non domandiamo tantomio caro Raveneau. Tu mi haidetto che se non possedete dei vascelli non vi mancano gli schifi e le piroghe.

“Gli ultimi filibustieri non sarebbero piú capacicontali mezzidi abbordare un galeone?”

- Che cosa diciButtafuoco? Noiappunto perché siamo gliultimisaremo i piú terribili e non avremo certamente paura di abbordare unanaveper quanto grossa sia.

“Spiegati però meglioperché di tutto questo affare nonho capito che una cosa sola: che si tratta di liberare la señorita diVentimiglia.”

- Ed è per questo che noi siamo venuti ad invocare l'aiutodei Fratelli della Costa che tanto hanno dovuto ai corsari italiani.

“Fra cinque o sei giornisalvo erroreuna nave salperàda Panama per trasportare la señorita alla baia di David.”

- E cosí? - chiese Raveneau.

- Non si tratta che di assalirla e di togliere agli spagnuolila fanciulla.

- È tutto qui?

- No- riprese Buttafuoco. - Che cosa fate voi altrinell'oceano Pacifico ora che tutti gli altri vostri compagni sono partiti? Checosa aspettate? Che qualche poderosa squadra spagnuola venga a snidarvi e acacciarvi tutti in mare?

Raveneau de Lussan guardò a lungo il gentiluomo francesesocchiudendo a piú riprese gli occhipoi disse:

- Sai dove andavamo ora con la nostra piroga?

- Nodavvero.

- Verso la costa per cercare delle informazioni che cisarebbero necessarie per passare definitivamente sul continente.

“Sono sei anni che viviamo sulle isole sempre in lottacolla fame e cogli spagnuoli ed abbiamo ormai fermamente deciso di lasciareanche noi per sempre l'oceano Pacifico.”

- E quale via terrete?

- Quella del Darien probabilmente- rispose Raveneau.

- Se si offrisse ai tuoi uomini qualche milione di piastre daprelevarsi sull'eredità del Gran Cacico a condizione di aiutarci nella nostraimpresa?

- Io credo che si getterebbero anche sulle calate di Panama.

- Noi dunque possiamo contare assolutamente su dite?

- Non soloma anche ti ringrazio di essere venuto a scovarmiperché questa storia delle favolose ricchezze del Gran Cacico decideràcompletamente i miei uomini a passare sulla costa.

“Tu mi hai detto che il galeone andrà a gettare le ancorealla baia di David?”

- Síamico- rispose Buttafuoco.

- Ebbene noi domani lasceremo la nostra maledetta isola edandremo ad aspettarlo in vista di quel porto.

Si volse verso i suoi uomini e disse:

- Affrettate le battutecamerati; ho molta fretta dirivedere l'isola

La pirogauna discreta imbarcazioneancora in ottimo statoarmata d'un cannone collocato a proravolava sulla acque dell'oceano il qualequel giorno era veramente Pacifico.

Il guascone e Mendoza avevano pure preso un remo ciascuno peraccelerare la ritirata.

Due ore dopo Taroga era in vista. L'isolaquasi sterileemergeva come un enorme cetaceo sul mareessendo molto lunga e molto stretta.

Da sei anni gli ultimi filibustieri vi si erano annidatitrovandosi essa sulle rotte tenute dalle navi che dalla California e dal Messicosi recavano a Panama a portare i ricchi tributi d'oro e d'argento strappati aipoveri indiani.

Il ritorno della piroga con ButtafuocoMendoza e donBarrejofu salutato con gioia da parte di quei terribili avventurieriessendoquei tre nomi sempre notissimi nella filibusteria.

Raveneau de Lussan che amava le cose spiccecondusse i suoiamici nella sua capannauna catapecchia formata di vecchie tele e di avanzi dinavie offrí subito loro una discreta colazione a base di carne di tartarugaessendo quell'isola molto frequentata da quei rettilipoi mentre li lasciavariposaresi recò ad informare i capi piú influenti di quella turba didisperati di quanto era stato proposto da Buttafuoco.

Come aveva previsto nessuno mosse delle obbiezioni. Tuttierano stanchi di quella vita di miserietrascorsa sotto un sole ardenteche liarrostiva vivie sospiravano da lunga pezza le grandi foreste profumate delcontinente.

Ormai non avevano piú nulla da fare nel Pacifico. Le navispagnuole si tenevano lontanissime e le coste erano guardate da turbe di soldatie d'indiani sempre pronti a rigettare in mare quel pugno d'uomini.

E poi la nostalgia del bel golfo del Messicola culla delleloro glorieda parecchio tempo li affliggeva e li consumava di desiderio.

Fu dunque decisoseduta stantelo sgombro dell'isola e lapartenza pel continente.

Durante la giornata furono fatti i preparativi per la grandespedizioneche poteva durare mesi e mesi attraverso le alte montagne e lesconfinate foreste dell'istmo.

I filibustieriche già da vario tempo maturavano il disegnod'andarseneprima che qualche grossa squadra spagnuola li sorprendesse e limassacrasse tutticome molti lustri prima era avvenuto a San Cristoforosierano già procurate delle preziose informazionistrappate col terrore aipescatori della costaperò non erano sufficienti.

La strada piú spedita sarebbe stata quella di Segovia-Nuovacittà dipendente dal governo di Nicaraguaposta a settentrione del lagoomonimoa quaranta leghe dall'oceano Pacifico ed a venti da un grosso fiumeilquale si sapeva che doveva scaricarsi nel golfo del Messico verso il capoGracias de Dios.

Quelle notizie non erano certamente molteperò per uominirisoluti come erano i filibustieripotevano fino a un certo punto bastare.

Alla seraRaveneau de Lussandopo d'aver visitate tutte lepiroghe che potevano ancora tenere il mare e aver fatto gettare in acqua leartiglierie che non potevano trasportare e che non volevano cadessero nelle manidegli spagnuoliradunò i suoi uomini per la divisione del bottinodovendod'ora innanzi ognuno incaricarsi di difenderlo per proprio conto.

Narra nelle sue memorie Raveneau de Lussanche era rimastonella cassa comune oltre mezzo milione di piastre.

L'argento fu diviso a pesoma fu una questione moltodifficile la divisione e la e la valutazione delle verghe d'orodelle perledegli smeraldi e d'altre gioie.

Trovarono però una pronta soluzione mettendo tutti glioggetti preziosi all'astasicché si videro degli uomini che possedevano troppoargento guadagnato al giuocopagare un'oncia d'oro perfino cento piastre!Altrettanto fu pei gioiellii qualisotto un piccolo volumeconservano ungran valore facile a trasportarsi.

L'indomaniai primi alborii duecento ottantacinquefilibustieri lasciavano Taroga su otto piroghe armate ciascuna d'un pezzod'artiglieria e muovevano risolutamente verso il continentecoll'intenzione diincrociare prima d'innanzi alla baia di Davidper attendere il galeone chedoveva trasportare la contessina di Ventimiglia.

L'oceanoquasi volesse almeno una volta mostrarsi clementecontro quei disgraziatiche avevano già provato troppo le sue collereterribiliera calmo e liscio quasi come uno specchio.

Solamente verso ponente la brezza corruscava le acquedandoloro degli strani riflessi che i raggi del sole rendevano talora purpurei.

Nessuna vela appariva all'orizzonte. In alto invecestrepitavano branchi di grossi uccelli marinispecialmente di rompitori d'ossae d'albatros raglianti come asini.

- To'- disse il guasconeche da trentasei ore aveva benpoco chiacchierato. - Non trovi tuMendozain questa grande calma un segno difelice augurio per la spedizione?

- Ehmio caronon siamo ancora a casa e tu non sei ancoranella cantina della taverna d'El Moro ad assaggiare i vini con tuamoglie.

- Mia moglie!... Parola d'onore che me l'ero scordata.

- Di già?

- Don Barrejo era nato per fare l'avventuriero e non perpiantare su casané tavernetonnerre!... - rispose il guasconechemanovrava un remo dietro al Basco. - Ero forse piú felice quando abitavo il miostambugio collocato sotto il tettodove tu ed il conte di Ventimiglia sietevenuti a svegliarmi.

- Allora non eri che un armigero al soldo della Spagnamentre ora sei padrone di una taverna equello che è piú importantebenfornita.

- Purché mio cognato non me la vuoti durante la mia assenza- disse il guasconeridendo.

- Lascia che bevacompare. Che cosa andiamo a fare noi alDarien? A raccogliere oro a palate.

“Non sai che laggiú i ragazzi delle tribú giuocano allapalla con delle pepite che varrebbero mille lire nelle mani d'un ladro?”

- Chi te lo ha detto?

- Tutti lo sanno- rispose Mendoza.

- Avranno d'oro anche tutti i loro utensili allora.

- Sicurocompare. Cucinano rospiserpentipatate e pescidentro pentole d'oro.

- È il paese della cuccagnaquello?

- Lo sa bene il marchese Montelimar. Non avrebbe certamenteaspettato tanti anni per realizzare il suo sogno.

- Il Corsaro Rosso ha fatto un magnifico affare sposandol'unica figlia del Gran Cacico del Darien. Parola di guascone che l'avreisposata anch'io invece di Panchita.

- Non so però se l'abbia presa per amorequantunque sidicesse che era la piú bella fanciulla indiana dell'America centrale- disseMendoza.

- L'hanno costretto forse?

- Mio caroin quell'epoca al Darien si usava mettere allospiedo i prigionieri che l'oceano regalava.

“Pietro l'Oloneseuno dei piú famosi filibustieri chesiano mai esistitinon è stato forse mangiato da quei selvaggidopo esserestato cucinato dentro un'enorme pentola d'oro massiccio? Altrettanto sarebbesuccesso forse al Corsaro Rossose la figlia del Grande Cacico non lo avessetrovato bello.”

- Troveremo ancora il pentolone che ha servito a cucinarel'Olonese? Sarebbe un magnifico ricordo- disse don Barrejo.

- È probabile- rispose il bascoridendo. - Che cosavorresti farne tu?

- Tonnerre!... Tu non ci vedi dentro agli affarimiocaro. Lo metterei nella mia taverna o nel mio futuro albergo per attirare gente.

“Guarda che cosa salta fuori da queste chiacchiere! Albergodella pentola d'orodove è stato cucinato Pietro l'Olonese.”

- Ti ci vorrebbe la facciata intera d'una casa per scriveretutta questa roba.

- Se sarà necessario ne comprerò duemio caro. Allapentola d'oro! Farò certamente affari d'oroti pare?

- Io non ne ho nessun dubbioperò pensocameratache tucorri troppo.

- Vorresti dire?

- Che il Darien è molto lontano e che prima di giungervidovremo battagliare ferocemente cogli spagnuoli che il marchese di Montelimargetterà attraverso la nostra via.

- I guasconi muoiono colla barba biancamentre io l'hosolamente un po' brizzolata. Me lo diceva sempre Panchita che la mia peluriaresisteva tenacemente al clima americano.

Intanto le piroghecapitanate da quella montata da Raveneaude Lussan e da Buttafuocoe sulla quale si trovavano pure i due inseparabiliamiconicontinuavano la loro marcia verso levantederivando un po' asettentrione. I filibustierilieti di aver lasciata finalmente l'isola dallaquale avevano temuto di non dover piú uscire vivimaneggiavano i remigagliardamentecanticchiando.

Di quando in quando un colpo d'arma da fuoco echeggiava ed unalbatros od un rompitore d'ossa che avevano commessa l'imprudenza di mostrarsitroppo vicini a quegli infallibili bersagliericadeva ed andava ad aumentare lescarsissime provviste della spedizione.

La notte sorprese i filibustieri in alto mare. Sicuri di nonvenire disturbatiavendo gli spagnuoli sospesa la navigazione in quei paraggisi accomodarono alla meglio sotto e sopra i banchi e s'addormentaronoplacidamentecullati dall'eterna ondata dell'oceano Pacificola qualediquando in quandocon una certa regolaritàgiungeva rumoreggiando cupamentesenza essere però pericolosa.

L'indomanidopo una notte tranquillale pirogheriprendevano la rotta verso la costa americana.

Già in lontananza cominciavano a profilarsi le azzurre vettedella Grande Cordigliera che formacolle montagne Rocciosel'ossatura dei duecontinenti.

- Questa sera accamperemo a terrase il diavolo non ci mettela coda- aveva detto Raveneau de Lussan.

E cosí infatti avvenne. Il sole stava per tramontare quandole piroghe entrarono furiosamente nella baia di Davidimpadronendosisenza faruso delle armid'un piccolo villaggio di pescatori indiani e meticcii qualifurono subito messi al sicuro per paura che fuggissero nell'interno ad avvertirele cinquantine spagnuole.

Non restava ai filibustieri che attendere il galeone eprenderlo d'assalto colla loro abituale bravura.

Tre giorni però trascorsero senza che il sospirato legno simostrasse. Buttafuoco cominciava a temere d'essere stato ingannatoquando versoil tramonto del quarto fu segnalata una velache pareva puntasse decisamenteverso la baia di David.

I filibustieriprontamente avvertitisi erano radunatisulla spiaggiapronti ad imbarcarsi.

- Amici- aveva detto loro Raveneau de Lussan. - Preparatevia combattere l’ultima battaglia sull'oceano Pacificopoiché doponoi nonrivedremo mai piúchecché ci debba succederequeste acque.

Alle otto di sera i filibustieripieni d'entusiasmoprendevano posto nelle pirogheavendo ormai avuta la certezza che una grossanaveuna fregata od un galeonesi dirigeva abbastanza velocemente verso labaia.

Le tenebre favorivano il colpo di mano. Già prima che ilsole scomparissedelle masse di fitti vapori si erano distese pel cielointercettando completamente la scarsa luce degli astri.

L'oceano pareva che fosse diventato d'inchiostro.

Raveneau de Lussanin piedi sulla prora della sua pirogaafianco di Buttafuococercava di discernere la nave immersa nelle tenebre.

- Sapremo egualmente trovarlo- disse il bucaniereche lointerrogava ansiosamente. - Sappiamo già qual è la sua rotta e non tarderemoad incontrarlo.

- Era un galeone? - chiese Buttafuoco.

- Una grossa nave di certo- rispose Raveneau.

- Lo prenderemo?

- Non dubitare dei miei uomini. E poi ho dato ai capi dellepiroghe un certo ordineche costringerà gli altri a montare all'abbordaggioanche se non ne avessero voglia.

- Vorresti dire?

- Che quando noi saremo sotto il galeonedovranno sfondarea colpi di scurei fianchi delle scialuppecosí a tutti noi non rimarràaltra alternativa che di salvarci sul legno nemico se non vorremo morireannegati.

“Si narra che anche Pietro l'Olonese una volta facessealtrettanto.”

- Un mezzo estremamente eroico.

- Che ci darà però la vittoria- rispose Raveneau. -Conosco troppo bene questi disperati. Ah!... Eccolo.

- Dove?

- S'avanza proprio su di noi.

- Non vedo ancora nulla.

- Tu non hai l'occhio del marinaio. Fra pochi minuti però loscorgerai anche tu.

Anche i suoi uomini dovevano essersi accorti dell'avvicinarsidel galeonepoichécome avevano ricevuto l'ordinesi erano disposti su unalunga filache doveva subito rinserrarsi al primo colpo di fuoco.

Ben presto una grande ombrache procedeva lentamenteessendo la brezza diminuitacomparve.

Era il galeone spagnuolo che puntava sulla baia di David.

Nessun rumore proveniva dal ponte; solamente l'acquatagliata dall'alto speronerumoreggiava rompendo il silenzio della notte.

Le otto piroghe avevano prontamente stretta la linea sulpassaggio preciso del vascello. Un comando era stato dato da Raveneau etrasmesso a tutti gli equipaggi.

- Nessun colpo di fucile. Preparate i grappini d'arrembaggio.

Il galeone non era ormai che a duecento passi e procedevatranquillo la sua vianon sospettando nemmeno lontanamente gli uomini che lomontavano l'agguato che li attendeva.

Era una splendida navealtissima di bordocol castello diprora vastissimo e munito probabilmente d'artiglierie.

Le otto piroghele quali manovravano silenziosamentein unbaleno si strinsero intorno al vascello ed i grappini d'arrembaggio furonosubito lanciati attraverso i paterazzi e le grisellesenza che gli uomini diguardiatroppo sicuri di non incontrare alcun nemico cosí presso alla costase ne fossero accorti.

Un comando breveseccolanciato da Raveneau de Lussanecheggiò: - Sfondate!...

Seguí un rimbombo cupo e sinistro. I capi delle scialuppesecondo l'ordine che avevano ricevuto e come avevano promessofracassavano agran colpi di scure i fasciami.

Sul vascello s'alzarono tosto delle grida.

- All'armi!... All'armi!...

- Fuoco in batteria!...

- Tutti in coperta!...

Era un po' tardi per respingere l'arrembaggio. Ifilibustierivedendosi mancare sotto i piedi le scialuppesi erano avventaticontro il legnocol fucile in ispalla e la corta sciabola fra i denti.

Aggrappandosi agli sportelli delle cannonierealle bancazzealle catene delle âncoreai paterazziin un batter d'occhio i duecento eottantacinque uominicompresi i tre avventurierisono in salvo sul vascellonemicomentre le scialuppe scompaiono sotto le acque del Pacifico.

Dei colpi di fuoco echeggiano subito. Gli uomini di guardiadel galeoneaccortisitroppo tardi peròdi essere stati arrembatihannovalorosamente impegnata la lottapur ripiegandosi precipitosamente verso ilcastello di prora dove si trovavano due pezzi d'artiglieria.

Raveneau de Lussan comprende subito il pericolo e scaglia isuoi uomini all'assalto di quel postomentre Buttafuocoalla testa d'unatrentina di combattentispazza con delle scariche nutrite l'alto cassero dellanavedel pari armato di grosse bocche da fuoco.

Nemmeno a dirlo che il guascone ed il basco sono in primalineapronti a provare il filo delle loro formidabili lame.

Intanto gli uomini delle batteriecredendo di trovarsidinanzi qualche navescaricano d'un colpo i trentasei pezzi del galeonesenz'altro effetto che quello di produrre un rombo spaventevole che fa volare inpezzi tutte le vetrate dei sabordi di poppa.

La difesa però si organizza prontamente anche da parte deglispagnuoli. Dal boccaporto di prora gli uomini salgono a gruppisemi-nudimabene armati e decisi a non arrendersi senza lotta.

Anche dal boccaporto di poppa altri uomini compaionoraggruppandosi rapidamente intorno ai due pezzi da caccia disposti sul cassero.

I filibustieri che si sentono ormai in casa propriasipiegarono con rapidità fulminea fra i tre alberiaprendo un fuoco d'infernoattraverso i ponti.

È quel fuoco che ha sempre terrorizzato gli spagnuolipoiché ogni pallabene o malecolpisce un corpo e ad ogni scarica; idifensori del galeone cadono a gruppiprima ancora d'aver avuto il tempo dimitragliare gli assalitori che già si avanzano correndocolle sciabole inpugno.

- A te il cassero!... - urla Raveneau de Lussandominandocolla sua voce squillante il fracasso della fucileria. - SottoButtafuoco!... Ame il castello!...

Due fiumane d'uomini si rovesciano attraverso alla toldamandando clamori spaventevoli. Nessuno potrà arrestarle poiché sono formate dauomini ormai abituati alle battaglie.

Una lotta terribile si impegna alle due estremità delvascello. Tutti gli uomini delle batterie e le guardie franche del galeone sonoin coperta e gareggiano fra di loro per far pagare cara la vittoria all'audacenemico.

I fuoco dei quattro pezzi di prora e di poppa s'incrociagettando a terra non pochi uomini di Raveneau de Lussan e di Buttafuoco; ma glialtriniente affatto atterritie premurosi di evitare un'altra scarica montanoall'assalto coll'impeto che infonde il valore disperato.

Le scale sono superate in un battibaleno ed ecco ifilibustieri sui due altissimi ponti.

La draghinassa del guascone e lo spadone del Mendoza lavoranoterribilmente.

Fra il cozzare dei ferrile urla dei combattentii lamentidei feritii colpi di pistola o di archibugiosi ode tratto tratto la voce deidue fracassoni:

- Avanti la Biscaglia!...

- Sotto la Guascogna!...

Il valore nulla può contro l'impeto irrefrenabile deifilibustieriabituati a non arrestarsi maiuna volta lanciati alla carica.

I due ponti sono conquistati dopo un breve ma furiosissimocombattimentoil grande stendardo di Spagna viene calatogli uomini che hannoopposto una fiera resistenzapur essendo stati sorpresi ed in minor numerodepongono le armiper non farsi inutilmente trucidare.

Il comandante del galeoneun vecchio capitanoche ha la suaspada spezzatas'avanza verso Raveneau de Lussandicendo:

- Abbiamo perduto: se credetegettateci pure in mare.

- Signore - rispose dignitosamente il gentiluomo francese-non tutti i giorni accade di vincere ed io ho ammirato il vostro coraggio.

“D'altronde i filibustieri non sono cosí feroci come forseavete udito raccontare.

“Ne volete una prova? Vi lascio le armi ed il vostrovascello del quale noi non sapremmo in questo momento che cosa fare.”

- Perché ci avete assaliti dunque? - chiesestupitoilvecchio comandante.

- Voi avete una señorita a bordoè vero?

- Chi ve lo ha detto?

- Lo sapevamo: ve l'ha affidata il marchese di Montelimar.

- Siete dei demoni voi? Avrebbero ragione i nostri frati acredervi figli dell'inferno?

- Mio padre era un buon gentiluomo francese della Gerondaecredo che non avesse alcuna parentela con messer Belzebú- risposeridendo. -Forse era mio nonno il parente.

- Insomma che cosa volete?

- Ve l'ho già detto: la consegna immediata della señoritaaffidatavi dal marchese di Montelimar.

- E se mi rifiutassi?

- Per Bacco!... Siamo padroni della nave e delle armi e nonavremmo certamente bisogno del vostro permesso per salutare la contessina diVentimigliala figlia del famoso Corsaro Rosso.

“E poi non contate troppo sulla generosità deifilibustieriperché potreste ingannarvi.

“Orsúsignorela señorita!...”

Ravenau de Lussan aveva pronunciato le ultime parolecon untono cosí minacciosoche il capitano del galeone non credette piú oltred'insistere.

Ad un suo cenno uno dei suoi ufficiali scese nel quadro epoco dopo tornòdando il braccio ad una bellissima fanciullaaltaslanciatadalla capigliatura corvinagli occhi intensamente neri e grandi e le carniabbronzate con certe sfumature che parevano riflessi d'oro.

Si avanzò attraverso le file degli spagnuolinondimostrando nessuna sgradevole impressione pel sangue che correva ancoraattraverso le tavolee mosse diritta verso Buttafuocodicendoglisemplicemente:

- Vi aspettavo.

- Non cosí presto forse- rispose il bucanierebaciandolegalantemente la mano.

- Voi corsari gareggiate coi fulmini e colle tempeste. EMendoza?

- Presenteseñorita! - urlò il basco.

- E ci sono anch'iocontessacorpo di centomila cannoni!...- gridò don Barrejo. - Non si conoscono piú dunque i vecchi amici?

- Ah!... Il famoso guascone!... - esclamò la figlia delCorsaro Rossomostrando i suoi splendidi dentiniscintillanti come perle.

- Sempre pronto a morire per tutti coloro che portano il nomedei Ventimigliaseñorita.

- Alle veleamici- gridò in quel momento Raveneau deLussan. - Quattro uomini al timone e cento nelle batterie a guardia deiprigionieri.

“Chi tenta resistere sia gettato senz'altro in mare.”

Pochi minuti dopo il galeone si rimetteva alla velaavanzandosi lentamente verso la baia di David.

 

 

Capitolo XI

SUL CONTINENTE

 

L'aver raggiunto il continente e l'aver sorpreso il galeoneerano due fatti che avrebbero dovuto incoraggiare subito i filibustieri arimettersi risolutamente in marcia.

Invece ebbero ancora un ultima esitazione eprimad'inoltrarsimandarono settanta dei loro compagni ad esplorare i dintorni ed araccogliere informazioni sulla via da tenersipoiché la ignoravanoassolutamente.

Mentre i rimasti si trinceravano fortemente nel villaggioarmandolo di tutti i cannoni che portava il galeoneil drappello di esploratorisi mise senz'altro in marciarisoluto a fare dei prigionieri perché potesserofornire delle indicazioni.

Camminarono costoro finché ebbero forzaattraversandomontagne e forestema avendo per caso udito che un corpo di seimila spagnuolisi preparava ad opporsi alla loro avanzatastimarono opportuno non impegnarsied avendo già raccolte sufficienti informazionis'incamminarono nuovamenteverso la costa.

Avevano lasciati però indietro diciotto compagniai qualiavevano dato l'incarico di raccogliere delle provviste.

Invece di scoprire campi coltivati o villaggi dasaccheggiares'imbatterono in due spagnuoli a cavallo e senz'altro li feceroprigionieri.

Per bocca di quei malcapitati seppero che a breve distanza sitrovava la piccola città di Chilotecaove oltre un gran numero di negridimulatti e d'indianiabitavano pure quattrocento spagnuoli.

La piú elementare prudenza avrebbe dovuto consigliare a quelmanipolo di disperati di battere prontamente in ritirata e di raggiungere icompagni.

L'idea di mettere le mani su una città probabilmente riccafu piú forte della prudenza. Alle porte nessuno vegliava poiché nessuno avevamai della prudenza eincredibile a dirsiquei diciotto decisero senz'altrosorprendere gli abitanti.

Era giorno di mercato e tutta la gente si era raccolta sullapiazza non avendo udito parlare fino allora di filibustieri. I diciotto uominidunque irrompono a corsa disperata attraverso le vie delle cittàurlandoferocemente per farsi credere in maggior numero e sparando colpi di fucile acasaccioper terrorizzare prontamente la popolazione.

Quell'irruzione improvvisala vista di quegli uomini brunibarbuti e stracciati ed i colpi di fuoco che si succedonomettono lo scompigliodappertutto.

Negrimulattiindianispagnuolifuggono all'impazzatagettando all'aria i banchi di mercato.

I filibustieri ne approfittano subito. S'impadroniscono diparecchi cavalli carichi di provviste eper assicurarsi la ritirataprendono iprimi cittadini che capitano loro fra le mani e se la svignano fra un grandinaredi palle. (nota: storico)

Gli spagnuoliaccortisi d'aver da fare con un pugno diuominierano ridiscesi nelle vie per dare battaglia e per liberare il lorogovernatore che per caso era stato fatto prigionieroma la riscossa giungevaormai troppo tardi.

I filibustieri lanciano i cavalli ventre a terra eraggiungono i loro compagni che si ripiegavano già verso la costa.

La cattura del governatore di Chiloteca fu pei filibustieripreziosissimapoiché con minacce di morte riuscirono ad avere altreinformazioni sulla via che dovevano tenereed anche a sapere dove gli spagnuolisi preparavano ad attenderliin grossi corpi.

Avendo pure appreso che a Caldeira si trovava ancorata lagrande galea di Panama per spiare le loro mosse e che nel porto di Ralejo sitrovava un'altra nave armata di trenta cannonii filibustieriche temevano didover essere sorpresi anche alle spalledecisero subito di abbandonare persempre le coste del Pacifico.

Cacciati in acqua i cannoni del galeoneresa la libertàall'equipaggio per non ingombrarsi di prigioniericinque giorni dopo volgevanorisolutamente le spalle a quel mareansiosi di rivedere l'altro.

Il paese che dovevano attraversare era quella porzionedell'America che abbraccia la provincia di Guatemalaavente a settentrione lacosta d'Honduras ed a levante il capo Gracias de Diospaese ben popolatoconcittà numerose e fortemente guarnite.

La loro partenza per l'interno era stata subito avvertita danumerose spie che gli spagnuoli tenevano lungo le costequindi quei disperatidovevano aspettarsi ben presto dei furiosi combattimenti.

Raveneau de Lussan e Buttafuoco divisero i loro uomini inquattro compagnieaffidando alla piú forte la sorveglianza della contessa diVentimigliae si misero in marcia attraverso le grandi foreste dell'internoformate da alberi antichi quanto il mondo.

Il primo giorno tutto va bene e perfino il guascone non trovadi che lamentarsiquantunque non avesse avuto occasione di esercitare i suoimuscoli e la sua draghinassa.

Al secondo cominciano le difficoltà. Gli abitanti hannorotto le strade e trasportati lontanoal sicurotutti i loro viveri.

I villaggi indianiche avrebbero potuto servire d'asilo aifilibustierisono tutti in fiamme. Il deserto si fa intorno a loropoichéanche i campiper ordine dei governantivengono inesorabilmente distrutti ondeaffamare quell'orda di disperati e costringerla a tornare donde è venuta.

Colonne di fumo si abbattono di quando in quando suidisgraziatiminacciando di soffocarlied in mezzo alle selve sibilano lemicidiali frecce degli indiani senza poter sapere da quale parte provengano.

Don Barrejo cominciava a trovare che le cose non andavanopiú troppo benee che le frontiere del Darien non erano cosí facili araggiungersi come aveva sperato dapprima.

- Compare- disse a Mendozail quale marciavaall'avanguardia con una ventina di cavalieri. - Io vorrei sapere come finiràquesta faccenda. Si direbbe che gli spagnuoli nascono come i funghidinanzi anoi.

- Credevi di fare dunque una passeggiata trionfale? - risposeMendoza. - Certo che si stava meglio alla taverna d'El Morocolla bellacastigliana.

- Tu mi burli.

- Niente affattodon Barrejo.

- Io non ho ancora nominata la mia taverna e nemmeno miamoglietonnerre!...

- Allora tira avanti finché saremo giunti alle frontiere delDarien.

- Che non saranno vicinem'immagino.

- Mah!... Chi lo sa? Nemmeno Raveneau de Lussan potrebbedirtelotuttavia sono sicuro che finiremo per giungervi e forse prima delmarchese di Montelimar.

- A propositoche cosa è avvenuto di quel caro gentiluomo?

- Si dice che abbia lasciato Panamaper correre anche luiverso il Darien. Non so però come rimarrà quando apprenderà che la señoritaè ritornata fra le nostre mani.

- Io al suo posto tornerei subito a Panama e lascerei in paceil tesoro del Grande Cacico e anche la pentola dove è stato cucinato l'Olonese.

- Io ti dico invece che ci darà da fare non poco e cheprima di giungere al Darienne vedremo delle belle.

- Finora però non ho veduto che delle strade rotte e moltofumoche mi fa tossire orribilmente- rispose il guascone.

- Verrà anche il piombocomparee forse ti lamenteraiallora per la sua abbondanza.

- Storie!... Tutti scappano dinanzi a noicome se glispagnuoli fossero diventatida un momento all'altrodei conigli.

“Vedrai che giungeremo al Darien pieni di fame e senza averdata nemmeno una piattonata.”

Per otto giorni infatti il guascone ebbe ragionepoiché glispagnuolisia che non si sentissero ancora in forze bastanti per affrontarequei terribili filibustieritemuti come esseri indiavolatisia cheaspettassero qualche buona occasionenon si fecero vivisicché la colonnapoté inoltrarsi abbastanza tranquillamentequantunque sempre esposta alpericolo di cadere fra le fiammepoiché piantagionivillaggi e perfinoboschinon cessavano di ardere davanti a loro.

Il nono giorno si erano impegnati in una foltissima forestaincassata fra due alte montagnequando delle scariche micidialissime partironoda tutte le partidecimando di colpo l'avanguardia.

Trecento spagnuolicome seppero di poiarmati di buonissimiarchibugistesi ventre a terra sotto le macchieavevano tesa loro un imboscatanei dintorni di Tusignala.

I filibustieriche ignorano quali forze hanno dinanzirestano titubanti a slanciarsi sotto quella cupa foresta che continua arisuonare di schioppettate mortali.

Finalmente comprendono che una sosta piú lunga puòperderlie desiderosi anche di far conoscere a quei nuovi nemici il lorostraordinario valoresi scagliano innanzi.

Una delle quattro compagnie di Raveneauguidata daButtafuocooccorre per appoggiarli vigorosamente.

La battaglia non dura che pochi minutipoiché gli spagnuolisapevano già la terribile fama che godevano quegli uomini formidabili.

Vistisi scopertisi salvarono piú che in fretta sui pendiidelle montagneda dove continuarono però a tribolare le quattro compagniechesi avanzano rapidamente per uscire da quella strettoia che per poco non erariuscita loro fatale.

Solo alla notte quello scambio di archibugiate cessò. Si eraalzata una foltissima nebbia assai freddala quale si era abbattuta sullaforesta come un lenzuolo funebreavvolgendo i grandi alberi.

I filibustieriche avevano subíte non poche perditesiaccampano alla rinfusaguardandosi bene dall'accendere i fuochi per nonattirare l'attenzione dei nemiciforse sempre vigilanti.

Il guascone e Mendozasi sono accovacciati sotto uncespuglio i cui rami stillano continuamente grosse gocce che dannospecialmenteal primouna grande noia.

Si sono rovinati i denti intorno ad un pezzo di tasajocarne seccata al solesenza riuscire a calmarsi i morsi della fame.

- Compare- disse il bascoche stava consumando la suaultima carica di tabacco. - Sei d'umore nero questa sera. Eppure abbiamocombattuto e ne abbiamo anche preso del piombo.

“Scommetto che pensi sempre alla tua taverna ed alla bellacastigliana. Là dentro almeno il piombo non faceva scoppiare le botti come leteste dei nostri camerati.”

- Se t'ho detto centomila volteche sono nato per farel'avventuriero e non il taverniere- rispose don Barrejo. - Sono di pessimoumore perché anche oggi la mia draghinassa è rimasta assolutamente inoperosa.

- Tu che hai le gambe cosí lunghe dovevi slanciarti dinanzia tutti a far correre gli spagnuoli.

- Faceva troppo caldo sotto gli alberi ed io non sono maistato troppo amico del piombo. I guasconi non amano che l'acciaio e benetemprato.

“E poi queste imboscate a me non vanno troppo a sangue.”

- Eppure dovrai abituarti. Ora che gli spagnuoli hannocominciatonon ci lasceranno piú tranquilli finché non saremo giunti alDarien- disse Mendoza. - Domani avremoprobabilmenteun'altra edizione.

- Ci dessero una carica a colpi di spada ne sarei lietissimoma come ti ho dettonon ho mai sentito alcuna affezione pel piombo.

“Acciaiosempre acciaio pei guasconi. Ma non sai tu chenoi siamo capaci di caricare un reggimento nemico anche quando siamo in duesoli?”

- Che uomo terribile!...

- Non sono un bascoio!...

- Ohédon Barrejometteresti in dubbio il mio coraggio?Bada che potrei metterti alla prova.

- Quale prova? - chiese il guascone.

- Di vedere due uomini caricare un reggimento a colpi dispada- disse Mendoza.

- Ti ripeto che se fossero due guasconi non avrebbero paura.

- Mettiamoci invece un basco.

- Ehicomparehai delle idee bellicose?

- Vorrei vederti alla provadon Barrejo- rispose il basco.- E l'occasione sarebbe propizia.

- Per menare le mani?

- E salvare probabilmente la spedizione.

- Che cosa mi narri tu?

- Vuoi scommetteredon Barrejoche nemmeno a mille passi diqui vi sono gli spagnuoli pronti a fucilarci appena noi leveremo il campo?

- Dopo la batosta presa quest'oggi?

- Da loro o da noi?

- Un po' per ciascuno- rispose il guasconeridendo. - Neabbiamo date e ne abbiamo anche prese e non poche.

“Dieci vittorie come questa e non rimarrebbe che lacontessa di Ventimiglia a continuare la sua marcia verso il Darien.”

- Vuoi dunque provare la tua draghinassa?

- Un guascone non si rifiuta mai.

- Sono laggiúimboscati.

- Chi?

- Gli spagnuoli.

- Tu sognicompare. Tutti questi uomini non si sono accortidi nulla.

- Non v'è un basco fra tutta questa gente.

- E vorresti dire con questo?

- Chi i baschi hanno il fiuto finissimo dei bracchi. L'haiinteso mai dire?

- Corpo d'un tuono!... - Esclamò don Barrejo. - Ecco unaparticolarità che i guasconi non hanno mai posseduta e che vi invidierannosempre.

“Li senti proprio questi spagnuoli?”

- Te lo dico sul serio. Se facciamo una passeggiata di milleo mille e cinquecento passi ci daremo dentro.

“Vuoi che andiamo un po' ad assicurarcenecompare?”

- Quando si tratta di menare le maniun guascone non sirifiuta mai; te l'ho detto già almeno cento volte. E se non ci fossero?

- Avremo fatta una deliziosa passeggiata al fresco- risposeMendozaun po' ironicamente.

Don Barrejo si tolse dalle labbra la pipala vuotò sullapalma della manotroppo incallita per provare i morsi del fuocoraccolse ilsuo archibugio e disse:

- Andiamo: infine si tratta della salvezza di tutti.

Mendoza scambiò qualche parola cogli uomini di guardia chevegliavano intorno al campo improvvisatoper evitare il pericolo di farsiprendere a fucilatee si mise in cammino con don Barrejo alle spalleoccupatoa far scorrere dentro e fuori la guaina la sua terribile draghinassa. La nottenon solamente era oscura ma anche fredda e nebbiosapoiché i filibustieriavevano già raggiunti i primi contrafforti della Cordigliera.

Una pioggia sottile trapelava attraverso le alte e foltissimepiantesussurrando monotonamente sulle gigantesche foglielarghe comeombrelli.

Quel rumore prodotto dall'acqua sulla grande foresta favorival'ardito progetto dei due avventurieri di sorprendere gli spagnuoli all'agguato.La loro marcia almeno non poteva essere facilmente rilevata e udita.

Ad un tratto però il guasconeche s'avanzava carponiudídelle voci umane che sussurravano al di là della muraglia di verzura.

- Tonnerre!... - esclamòguardando Mendozail qualesi era arrestato. - È proprio vero che voi baschi avete un fiuto straordinario.

“Gli spagnuoli stanno dinanzi a noi e ci aspettano alvarco.”

- Te l'avevo detto io- rispose il filibustiere. - Vuoi cheattacchiamo?

- Alto làcamerata! Non facciamo delle sciocchezze. Iguasconi si battono splendidamente perchéti piaccia o nodividono cogliitalianiil vanto di essere i piú formidabili spadaccini dell'Europaperònon ci tengono affatto a farsi fucilare come merli.

“Ci sonova benissimo. Provochiamoli ed avremo sventato unaltro agguato forse peggiore dell'altro.

“Gettati a terra e lascia a fare a me.”

Il guascone strappa una fogliala rotola rapidamente informa di cornetto e traenon si sa comeuna serie di note acutissime.

Un colpo d'archibugio tosto rimbomba a poca distanza dalsuonatorepoi duequattroquindi si succedono delle scariche furiose.

Don Barrejo e Mendoza si allungano piú che possono fra lealte erbe che li nascondono completamente e odono passaresopra le loro testeun vero uragano di proiettili.

I filibustieri del campo balzano in piedi ed a loro voltarispondono e si scagliano avanti colla loro usuale pazza temeritàsenza badarealla tempesta che li investe.

Gli spagnuoli avvedutisi che l'agguatoforse da lungo tempopreparatoera sventatoe non desiderando affatto venire ad un corpo a corpocon quei terribili uomini che consideravanocome abbiamo dettofigli diBelzebúnon tardarono a disperdersi ed a mettersi in salvo sui fianchi deiburroni.

- Altoamici!... - grida Don Barrejoche si vede giungereaddossolanciati a passo di corsai filibustieri. - Non abbiamo pellespagnuola noi indossoe perciò vi prego di rispettarci.

Buttafuocoche è alla testa della prima compagniase livede dinanzi tutti e due.

- I miei fracassoni! - esclamò. - Me lo immaginavo cheavrebbero tentata qualche diavoleria.

- Che vi ha però salvati da un'imboscata- rispose Mendoza.- Senza di noi sareste caduti come pernici dentro la rete della morte.

- Sapete che cos'èsignor Buttafuoco? - domandò ilguascone.

- Me lo spiegherai un altro giorno. Avantiamicidobbiamouscire da questa seconda strettoia prima che l'alba ci sorprenda fra questeforeste.

I filibustieriincoraggiati da Raveneau de Lussansispingono innanzi nel piú profondo silenzioper non segnalare con qualcheinopportuno colpo di fuoco la loro marcia.

Gli spagnuoliimboscati sui fianchi della vallecontinuanole loro scariche le quali si disperdonosenza produrre danniattraverso laboscaglia.

Finalmente il passo pericoloso è superato ed i filibustieririescono a raggiungere la base della sierra.

Non hanno guidenon hanno carte; sanno solo che al di là diquelle montagneentro una profonda vallesimile ad una concasi trova unacittà: Segovia-Nuova.

Sicuri di riuscire sempre nelle loro impresequantunquesiano sfiniti dalla fame e delle faticheattaccano risolutamente laCordiglierarisoluti a piombare sulla città e sicuri d'impadronirsene con uncolpo di mano.

Eccoli scalare rupi di altezze incredibilifiancheggiareburroni spaventevoliarrampicarsi sopra ciglioni tremendiscendere attraversoa precipizi e sfondare boscaglie forse mai calpestate da piedi europeipenetrati nell'ossa al mattino da un acutissimo freddorompere fino alle diecidel mattino una nebbia cosí fitta da non potersi scorgere nulla alla distanzadi dieci passi e sfidare venti freddissimi che rovesciano su di lorodi quandoin quandonembi di pioggia.

Nessun ostacolo arresta quei terribili uominiche sono bendecisi rivedere il Golfo del Messico o cadere tutti nell'ardua impresa.

E la contessina di Ventimigliache ha nelle sue vene sangueindianoè sempre là pronta a dare il buon esempio ed il suo slancio e la suaresistenza formano l'ammirazione di quei ruvidi avventurierii quali hannosempre conservato nel loro cuore un vero culto pei discendenti dei tre grandicorsari: il Neroil Rossoil Verde.

Dopo tre giorni di fatiche inenarrabilila colonnaverso ilcader del giornogiunta sulla vetta d'una certa montagnascorge con grandestuporeagglomerati nella sottoposta valleuna moltitudine di animali.

Dapprima li presero per buoi al pascolo e già sirallegravano di potersi finalmente ristorarequando furono avvertiti dai loroesploratori che quelle bestie erano cavalli già insellati e colle loro staffee che il loro numero ascendeva almeno a mille e cinquecento!

E non era tutto. Gli stessi esploratori avevano scopertonelripiegarsi verso la montagnatre ordini di trincee alzate a breve distanza leune dalle altre che chiudevano completamente la golaper dove avrebbero dovutoscendere il giorno seguentenon essendovi altri passaggi in vista. Infattitutto intorno il paese era coperto da foreste impraticabilida rupi scosceseda precipizi profondissimi e da paludi che probabilmente nascondevano dellesabbie mobili.

In tante angustiei filibustieridopo essersi radunati aconsigliodecidono di tentare un colpo disperatoossia di sorprendere glispagnuoli alle spalle; ma per far ciò era d'uopo lasciare indietro tutto illoro convoglionon volendo esporsi a perdere le loro ultime ricchezzeper lequali sole si sentivano tratti a salvare le loro vite.

E stavano già preparandosi animosamente alla disperataimpresaquando da un negro fuggiascocatturato dai loro esploratoriapprendono che hanno alle spalle un corpo di trecento spagnuolii quali dagiorni e giorni li seguivanoin attesa del momento opportuno di privarli deiloro bagagli.

Altri uominidi fronte a tanti ostacolisi sarebberocertamente perduti d'animoma i filibustieri possedevano una fibra a prova diqualunque fuoco.

Con alberi innalzano delle trincee e fortificanocome megliopossonoil loro campoincaricando di guardarlo e di difenderlo ottanta deiloro compagnii quali dovevano pure vegliare sulla contessa di Ventimiglia.

Per ingannare poi meglio gli spagnuoli sui loro disegniRaveneau de Lussan e Buttafuoco ordinano alla retroguardia di mantenere sempreaccesi i fuochidi far rullare incessantemente i loro tamburiistrumenticarissimi ai filibustierie che portavano con loro anche durante le piúpericolose spedizionidi far gridare alto alle sentinelle ogni volta che lecambiavano e di faredi quando in quandodelle scariche di moschetteria.

Prese queste precauzioniil corpo principalecomposto dipoco piú che duecento uomininel cuor della notte lascia il camporisoluto adaprirsi il passaggio della valle e a piombare su Segovia-Nuova.

Quegli uomini instancabilirotti a tutte le fatiche ed atutti i disagiscendono la montagna per uno dei fianchi e cominciano a trarsisulla parte opposta con incredibili fatichesfondando boschisuperando roccespaventoseattraversando burroni profondissimi solcati da torrenti impetuosile cui acque sono gelate.

Allo spuntare del giorno i duecento uomini si trovanofinalmente riuniti sulla vetta d'una montagna alla cui falda stavano itrinceramenti spagnuoli preparati con tale arte da rendere impossibile ogniattacco di fronte.

Una densa nebbia fu loro propiziain quanto che poteronoscendere inosservatiperò quella nebbia nel medesimo tempo toglieva loro lavista dei trinceramenti.

Fu grande ventura per loro di udire a pochi passi unapattuglia nemicache marciava pesantemente sul terreno ineguale.

Giovò pure a loro udire le voci degli spagnuoli cherecitavano le loro preghiere del mattinosicché conobbero facilmente a chedistanza e da quale parte si trovavano i loro nemici.

Gli spagnuoli erano cinquecentocomandati da un vecchio edesperimentato ufficiale vallonequindi avrebbero potuto disputare lungamente lavittoria a quel pugno d'uomini.

Vedendo precipitare dall'alto i loro avversari cheaspettavano invece al passo della golapresi da meraviglia e da spaventofuggono disordinatamentecredendo di aver di fronte un grosso corpo.

Quelli che si trovano nei trinceramentiper loro diventatiormai inutiliper un'ora resistono ferocementepoi a loro volta si precipitanoal bassosperando di salvarsi in Segovia-Nuova ma cadono sugli ostacoli cheavevano preparati pei filibustieri.

Sui fianchi della montagna s'impegna una lotta spaventosalaquale non tarda a tramutarsi in un macellopoiché gli spagnuolisdegnando didifendere la vita contro uomini che credevano piú infernali che umanisilasciavano trucidare senza opporre resistenzasicché ben pochi si salvarono inmezzo alle folte boscaglie.

Fra i morti fu trovato il vecchio ufficiale vallone checomandava la spedizioneespertissimo nelle cose di guerrail qualementre ilgovernatore di Costaricad'accordo col marchese di Montelimarvoleva dargliottomila uominiche si trovavano radunati in Segovia-Nuovanon ne aveva presicon sé che mille e cinquecentoreputandoli piú che bastanti per arrestarequel pugno di avventurieri e di sterminarli in fondo alla valle.

Diceva nelle lettere trovategli indossoche se ifilibustieri erano uomininon avrebbero potuto superare quelle rocce in meno diotto giorni; che se poi erano demoniogni misura che si prendesse contro diloro sarebbe stata vana.

Cosí col fatto gli spagnuoli poterono convincersi semprepiú che non erano uomini i filibustieribensí spiriti maligni vomitatidall'inferno per tormentare l'umanità.

Incredibile a dirsi! In quella lotta durata varie ore ifilibustieri non avevano perduto che un solo uomo e non avevano avuto che dueferiti! E questa è storia.

Mentre gli spagnuoli dei trinceramenti si lasciavanodistruggere quasi senza combatterei trecento che erano stati incaricati dalgovernatore di Tusignala di perseguitare la retroguardia dei filibustierisispingevano invece audacemente sotto il campo tentando una sorpresa.

Accortisi che la maggior parte dei loro avversari avevanoabbandonata la vetta della montagnasi fecero arditamente innanzimaall'ultimo momentoinvece di agirevollero ragionarementre avrebbero potutofacilmente aver ragione degli ottanta uomini che difendevano il campo.

Mandarono quindi uno dei loro camerati a dire ai filibustieriche l'attacco dato del corpo di duecento uomini era andato a vuotoche tutto ilpaese era in armi e che perciò si arrendessero.

Pei filibustieri è un altro momento terribile. Hanno uditorombare i moschetti giú nella vallema le grida di vittoria dei loro cameratinon erano giunte ai loro orecchitrovandosi troppo lontani dai punti diattacco.

Essi si domandano angosciosamente se i loro camerati sonodavvero tutti caduti o se sono riusciti invece ad aprirsi un passaggio.

Raveneau de Lussan e Buttafuoco avevano presa la precauzioneprima di lasciare il campodi avvertire gli ottanta uomini di prendere le loromisure per salvarsi al piú presto nel caso che fossero stati attaccati.

La retroguardiacredendosi ormai abbandonata alle sue soleforzenon esita. Respinge la resa e risponde fieramente al messo spagnuolo cheinsiste:

- Se i vostri compagni hanno distrutto i due terzi deinostriil terzo che rimane ha bastante coraggio per tenere testa a tutti voi.

Mentre si dispongono a scendere nella vallescorgonofinalmente i segnali di vittoria dei loro cameratisventolati sulle trinceegrondanti di sangue.

Mentre il messo spagnuolo ritorna al campo per riferire alsuo comandante la risposta avutaformano rapidamente una carovanarinchiudendonel mezzo la contessa e scendono a precipizio nella vallesparando furiosamenteper impressionare i trecento spagnuoli che avrebbero dovuto distruggerli.

A mezzogiorno i due piccoli corpi si riunivanoaccampandosinelle fortissime trincee che avrebbero dovuto arrestarli e che ormai diventavanoimprendibili anche per gli spagnuoli.

 

 

Capitolo XII

IN CERCA DI IMBOSCATE

 

L'entusiasmo dei filibustieri per aver riportata quellagrande ed insperata vittorianon aveva durato moltopoiché se erano riuscitiad impadronirsi dei trinceramenti e forzare la bocca della vallenon potevanodire di essersi aperti il passo.

Le lettere trovate sul vecchio ufficiale vallonele qualiaffermavano che entro Segovia-Nuova si trovavano seimila uomini al comando delmarchese di Montelimaravevano raffreddato molto gli animi.

Una nuova battaglia avrebbe potuto terminare in un terribiledisastropoiché erano esseri umani non diversi dagli spagnuoli e che nessuntalismano proteggeva dalle palle.

Raveneau de Lussan e Buttafuocoi quali si erano spinti finoalle ultime trinceesi erano resi subito conto della gravità della situazione.

La città stava dinanzi a loroa poche miglia di distanzaincassata dentro una specie di conca e chiudeva tutti i passaggi.

Per di piú sui fianchi delle montagne gli spagnuoli avevanoeretto delle forti trincee armate di cannonipronti a schiacciare il nemico seavesse osato scendere nella valle.

- Mio caro- disse Raveneau a Buttafuoco- ecco unamagnifica vittoria guadagnata quasi senza perdite e che non ci ha fruttato cheuna massa di cadaveri e di corazze. Che cosa fate ora? Tornare indietro? Nessunodei miei uomini accetterebbe una simile propostaquand'anche fossero sicuri dilasciar qui la loro pelle e le loro ricchezze.

- Se in Segovia-Nuova non ci fosse il marchese di Montelimarti direi senz'altro di muovere all'assalto della cittàapprofittando dellosgomento che deve aver invaso ormai tutte le truppe per la nostra strepitosavittoria.

Una voce in quel momento si fece udire dietro i due capidelle bande.

- È il marchese che v'inquieta?

Buttafuoco e Raveneau si erano voltati e si erano trovatidinanzi al guascone ed al bascoi quali stavano osservando a breve distanzadelle magnifiche corazze cesellate che i filibustieri avevano levate ai morti.

- Che cosa volete diredon Barrejo? - chiese Raveneauunpo' sorpreso da quella domanda.

- Che voimio caro signorevi dimenticate troppo spesso diaver fra le vostre file qualche guascone e qualche basco- rispose l'extaverniere.

- Vi prego di spiegarvi meglio.

- Io dico che quando un uomo dà dei fastidi si va a trovarloe si mette a posto.

“Giacché è il marchese di Montelimar che vi dà dellepreoccupazioniperché non dite a noi: Signori mieiandate a prenderlo eportatemelo qui? Con un ostaggio di tale specie la via ci sarebbe subito apertae sarebbe anche finita la storia di questo pericoloso concorrente alla conquistadel tesoro del Gran Cacico del Darien.”

- Voi siete pazzo!...

- Niente affattosignor Raveneau. Che diamine!... I cervellidei guasconi nascono ben muniti di chiavarde tutto intorno.

- Insommache cosa volete fare? - chiese il gentiluomounpo' impazientito.

- Chiedetelo ora al mio camerata. A te la parolaMendoza.

Il basco lasciò cadere la corazza che teneva in mano eguardando i due capidisse con una calma stupenda:

- Che cosa vogliamo fare? Per Bacco!... Andarvi a prendere ilmarchese e portarvelo qui.

- E farvi appiccare- disse Buttafuoco.

- Bah!... Non si appicca cosí facilmente i baschi ed iguasconi.

“Io e don Barrejoin un lampoabbiamo fatto il nostropiano.

“Giacché il marchese ci ha portata viaquasi sotto ilnasola contessa di Ventimigliadesideriamo provare il piacere di rapire oraluitanto piú che quell'uomo vi è necessario perché è l'anima della difesa.

“Quanti giorni ci accordate?”

- Siete pazzi- ripeté Raveneau de Lussanil quale nonpoteva fare a meno d'ammirare il coraggio di quei due terribili spadaccini.

- Diteci quanti giorni ci accordate- disse don Barrejo. -Noi non vi chiederemo né un uomoné un fucile di piúquantunque qui ve nesiano in abbondanza.

“Basteranno a noi due costumi spagnuoli e due corazze conrelativi elmettiè verocamerata?”

- Ben dettodon Barrejo.

- Noi non lasceremo questi trinceramenti finché non avremoqualche probabilità di espugnarecon un colpo di manoSegovia-Nuova- disseRaveneau de Lussan.

- Allora possiamo prenderci alcuni giorni di permesso perandarci a divertire in città. È un bel po' che non visitiamo una tavernaèverodon Barrejo?

- Tanto che mi pare di non aver mai fatto il taverniere-rispose il guascone.

Raveneau de Lussan interrogò cogli sguardi Buttafuoco.

- Lasciali fare- rispose il bucaniere. - So di che cosasono capaci questi due uomini.

- E se gli spagnuoli ce li appiccano? Mi dispiacerebbeperdere due combattenti cosí valorosi.

- Quelli li morranno sul loro lettote lo dico ioperchésapranno sempre trarsi d'impiccio.

- Se tu dici questosia fatta la loro volontàe poisapremo sempre vendicarli.

Mentre discorrevanoil basco ed il guascone avevanospogliati due ufficiali e ne avevano indossate le vesti le quali si adattavanoabbastanza bene alle loro corporature.

- Con quelle due corazze cesellate noi faremo una splendidafigura a Segovia- diceva il guascone. - Era tempo di indossare un vestito unpo' piú decente. Il mio cadeva a brandelli ed anche il tuomio caro Mendozanon si trovava in migliori condizioni.

“Aveva perfino uno strappo che mostrava certe rotonditàche avrebbero dovuto rimanere sempre al coperto.”

- Scommetto che tudon Barrejofarai qualche nuovaconquista a Segovia.

- Non sarà però questa volta una castigliana. Hai finito?

- Si.

- Cerca un paio di pistole.

- Ne ho messo da parte quattro.

- Allora possiamo andare.

I due avventuriericoi loro costumi d'ufficialia tintesmagliantile corazze e gli elmetti cesellatifacevano realmente una splendidafiguramalgrado le loro lunghe barbe incolte che da settimane e settimane nonavevano conosciuto né il rasoioné le forbici.

- Signor Raveneau- disse il guascone- spero di rivedervipresto e di farvi fare la conoscenza del marchese di Montelimar. È un bell'uomoche merita di essere vedutove l'assicuro.

“Se vi deciderete ad attaccare la cittàprima che noil'abbiamo catturatofate visitare tutte le taverne e vedrete che in qualcuna citroverete.”

- Non commettete delle pazzie- disse Buttafuoco.

- Non ne abbiamo nessun voglia.

I due avventurieri strinsero le mani ai due capi delle bandee lasciarono i trinceramentifra lo stupore dei filibustierii qualiignoravano ancora ogni cosa.

Dopo essere passati sopra diversi cumuli cadaveriilguascone e Mendoza si gettarono dentro un boscoil quale si estendeva lungo lafalda di un'aspra montagna.

Giúin fondo alla concasi vedevano ancora deglispagnuolisfuggiti miracolosamente al massacroscappare a piccoli gruppimentre le campane delle due chiese della città squillavano a distesa perchiamare gli abitanti alle armi.

La notizia della disfatta doveva ormai essere giunta agliorecchi del governatoreche certoper quanto gli sembrasse inverosimileavevasubito prese le disposizioni necessarie per respingere un attacco.

Per far capire ai filibustierii quali non avevano nessundesiderio di lasciare la posizione conquistatache disponeva ancora di forzeimponenti e che possedeva dei pezzi di cannone collocati sulle trinceefiancheggianti le montagneaveva fatto fare alcune scarichele quali si eranoripercossecon un rimbombo infernaledentro la conca.

Don Barrejo e Mendozaper nulla inquietati da tutto quelfracassocontinuavano tranquillamente la loro viacalando a poco a poco nellavallevolendo possibilmente entrare in città insieme agli ultimi gruppi difuggiaschi.

- Bah!... Non ce la prendiamo tanto calda- disse donBarrejoil quale dubitava di poter giungere prima dell'alzata dei pontiessendo la china intricatissima e cosparsa anche di rocce enormi. - Collecorazze che indossiamo ci scorgeranno da lungi e si guarderanno bene di farfuoco su di noi.

- Hai preparato il tuo piano? - chiese Mendoza.

- Sí: ricordati solamente che noi siamo mandati dalgovernatore di Tusignala.

“Se il colpo mi riesceil marchese cadrà nella rete;però tu rimani piú che puoi nell'ombra.

“Il marchese di Montelimar potrebbe riconoscerti anchenella pelle d'uno spagnuoloquantunque io dubiti assai che dopo sei anni siricordi ancora di te. Cambia voce innanzi tutto.”

- Parlerò col naso.

- BenissimoMendoza. Mi accorgo che anche i baschi sono deigran furbi.

- Se lo sono sempre stati!...

- Infatti mi pare di averlo udito dire- rispose ilguasconecon comica serietà.

- Ecco che ora non conosci piú i fratelli che stannodall'altra parte del mare di Biscaglia.

“Ah!... Questi guasconi sono insoffribili!...”

Don Barrejo si limitò a sorridere ed affrettò il passomentre gli ultimi drappelli di fuggiaschi si precipitavano schiamazzando nellacittà ed i ponti venivano precipitosamente alzati.

- Mettiamoci a correre anche noi- disse Mendoza. - Fingiamodi essere inseguiti dei filibustieri.

- Stavo per proportelo- rispose don Barrejoprendendosubito lo slancio colle sue magre e lunghissime gambe.

Erano già scesi nella valle ed avevano raggiunta la stradache conduceva a Segovia-Nuova. Scorgendoligli spagnuoli che stavano radunatisui bastionispararono qualche colpo d'archibugioma poi avvedutisi del loroerrore si affrettarono a riabbassare il ponte per accogliere anche quei dueultimi fuggiaschi non potendo crederli che tali.

Don Barrejo e Mendozanon udendo piú fischiare le palleprecipitarono la corsa e giunsero ansantitrafelatial pontedove liaspettavano alcuni ufficiali della guarnigione ed un vecchio maggiore.

Lo stupore di quella brava gente fu immensonon avendo maiveduto fra le loro file quei due ufficiali.

- Da dove venite voicaballeros? - chiese loro ilmaggiorementre il ponte veniva sollecitamente rialzato. - Voi non siete agliordini del marchese di Montelimar.

- Nosignore- rispose prontamente il guascone. - Noi siamoalle dipendenze del governatore di Tusignala.

- È lui che vi manda?

- Sícaballero.

- Giungete in un bel momento.

- Dite pessimopoiché abbiamo assistito alla sconfitta deinostri compatriotti mentre valicavano l'ultima cresta della montagna.

“Siamo sfuggiti anche noi per miracolo alle palle di queiterribili masnadieri.”

- Portate degli ordini da parte del governatore?

- Ed urgentissimipel signor marchese di Montelimar.

Il vecchio maggiore si volse verso uno degli ufficiali chegli stavano presso e disse:

- Signor Ramirezconducete subito questi valorosi caballerosda Sua Eccellenza.

“Decisamente” pensò don Barrejo“i guasconi ed ibaschi sono piú furbi degli spagnuoli.”

I due avventurieri si erano messi dietro all'ufficialecercando di darsi un aspetto molto serio.

Tutta la città era sottosopra.

La popolazioneimpressionata dalla terribile sconfittasubita dalle truppe che occupavano le trinceesi preparava a fuggirecaricandosu muli e cavalli quanto aveva di meglio.

In tutte le case si udivano strilli di ragazzigrida didonne ed uomini che imprecavano contro la canaglia che i venti dell'oceanoPacifico avevano spinto attraverso l'istmo.

- Questo sarebbe un bel momento se Raveneau e Buttafuocolanciassero i loro uominiancora inebriati dalla vittoriasu questa città-mormorò il guascone. - Nemmeno il marchese di Montelimar saprebbe trattenerequesta popolazione pazza di terrore.

Dopo aver percorso parecchie luride viuzze ingombre dianimali carichi fino a piegare a terrai due avventurieri giunsero su unaspecie di spianatadifesa da un ridotto armato da qualche pezzo di cannone.

Il marchese di Montelimar era làaccompagnato da alcuni deisuoi ufficiali. Era sempre un bell'uomoquantunque fosse molto invecchiatoedaveva conservato il suo aspetto marziale di vero condottiero.

Pareva furibondopoiché in quel momento camminavanervosamente per la spianataimprecando poco cristianamente.

Vendendo Mendoza e don Barrejosi era fermato bruscamenteposando con un gesto tragico la sinistra sull'impugnatura della spadaechiedendo brutalmente:

- Chi siete voi?

- Messi del governatore di Tusignala- rispose il guasconedopo d'aver fatto un profondo inchino.

Il marchese aveva avuto un soprassalto.

- Voi venite da Tusignala? - chiese con stupore e menorudemente.

- SiEccellenza.

- Soli?

- La nostra scorta è stata massacrata dai ladronidell'oceano Pacificodurante il combattimento impegnato dalle vostre truppe.

- E siete riusciti a salvarvi?

- Ci siamo aperti il passo fra quei banditicombattendo comediavoli scatenatiEccellenza- rispose il guascone.

- Chi conduceva quei disperati? Sapreste dirmelo?

- Abbiamo udito pronunciare un nome durante la breve lottasostenuta dai nostri uomini.

- Ditemelo.

- Raveneause non m'inganno.

- Il capo dei corsari dell'oceano Pacifico che si erastabilito a Taroga? - disse il marchese. - Ma l'ero immaginato.

“Aveva molti uomini con sé?”

Non saprei dirvi il numeroEccellenzama molti di certopoiché di sotto ogni cespuglio sorgeva un drappello di quei banditi.

Il marchese fece cenno ai suoi ufficiali di ritirarsipoichiese al guasconepoiché Mendoza pareva che fosse diventato improvvisamentemutocon una visibile emozione:

- Avete veduta una fanciulla fra i filibustieri?

- Una indiana o per lo meno una meticciavolete dire? -rispose don Barrejodopo aver pensato qualche istante.

- Sigiovane e bellissima.

- PrecisamenteEccellenza: combatteva fra le file deifilibustiericon grande animazione.

Il marchese si morse le mani fino a farle sanguinare.

- Lo sospettavo- disse poi.

Fece otto o dieci passi colle braccia dietro il dorso e latesta chinapoi tornando verso il guasconeil quale si studiava dinascondergli piú che gli era possibile il bascochiese bruscamente:

- Orsúche cosa vuole da me il governatore di Tusignala?Invece di mandarmi un paio d'uominiavrebbe dovuto inviarmi quel corpo dicavalleria che aspetto da due settimane.

- Eccellenzaci ha mandati invece per chiedere a voi deipronti aiuti.

- Chi lo minaccia?

- Tutte le tribú indiane sono in rivolta e distruggono lepiantagioni da zucchero e le fattorie e non risparmiamo i proprietariquandoriescono ad acciuffarne uno.

Il marchese si alzò le spalle.

- S'inquieta per poco il governatore di Tusignala? - dissepoiun po' ironicamente.

“Mi mandi i suoi indiani ed io gli manderò quei demoni chemi stanno di fronte e che nessuna forza umana vale ad arrestare.

“Avete veduto come combattono quei filibustieri?”

- MeravigliosamenteEccellenza. Sono dei soldati che fannopaura.

- Ehlo so. - disse il marchese. - Eppure non devono esserein molti.

- Io ho veduto quattro grosse compagnie a combattereEccellenzaed ognuna doveva contare molti uomini- disse il guascone.

Il marchese non rispose. Si era rimesso a camminarecollafronte offuscataborbottando delle parole e pestandodi quando in quandoipiedi.

Per la seconda volta si fermò dinanzi ai due avventurieri edisse loro:

- Pel momento non posso prendere alcuna decisone. Questa seravi aspetto a casa miadove potrete pernottare a mangiare liberamente.

“Andatemiei bravi.”

Il guascone ed il bascofelici di non aver destato il minimosospettofecero un profondo inchino e girarono sui talloniridiscendendo versola città.

Gli abitantipassato il primo momento di terrorecominciavano a calmarsiessendovi in città abbastanza truppe per dar molto dafare anche agli invincibili filibustieri.

Su tutti i volti però don Barrejo e Mendoza leggevanochiaramente l'angoscia profonda che si era impadronita di tutti.

- Compare- disse il guascone- fingiamo di essere desolatianche noi e andiamo a consolarci con qualche bottiglia. Sai che sono settegiorni e cinque ore che nel mio corpo non entra una goccia di vino?

- Perfino le ore hai contato!... - esclamò Mendozascoppiando in una risatache doveva produrre un certo effetto sulle personespaurite che ingombravano la viuzza.

- Mio caroda quando sono diventato proprietario ho imparatoa fare i conti per non andare a casa del diavolo senza una piastra.

- Chi ti ha insegnato?

- Mia moglie.

- Quella castigliana vale un Perú.

- Sto meglio quiper ora. Ne avevo fin sopra gli occhi diquell'infame mestiereche non consisteva che nel portare boccali di vino.

- Ed anche nel vuotarliperò.

- Dei bei buchi ne ho fatti nella mia cantina malgrado leproteste di mia mogliela quale temeva che la mandassi in rovina. Oh!...Toh!... Che curiosa combinazione!... Sogno io?

Don Barrejo si era fermato in mezzo alla viacon la testa inaria e gli occhi fissi su una vecchia insegna di legno la quale rappresentava untoro.

- Mendozaleggi!... - dissecon viva commozione.

- Taverna d'El Moro.

- Tonnerre!... Chi è questo mascalzone di oste che harubato il nome alla mia taverna? Voglio tagliargli gli orecchi.

- Se gli spagnuoli sono sempre stati furibondi pei tori!...Che cosa ci trovi di strano se trovi anche qui un'insegna simile alla tua?

- È verosono una bestia qualche volta- disse ilguascone. - Sarà meglio che andiamo a tirare il collo alle bottiglie deltaverniere.

“Ci guasteremo meno il sangue.”

Con una pedata spalancò la porta ed entrò in una stanzacciabassadalle mura tutte annerite ed i tavolini piú o meno sgangherati.

Un tanfo d'olio bruciatodi mezcal fermentato e di cañacircolava là dentrotogliendo quasi il respiro.

Udendo quel fracassoil proprietario della tavernaccia siera precipitato fuori dal bancosagrando. Non aveva tortopoiché il calciodel guascone aveva mandato in frantumi un vetro.

Era un uomo sulla quarantinacon un naso arcuato come ilbecco di un pappagallodue baffi foltimagro e alto quanto don Barrejomatutto nervi e muscoli.

- Canarios!... - urlò furioso. - La mia caverna nonè un canile per entrare in questo modocorpo dei centomila fulmini diGiove!... Non tollero prepotenze qui dentronemmeno da parte di ufficiali.

Don Barrejo era rimasto lí a guardarlocome trasognatopoisi diede un gran pugno sull'elmettogridando:

- De Gussac!...

- Barrejo!...

- Tonnerre!...

- Corpo di tutti i fulmini di Giove!...Che cosa fai tu quiche ti ho veduto taverniere a Panama tre anni or sono? -

- Ah!... Canaglia!… Mi hai rubato l'insegna gloriosa d'ElMoro.

Il taverniere era scoppiato in una risata ed aveva stese lemani al guascone.

- Speravo che mi portasse fortuna- disse poi.

- Vedo un gran vuoto qui.

- Che cosa vuoiamico i soldati da tre mesi non ricevono lapaga e non spendono piúe trovo piú conveniente vuotare io la mia cantina.

Don Barrejo si era voltato verso Mendozail quale avevaassistito a quell'incontro un po' prodigiosocon un certo interessee glidisse con voce commossa:

- Vediamicoche cosa ha serbato la triste sorte ai grandiguasconi che vengono a cercare fortuna in America? Ecco un piccolo nobile dellanobile terra che ha nutrito da migliaia d'anni i guasconiridotto anche lui aportare boccali di mezcal e dar da bere perfino a dei luridi indiani.Credo che non vi siano in tutta l'America centrale che due guasconi e si sonoridotti a fare i tavernieri!...

- Orrore!... - disse il basco. - Per degli spadaccini non ècerto un bel mestiere.

- La Guascona è finita!... - esclamò don Barrejoil qualeaveva gli occhi umidi. - La terra dei prodi muore.

- Vivaddioun po' di coraggiocamerata. - disse iltaverniere. - La Guascona non muore maianche se i suoi figli vendono vino edappendono le loro draghinasse arrugginite alle pareti fumose o sotto il camino.La mano rimane sempre lesta per dare delle stoccate.

- Hai ragioneamico. - disse don Barrejorimettendosiprontamente dalla sua commozione. - Noi rimarremo sempre i piú terribilispadaccini della Francia.

“EhiMendozaallunga la tua zampa al mio compatriotta etuDe Gussacfa' altrettanto.”

“Stringerai quella d'uno dei piú formidabili filibustieriche siano vissuti sotto la cappa del cielo americano.”

- Filibustierohai detto?...

- Pst!...Silenzio per ora. Farai meglio a portarci da berese ti è rimasta ancora qualche bottiglia nella cantina.

- Per gli amici ne ho sempre- rispose il tavernierescomparendo nella stanza vicina.

- Dove l'hai conosciuto? - chiese Mendoza a don Barrejo.

- A Panamadove credo che vendesse delle banane. Che cosavuoi? L'America non è fatta pei guasconi.

- Di che cosa hai tu da lagnartibriccone? Hai una moglieadorabile e una cantina splendidamente fornitache ti rende piastre su piastre.Che cosa vorresti di piú?

- Che nessun figlio della grande terra degli spadaccinivendesse vino- rispose don Barrejocon accento tragico.

- Però sei sempre pronto a berlo.

- Tonnerre!... L'uomo di spadache non vive che perl'avventurabeve sempre come una spugna.

- Allora lascia andare per un momento la tua grandeGuascognache non è mai stata piú grossa d'una provincia spagnuola edoccupiamoci del marchese.

“Non siamo già venuti qui per discutere sui tuoicompatriotti.”

- Spesso divento un bestionecompare- disse don Barrejo. -Mi ero già dimenticato che noi siamo entrati in Segovia-Nuova per portare viail marchese di Montelimar!...

“Eppure quell'uomo ci occorreecome abbiamo fatto cadereil Pfifferofaremo cadere anche lui.”

- Disgraziatamente il marchese non è un uomo che vada a berenelle tavernee non sarà qui che noi lo cattureremo.

- Lascia fare a me - rispose don Barrejo. - Intanto i piedili abbiamo messi nella sua casa e questo è già molto.

Tonnerre!... Ospiti del marchese di Montelimar!...Quell'uomo dannatoin fondo è un grande gentiluomo che sa apprezzare ivalorosi.”

In quel momento giunse De Gussacportando un paniere pienodi bottiglie che avevano un aspetto abbastanza venerando.

- Le mie ultime- disse con un sorriso un po' mesto. - Speroperò che siano le migliori.

“Vuotatele liberamenteperché le serbavo per gli amici edegli amici qui non ne sono mai venuti. La Francia è troppo lontana ed anche ibucanieri del golfo del Messicoche sono quasi tutti nostri compatriottihannoil buon senso di non mostrarsi da queste parti.

“C'è troppa corda anche in Segovia-Nuova.”

Sturò un paio di bottiglie ed empí i bicchieridicendo:

- Orsúalla Guascona!

- Non piú taverniera- rispose don Barrejoingollandounadopo l'altratre o quattro tazze.

Si asciugò i baffifece schioccare la linguapoi fissandoil suo compatriottagli chiese bruscamente:

- Hai qualche grossa botte vuota tu?

- Sono già tutte vuote e senza speranza di poterle riempire!- rispose De Gussacridendo.

- A noi basta una che sia capace di contenere un uomo.

- Un uomo!...

- Vi cacceremo dentro il marchese di Montelimar.

- Per i centomila fulmini di Giove!... - esclamò De Gussacspaventato. - Che cosa sei venuto a fare tu in questa città?

- A portare via un uomo che si chiama il marchese diMontelimar- rispose don Barrejocon voce tranquilla. - Non ci credi capaci dicompiere questa impresa? Io e l'amicoche sta qui accanto a mene abbiamofatto già di grosse quando eravamo ai servigi del signor conte Enrico diVentimigliafiglio d'uno dei tre famosi corsari.

- Ti sei arruolato fra i filibustieri dunque?

- Ero stanco di vendere vino e di vedere la mia draghinassa acoprirsi ogni giorno piú di ruggine ed ho lasciato le botti ed i boccali permenare un po' le zampe.

“Tu sai già che noi guasconi abbiamo trenta diavolinascosti nel corpo.”

- Mettine pure altri trenta- disse Mendoza. - Nonguasteranno.

- Allora do un calcio anch'io alle mie botti che sono giàvuote e mi getto coi filibustieri.

- Non a tutte: ti ho detto che me ne occorre una.

- Per mettervi dentro il marchese?

- Noi abbiamo l'abitudine di far sempre viaggiare i nostriprigionieri dentro una botteè vero Mendoza?

Il bascoche stava vuotando il suo decimo bicchiereapprovò con un gesto della mano sinistra.

- Barrejo- disse De Gussacsturando delle altre bottiglie.- Mi vuoi? Sai come siamo noi guasconi: si va sempre a fondo o si muore sulcampoed un campo vale meglio d'una cantina.

“Se vuoila mia draghinassa è a tua disposizione.”

- Per ora lasciala appesa sotto la cappa del camino econtinua a fare il taverniere senza clienti- rispose il marito della bellacastigliana. - Qualche volta le taverne sono piú utili delle draghinasseed iolo so per prova.

“Beviamoe da questo momento puoi considerarti arruolatofra i filibustieri di Raveneau de Lussan e di Buttafuoco.”

 

 

Capitolo XIII

L'INCENDIO DI SEGOVIA

 

Alla sera i due avventurieriche fra una bottiglia e l'altraavevano architettato piú o meno il loro audace colpo di manosi presentavanoagli alabardieri vigilanti dinanzi al massiccio palazzo del governofacendosiannunziare pei due ufficiali giunti al mattino da Tusignala.

Il marchese di Montelimar doveva aver dato degli ordini inpropositopoiché i due avventurieri furono subito condotti al piano superioredove un ufficialelo stesso che li aveva scortati dal ponte alla spianataliaspettava.

- Siete voi che ho condotto stamani dinanzi al marchese? -domandò.

- Sicamerata- rispose familiarmente don Barrejo.

- Sua Eccellenza vi aspetta nel suo gabinetto.

- È solo?

- Col suo segretario. Seguitemisignori.

Fece attraversare loro alcuni corridoi scarsamente illuminatida qualche fumosa lampada ad olio e li introdusse in una vasta salaoccupataquasi tutta da una immensa tavola coperta d'un ricco tappeto verde.

All'estremitàseduti presso uno scrittoio illuminato da duecandelestavano due uomini: erano il marchese di Montelimar ed il suosegretarioche rassomigliava stranamente al povero Pfifferosia per la tintascialbasia per gli occhi azzurrastrisia per i capelli di un biodo slavato.

Il marchesevedendoli entraresi era alzatomentrel'ufficiale si affrettava a ritirarsi.

- Ah!... Siete finalmente giunti- disse. - Avete indossoqualche documento che mi assicuri che voi siete realmente stati mandati dalgovernatori di Tusignala?

Don Barrejo e Mendoza si scambiarono uno sguardod'inquietudinema poi il primo rispose prontamente:

- NessunoEccellenzaperché quando ci siamo vedutiassaliti dai filibustieri abbiamo distrutto tutto come ci era stato ordinato.

“Al governatore premeva che non si sapesse della rivoltadegli indiani perché la canaglia del Pacifico non ne approfittasse.”

- Avete fatto bene- disse il marchese. - Voi dunque diteche le cose vanno male a Turisanda?

- Tutta la provincia è in fiamma e noi abbiamo corso diversevolte il pericolo di morire asfissiati fra le piantagioni brucianti.

- Quanti uomini domanda il governatore?

- Un migliaioEccellenza.

- Quell'uomo è pazzo. In questo momento io non possosprovvedermi di una forza cosí importante. Che cosa dite voidon Perego?

- Che avete ragioni da vendere- rispose il segretarioilquale non cessava di far stridere la sua penna d'oca su dei grossolani fogli dicarta.

- E poi appena usciti dalla città i mille uomini crebberotutti sotto i colpi dei filibustieri ed io rimarrei con meno forze ed ilgovernatore di Tusignala senza un uomo di piú. Vi paredon Perego?

- Avete sempre ragioni da vendere- rispose il segretario.

- Cambiate qualche volta la risposa- disse il marchesestizzito. - Colle vostre eterne ragioni da vendere io non capisco affatto ilvostro pensiero.

- Avete...

- Ho capito: ancora delle ragioni da vendere. Continuate ascrivere il rapporto della battaglia che noi rimetteremo a questi due valorosi.

- ScusateEccellenza- disse il guascone. - Perchévorreste consegnarlo a noi?

- Per portarlo al governatore di Tusignalaaffinché sipersuada meglio che io non posso soccorrerlo in modo alcuno.

- Potrà giungervi?

- E perché no? Come siete venuti da Tusignala potrete ancheritornare a Tusignala.

- Coi filibustieri?

- Due uomini soli possono sfuggire piú facilmente che mille.

- Sarà un'impresa arduaEccellenza.

- Che io saprò ricompensare però largamente.

- E se i filibustieri ci prendessero?

- Come siete sfuggiti loro la prima voltariuscirete anchela seconda.

Ad un tratto il marcheseche aveva fatto il giro della lungatavolacamminando nervosamentesi fermò dinanzi a Mendoza il quale si eratenuto sempre prudentemente dietro al guascone e si mise a guardarlo con unacerta insistenza.

- Siete muto voiche non parlate mai? - gli chiesesenzalevargli di dosso gli occhi.

I due avventurieriqualunque fossero coraggiosi fino allatemerarietàsi sentirono correre un brivido freddo per le ossa.

Il guasconeche non perdeva mai il suo sangue freddotentòdi salvare la situazionedicendo:

- PerdonateEccellenzase il mio compagno non parla maiavendo ricevuta una palla attraverso la lingua in non so quale battaglia datasinell'Andalusia. Perciò preferisce rimanere muto per non provocare colla suavoce un certo senso di ribrezzo.

- È spagnuolo?

- Sieccellenza.

Il marchese scosse il capopoidopo d'aver guardato conmaggior attenzione Mendozail quale impallidiva a vista d'occhiodisse:

- Eppure io ho veduto in qualche luogo questa testa.

- È impossibile eccellenzapoiché è appena un mese che ilmio camerata è giunto dall'Europa- disse don Barrejo.

- Soffermandosi a Panama?

Mendoza fece col capo un gesto affermativo.

- Sarebbe una strana rassomiglianza? - si chiese il marchese.

- Perché dite questoEccellenza? - chiese il guasconeilquale ormai comprendeva perfettamente che le cose andavano imbrogliandosiinaspettatamente.

- Perché sulla gettata di Panama io ho riconosciuto un uomoche da sei anni non avevano piú riveduto e che somigliava perfettamente alvostro camerata.

- Sarà stato un altro.

- Adagiocaballero: io sono molto curioso e desiderovederci ben chiaro in questa faccenda.

“Voi non avete nessuna carta dal governatore di Tusignala?”

- Se vi ho detto che abbiamo distrutto tutto!... Era l'ordinee noi abbiamo obbedito.

- Mio caronoi viviamo in tempo di guerra ed io hol'abitudine di diffidare di tutti e di tutto.

- Dubitereste di noi? - Chiese don Barrejoil quale sisentiva fuggire il terreno sotto i piedi.

- Del vostro compagno almeno.

- Sareste voi il diavolo? - esclamò imprudentemente ilguascone.

Il marchese incrociò le braccia sul petto ed affrontandolorisolutamentegli chiese:

- Che cosa avete voluto dire con quelle parole?

- Che se la Spagna avesse dieci uomini come voia quest'oranon vi sarebbe piú un filibustiere né sul golfo del Messico né nell'oceanoPacifico- rispose pacatamente don Barrejo.

- Vi prego di spiegarvi megliocaballero.

- Domandò invece a voi quali intenzioni avete a nostroriguardo. Vivaddio!... Abbiamo attraversato fiumi e foreste; abbiamo sfidatocento pericoli; abbiamo salvato la pelle per miracoloper compiere il nostrodovere ed ecco che ci accogliete con dei sospetti.

- Vi dicoanziche vi farò subito arrestare- disse ilmarchese.

- Là làsignor di Montelimar- rispose don Barrejosguainando rapidamente la draghinassamentre il basco balzava verso la portacolla spada in pugno. - La partita non l'abbiamo ancora perduta e voi non cifarete arrestare.

Il marchese aveva fatto due passi indietromentre il suosegretario rimaneva colla penna d'oca in ariaguardando con ispavento i duefalsi ufficiali.

- Chi siete voi? - chiese il marchesetrascorso il primomomento di stupore.

- Giacché avete su di noi dei sospetti e volete farciarrestarevi diremo allora che noi non siamo affatto due soldati spagnuolisignor marchese: voi avete un fiuto straordinario ed i filibustieri li sentitesubito.

- Filibustieriavete detto!... - esclamò il governatorealcolmo della sorpresa.

- Sisignor marchesenoi abbiamo l'onore di appartenere aquella associazione di ladroni- rispose don Barrejo.

- Ed avete osato entrare in città?

- Dite nel vostro studio.

- Dal quale non uscirete che con una corda al collo!... -gridò il governatorefuribondo.

- Non vi infiammate tantosignore. Abbiamo perduta lapartitaperò siamo tali uomini da farvi pagare cara la rivincita.

- Miserabili!...

Il marchese aveva fatto un gesto per cercare la sua spadache non aveva invece piú al suo fianco.

- Don Perego- disse al segretario- chiamate glialabardieri e fate arrestare queste canaglie.

- Signor marchese- disse il guascone- vi consiglio diritirare l'ordinepoiché il mio compagno veglia dinanzi alla porta e se nonparla ha la mano lestave lo assicuro io.

- Voi osereste opporvi?...

- Diavolo!... Noi non abbiamo alcun desiderio di far laconoscenza colla canapa che intrecciano gli spagnuoli.

“Si dice che sia troppo ruvida e che rovini la gola agliappiccati.”

- Ed avete tanta audacia da scherzare?

- E perché nosignor marchese? I filibustieri sono sempredi buon umoreanche quando le cose vanno maluccioed è perciò che vinconosempre.

- Che cosa siete venuti a fare quifurfanti?

- Avevamo setesignor marcheseed abbiamo fatta una visitaalle taverne per accettarci se i nostri compagni avrebbero trovato del buon vinoin Segovia.

- Voi siete stupefacente!... - esclamò il marchese.

- Me lo diceva anche mio padre- rispose don Barrejoironicamente.

- Bastacaramba!... Don Peregochiamate glialabardieri!...

Il segretarioquantunque fosse in preda ad un grandespaventonon avendo combattutodurante la sua vitache colle penne d'ocasialzò e fece per avanzarsi.

Il guasconeche lo teneva d'occhiofu pronto a chiudergliil passo ed a puntargli sul petto la draghinassadicendo:

- Signor segretariooccupatevi dei vostri calamai e deivostri sgorbi. In questi affari non c'entrate affatto.

- Allora andrò io- disse il marcheseil quale avevacercato invano un'arma. - Vedremo chi saprà fermare un Montelimar.

- La punta della mia draghinassasignore- rispose donBarrejo.

- Voi osereste?

- Tuttosignor marchese. Tonnerre!... Si tratta disalvare la mia pelle e quella del mio compagno e vi giuro che non esisterò.

“Non dimenticatesignor marcheseche noi siamo deifilibustieriquindi delle persone capaci di tuttoanche di portar via ungovernatore spagnuolo sotto gli occhi dei suoi alabardieri.”

- Volevate rapirmi forse? - chiese il marcheseironicamente.

- Veramente eravamo scesi in città con quell'ideaegiacché la sorte non ci ha favoritocome speravamonon ci rimane che dialzare i tacchi e di tornarcene presso il signor Raveneau de Lussanun bravo evaloroso gentiluomo franceseve lo afferma un guascone autentico.

Fra i due uomini vi fu un breve silenzio. Il marchesesembrava pietrificato e guardava con inquietudine la draghinassa di don Barrejola quale non cessava di descrivere dei molinelli pericolosi.

- Si direbbe che sogno- disse ad un trattopassandosi unamano sulla fronte. - Conoscevo l'audacia dei filibustieriperò non credevo chegiungesse a tal punto. Siete uomini o diavoli voi?

- Io credosignor marcheseche noi abbiamo nelle vene unpo' di sangue umano ed un po' di sangue infernale. È tempo però di tagliarcortosignor mio.

“Abbiamo chiacchierato abbastanza e qualcuno potrebbevenire a disturbarciciò che costringerebbe il mio compagno a far qualchegrossa sciocchezza.”

- Che cosa voletefurfanti?

- Per ora non chiediamo che di andarcene giacché ci avetescoperti.

- E voi sperate...

- Speriamo?... Signor marchesequi si giuoca la vita ed ivecchi amici del conte Enrico di Ventimiglia e della marchesa di Montelimarvostra cognatanon esiteranno.

- Di mia cognata!... - esclamò il marchese furibondodiventando livido. - È lei forse che vi ha mandati qui per assassinarmi?

- Niente affattosignore. Noi siamo stati semplicementeincaricati di scortare la contessina Ines di Ventimiglia fino al Darien.

- E spera di giungervi?

- E di raccogliere anche l'eredità che la spetta.

- Mi troverà sempre attraverso a tutte le sue vie. Ah!...Quei Ventimiglia hanno dato da fare alla Spagnapiú che tutti i filibustieridell'Atlantico e del Pacifico.

“Orsúfiniamolache cosa volete da me?”

- Che ci lasciate andare per le nostre faccende enient'altro.

- Provatevi a uscire.

- Non sarà da quella parte che noi ce ne andremosignormarchese. Io non ho mai voluto troppo bene agli alabardieri.

“Giacché ci sono delle finestre salteremonon prima peròdi avervi ridotto all'impotenza.”

Con una improvvisa strappata il guascone aveva spezzata unodei lunghi cordoni di seta che reggevano la tendapoi si era avvicinato almarcheseche lo guardava stupitoe gli disse:

- Permettete che vi leghisignore. Vi avverto che seopponete resistenzafra mezzo minuto il marchese di Montelimar ed il suosegretario non saranno piú vivi.

La lama del guascone si era puntata sul petto delgovernatorein direzione del cuore. Mendoza aveva lasciato il suo posto dopod'aver chiusa la porta a chiaveed accorreva in aiuto del cameratabrandendola spada.

Il marchese capí di essere perduto e di aver da fare con dueuomini risoluti a tutto.

- Fate- dissetergendosi alcune gocce di sudore- speroperò di rivedervi presto e di prendermi la rivincita. I filibustieri non sonoancora giunti al Darien e la vita è lunga assai.

Ciò detto si lasciò legaresenza tentare la menomaresistenza.

Mendoza si era incaricato del segretario e non aveva avuto dafaticarepoiché quel povero scriba era piú morto che vivo pel grandespavento.

- Permettete che vi prenda il fazzolettosignor marchese-disse il guasconequand'ebbe finito di legargli le gambe.

- Mi volete anche imbavagliare? - chiese il signorMontelimarcon voce sibilante.

- Dobbiamo prendere le nostre precauzioni per assicurarci laritiratasignor mio.

I due disgraziati si lasciarono imbavagliarepoi vennerofatti sedere in due ampie poltrone ai cui bracciali furono ancora assicurati.

- Signor marchesei miei ossequi- disse il guascone. -Avrei voluto portarvi in persona alla contessina di Ventimiglia; si contenteràper questa volta dei vostri saluti.

Mendoza intanto aveva aperta una finestra e misuraval'altezza.

- Dove mette? - chiese don Barrejo.

- Su un giardino.

- Vi sono sentinelle?

- Non ho mai posseduto gli occhi dei gatti- rispose ilbasco.

- Possiamo tentare il salto senza romperci il collo?

- Siamo al primo pianoquindi non correremo nemmeno ilpericolo di slogarci un piede.

- Giú.

Mendoza si lasciò andarecadendo in mezzo ad un'aiuola difiori. Don Barrejo fu pronto a seguirlo.

Diedero un rapido sguardo all’intorno enon avendo scortonessunosi slanciarono attraverso i viali spaziosi ombreggiati da splendidepalme.

Correvano a casacciocolla speranza di giungere presto aqualche cancellopoiché ignoravo assolutamente da quale parte del palazzo sitrovava.

Vi era il pericolo cheinvece di girarlo per di dietro logirassero per davanti e si trovassero di colpo fra le braccia degli alabardieri.

Spronati dalla paurapoiché cominciavano ad averneed innon piccola dosecontinuarono la corsa furiosa per cinque o sei minuti eandarono a fermarsi dinanzi ad una cinta.

Scalarla e varcarla fu pei due filibustieri l’affare dipochi secondi.

Lasciami respirareMendoza- disse il guascone. - Finchémi trovavo dentro il giardino non ho quasi osato mandar giú una boccata d'aria.L’abbiamo fatta grossa!...

- E ce la siamo cavata splendidamente- rispose il basco.

- Noiamicosiamo protetti da qualche buona stella.

- Sia pureperò preferirei trovarmi al sicuro nella tavernadel mio amico De Gussac.

- Saremo capaci di trovarla?

- E che!... Hanno perduto il naso ora i baschi? Come fiutidei nemici a grande distanzapotrai fare altrettanto con gli amici.

- Cercheremo: corridon Barrejo.

Si erano cacciati in una via abbastanza largafiancheggiatada alte case ed illuminata da qualche rara lampada che spandeva piú fumo cheluce.

Pareva che i buoni cittadini di Segoviamalgrado la paurasi fossero profondamente addormentatipoiché porte e finestre erano chiuse enessun lume brillava dentro le stanze.

Solamente dei cani randagi vagavano per le vie che i dueavventurieri attraversavano l’una dietro l'altracercando di orizzontarsicome meglio potevano.

Si sentivano ormai abbastanza sicuri. Anche se il marchese diMontelimar avesse già lanciati sulle loro tracce i suoi alabardieriladistanza percorsa era abbastanza rilevante per dare loro un grandissimovantaggio.

Non avevano da temere nemmeno da parte delle rondeindossando le divise di ufficiali spagnuoli. Pareva però che per quella notteil governatore avesse mandato altrove quelle guardiequasi inutili in unacittaduzza cosí tranquilla.

Avevano già percorse sette od otto vie che s’incrociavanoin tutti i versipassando ora fra case ed ora fra ortagliequando si trovaronodi fronte alla spianata sulla quale al mattino avevano incontrato il marchese.

- Ci siamo! - esclamò don Barrejo.

- Alla taverna? - chiese Mendoza. - Io non vedo che duecannoni piazzati lassú.

- Ebbene ora io ti dimostreròcameratache anche iguasconi hanno dei buoni nasispecialmente per fiutare le taverne.

“Conta duecento passi.”

- Preferisco farli.

- Allora facciamoli.

- Tu hai fiutato l'insegna d’El Moro?

- Ti condurrò diritto alla taverna del mio amico d'infanziasenza sbagliare.

S’aprivano dinanzi a loro due stradicciuole sfondate epolverose. Don Barrejo esitò un momentopoi prese la destrafiutandocome unvero bracco.

Dobbiamo dire che aveva ragione di dire che anche i guasconipossedevano dei buoni nasipoiché cinque minuti dopo giungevano dinanzi allataverna.

Dalle fessure della portaabbastanza sgangheratatrapelavano dei fili di luce. De Gussac dunqueda vero amicoli aspettava.

Ed infatti bastò un leggiero picchio perché si trovasserotutti e tre riuniti nella miserabile taverna.

- Credevo che vi avessero già appiccati- disse De Gussac.

- Lascia le chiacchiere e porta invece delle bottigliese nehai ancora- disse don Barrejorespirando a pieni polmoni. - Io non avevosaputo prima d'ora che cosa fosse la paura e quel Montelimar me l'ha fattaprovare.

- E non l'avete portato via?

- Siva a prenderlo tu fra i suoi alabardieri.

- Ed io che avevo preparato la botte.

- Servirà egualmente.

- Per metterci dentro chi?

- Portaci da bere prima- disse don Barrejo. - Non vedi chenon abbiamo piú fiato?

- E qualche cosa da gettare nel ventre che brontola daparecchie ore- aggiunse Mendoza.

De Gussac scese nella cantina e tornò con altre bottiglieun mezzo prosciutto e delle tortillas di mais.

- Le mie ultime ricchezze- dissecon sospiro. - Non hopiú che dell'aguardiente.

- Meglioamico! - esclamò don Barrejo. - Servirà ai mieitenebrosi progetti.

- Vuoi farne delle altrecompare? - chiese Mendoza. - Io neho abbastanzae giacché il colpo è fallito non domando altro che di cambiarevestito e di andarmene al piú presto.

“Mi pare di sentireda qualche oraun gran nodo allagola.”

- Brutto segno- disse don Barrejocon voce grave. - Tusenti la corda degli appiccati!

- Mi consolerò pensando che se acciuffano me prenderannoanche tee che ci terremo compagnia nell'ultima danza della vita.

Invece di risponderedon Barrejo si tagliò una grossa fettadi prosciutto che stese su una tortillas e si mise a mangiare. Mendoza sicredette in dovere d'imitarlomentre De Gussac stappava le sue ultimebottiglie.

La cenaabbastanza magrafu divorata in pochi minuti edanche abbondantemente innaffiatapoi don Barrejochecontro il suo solitoaveva conservato un mutismo assolutosi rovesciò sulla spalliera della sediae disse a Mendoza:

- Ti senti tu di poter rimanere ancora qui?

- Io no- rispose il basco. - Quel Montelimar mi fa troppapaura.

- Sicché è meglio ritornare fra i nostri.

- Io non amo scherzare colle corde degli spagnuoli. Penso chela fortuna ci ha protetti anche un po' troppo.

“Non sarà però cosa facile lasciare la città in questomomentocon tante ronde ed i ponti rialzati.”

- De Gussactu hai dei vestiti da prestarci?

- Il mio guardaroba è a tua disposizione.

- Ora dimmi che cosa vale questa taverna.

- Quanto vale!... Se non c'è piú nulla qui dentro!... Tuttele botti sono state vuotate.

- Da te?

- Credo di siperché il Moro non mi ha portato fortuna.

- Hai fatto benissimoamico- disse don Barrejo. - Quandoun taverniere non trova bevitorideve diventare lui un bevitoree poi nonpagare mai i fornitori.

- Sbrigatidon Barrejo- disse Mendoza. - Io ne hoabbastanza di Nuova Segovia e vorrei andarmene al piú presto.

- Aspetta un momentocamerata- disse il guascone. - Se nonabbiamo potuto prendere il marchese di Montelimarcerchiamo almeno di aprire ilpasso ai nostri compagni.

“Finché Segovia resiste nessuno potrà scendere.”

- E che cosa vorresti fare tu? Prenderla d'assalto? Se vuoiprovareio starò a vederti.

- Lascia che dica due parole a questo caro De Gussac e tipersuaderai che i guasconi hanno sempre delle trovate meravigliose.

Don Barrejo mandò giú un altro bicchierel'ultimo rimastosulla tavola e che aveva sottratto destramente al bascopoirivolgendosi alsuo compatriottagli chiese:

- Dunque tu non possiedi piú nulla qui?

- Appartiene tutto ai miei creditori.

- Allora possiamo bruciare questi stracci e mandare all'ariala città. La casa è vecchia e costruita in legno di pinoed altre consimiline ho vedute presso a questa.

“Che bella fiammata che noi faremo. È grosso il bottaledell'aguardiente?”

- Abbastanza rotondo.

- Lo berranno questi tavolini e queste sedie zoppicanti.

“Lestocamerataportaci dei vestiti ed un paio di forbiciper tagliarci un po' di barbamentre noi prepariamo il falò.

“Se Segovia non brucia questa notte non brucerà piú.

“Mendozascendiamo in cantina e portiamo quassú ilbarile.”

 

 

Capitolo XIV

FRA LE BOSCAGLIE DEL NICARAGUA

 

- Al fuoco!... Al fuoco!...

Questo gridolanciato nel cuore della nottein una cittàche ha di fronte un nemico formidabilecapace di tuttosi propagò collarapidità del lampodi casa in casa.

I cittadiniin preda ad uno spavento indescrivibilesiprecipitano nelle vie spingendo le donne ed i fanciulli strillanti e fuggonosenza nemmeno pensare a mettere in salvo le loro ricchezze.

Alla testa di quella turba vi sono tre uomini che non cessanodi urlare a squarciagola:

- Al fuoco!... Al fuoco!... I filibustieri!...

Sono i due guasconi ed il bascoi quali cercano di giungereprimi a qualche ponte levatoio per guadagnare la montagna.

La taverna d'El Moro brucia come un zolfanello e lecase che le stanno pressotutte costruite con tavole di pino della sierrafiammeggiano anch'esse.

Cortine di fuoco scagliano al di là della strada unatempesta di tizzoni ardenti e nembi di scintilleprovocando altri incendi.

Le trombe squillanole truppe accorrono da tutte le partimentre le batterie della montagnacredendo che i filibustieri avesseroattaccata la cittàfanno rimbombare i loro cannoni.

Ogni tentativo per salvare la cittàcostruita quasiinteramente in legnoeccettuato il palazzo del governoè subito riconosciutovano dai primi accorsii quali si trovano costretti a battere in ritiratadinanzi a quel fiammeggiare spaventoso che aumenta di momento in momento.

Degli scoppi avvengono e fanno saltare degli appartamentiinterimandando tutto all'aria ed accrescendo il terrore: sono le provviste dipolvere che prendono fuoco.

Ormai tutti fuggonoperfino i soldati che temono per lapolveriera.

Don Barrejo ed i suoi due compagni sono sempre alla testa diquella moltitudine di fuggiaschi e non cessano di urlare.

Hanno delle gambe solide i due guasconi ed anche il basco efanno degli sforzi prodigiosi per giungere primiper non correre il pericolod'imbattersi nel marchese di Montelimar o nel suo segretario.

Con un ultimo slancio raggiungono il ponte levatoio dilevantegià precipitosamente calato dai soldati di guardiae si gettanoattraverso alla vallelasciandosi subito molto addietro i cittadini.

Per una diecina di minuti continuano a scendere la vallechele fiamme illuminano sinistramentepoi si gettano verso la montagna che s'alzaverso il mezzodí e la scalano per alcune centinaia di metri.

- Basta- disse don Barrejoil quale soffiava come unmantice. - I guasconi non hanno mai avuto né le zampené i polmoni deicavalli.

Si era lasciato cadere sotto un gigantesco pinou ed isuoi due compagninon meno sfiatati di luil'avevano tosto imitato.

Da quell'altezza potevano assisteresenza alcun pericoloalla distruzione della disgraziata città.

Segovia-Nuova non era altro che un mare di fuocospaventosoa vedersi.

Giganteschi turbini di fumoche avevano delle tintesulfureesalivano verso il cielo come sospinti da un vento impetuosomentremiriadi e miriadi di scintille volteggiavano in tutte le direzioni per ricaderein mezzo alle cupe boscaglie della valle.

Di quando in quando una colonna di fuoco si slanciava fuorida quella bolgia infernalecon le selvagge contrazioni dei serpentipoi vitornava dentro.

Gli abitanti si affollavano nella vallespingendo innanzimulicavalli e buoi piú o meno carichifra un urlío di donne spaventate e difanciulli terrorizzatimentre i soldati proteggevano la ritirata occupandofortemente le due falde dei montiper impedire un improvviso attacco da partedei filibustieri.

- Per bacco!... - disse don Barrejoil quale si erarialzato. - Nuova Segovia si potrebbe chiamare ora Nuovo Forno.

“Non avrei mai creduto che un miserabile caratello d'aguardientepotesse scatenare un simile incendio.

“Ah! i filibustieri non potranno lamentarsi di noi. Se nonabbiamo potuto prendere il marchese di Montelimarabbiamo almeno aperta lastrada. Che cosa diciMendoza?”

- Che schiaccerei un sonnellino- rispose il bascoil qualesbadigliava come un orso.

- Qui no. il vento comincia a spingere verso di noi il fumoe poi i filibustieri potrebbero sorprenderci e mandarci all'altro mondo senzariconoscerci.

“Fortunatamente ho detto a Buttafuocoprima di lasciarloche avremmo segnalato il nostro ritorno.”

- Accendendo la pipa?

- Nocon dei fuochi disposti in croce.

- Che non potranno vedere con tutte queste gigantesche pianteche ci coprono. Bada a mecameratagettati al mio fianco ed aspettiamo che ilfuoco abbia divorata la città.

“Domani ci apriremo la via attraverso il bosco ed ifilibustieri non saranno cosí imbecilli da fucilarci senza nemmeno dire:ehi!... guardati!... Buttafuoco manderà degli uomini a cercarci.”

- C'è troppa luce per dormire.

- Copriti gli occhi colle mani- disse De Gussac. - Ioaccetto il consiglio del tuo amicoe fino allo spuntare del sole non mimuoverò.

- Allora monto la guardia.

- Come vuoiamico: buona nottee guarda che le fiamme nonsi spingano fino a noi- disse Mendoza.

- Potete dormire tranquilli quando veglia un Barrejo.

La risposta fu data da due grugniti. Il guascone numero dueed il basco russavano giàmentre la valle fiammeggiava sempre piúintensamenteilluminando perfino le creste delle altissime montagne.

Tutta la notte il fuoco avvampò con furia incredibilefacendo crollare casecasermechiesecampanilimagazzinipoi verso l'albale fiammeper mancanza di alimentogradatamente si abbassaronocontorcendosicome fossero furiose di non aver piú nulla da distruggere.

Segovia-Nuova non esisteva piú.

La genialequantunque ferocetrovata del guascone era statasufficiente ad aprireil poche orela via ai filibustieri di Raveneau deLussan e disperdere i grossi corpi spagnuoli che il marchese di Montelimarpoteva opporre a loroe con molte speranze di aver ragione di quel pugnod'uomini.

Quando il sole riapparve sulle alte vette dell'impotente sierrache si stendeva da ponente a levantefronteggiata da un'altra minorei treavventurierinon vedendo piú nessuno nella vallesi misero in cammino perraggiungere Buttafuoco e Raveneau de Lussan.

I filibustierivedendo il passo liberopotevanoapprofittare e scendere dalle loro posizionisenza attenderli.

Si ricacciarono sotto i foltissimi boschi che coprivano ifianchi della sierra e si misero animosamente in camminopreceduti da DeGussacil quale si era provvisto d'un moschetto prima di lasciare la suatavernaccia.

Nello scendere la valle si erano considerevolmenteallontanati dalle trincee tenute dai loro compagnisicché dovettero rimontarefaticosamente la sierra per una mezza dozzina d'oreaprendosi il passo acolpi di draghinassa.

- Si vedono- disse ad un tratto don Barrejo.

- Chi? - domandò Mendoza.

- Le trincee.

- Ed i filibustieri?

- O che dormono tutti come ghiri o sono partiti - rispose ilguascone. - Non vedo nessuna sentinella vegliare sui punti avanzati.

- Che ci abbiano abbandonati?

- Mio caroavranno pensato che era meglio salvare trecentouominiinvece di due soli.

- Gl'ingrati!... - esclamò Mendoza.

- Non siamo ancora dentro le palizzate- disse De Gussac.

- Forse si riposano all'ombra delle cinte.

Don Barrejo scosse la testa.

- Uhm!... - fece poi. - Noi abbiamo lavorato per gli altriegli altri hanno piantato in asso noi.

“Forsenon vedendoci ritornare prestoavranno creduto chegli spagnuoli ci avessero appiccati.”

Un odore insopportabile giungeva dalla parte delle trinceesopra le quali vedevano volteggiare stormi immensi di urubui falchidell'America centrale.

I cadaveri degli spagnuoliabbandonati sul campo dibattagliacominciavano a corrompersi.

- Tonnerre!... - esclamò don Barrejoil qualecominciava ad avanzarsi con prudenza. - Sarà un affare serio mettere i piedidentro a quel carnaio.

“Che i nostri compagni siano fuggiti per non prendersi lapeste?”

- Lassú non vi è nessun essere vivente- disse De Gussacil quale aveva raggiunto l'orlo della prima trincea. - Mi rincresce dirvelomavoi siete stati abbandonati.

- Andremo al Darien per nostro conto- rispose don Barrejoil quale non si spaventava mai di nulla. - Ora non abbiamo piú gli spagnuoli aifianchi.

- Aspetta: vedo un segnale piantato in mezzo alla trincea.

- Andiamo a vederlo- disse il basco. - Lo hanno innalzatocertamente per noi.

Superarono la trinceaturandosi il naso per non respirarequelle esalazioni pestifere prodotte da quell'ammasso di corpi umani ormai incompleta dissoluzionee si diressero verso un'asta di lancia la quale reggevaun drappo rosso con qualche cosa di bianco piantato sulla cima e che non dovevaessere un pezzo di lama.

Mendoza non si era ingannato.

Era un biglietto di Buttafuococol quale dava lorol'appuntamento sul Maddalenanel caso che fossero riusciti a sfuggire aglispagnuoli.

- Hanno approfittato dell'incendio per passarecoperti dallenuvole di fumosotto le batterie spagnuole- disse don Barrejo.

- E noi? - chiese De Gussac.

- Seguiremo la medesima via.

- È lontano però il Maddalenaperché scorre lungo lefrontiere del Darien. Non vi potremo giungere prima di una diecina di giorni.

- Daremo un po' d'olio di palma ai nostri piedi e non cifermeremo finché non avremo raggiunti i compagni.

- Vorrei sapere quale vantaggio hanno su di noi.

- Notevole certamentema noi cercheremo di guadagnare via.Prima però di metterci in marcia cerchiamo delle armi da fuoco e dellemunizionidisse don Barrejo. - Ne vedo tante là in mezzo a quei morti.

- Non sarò certamente io che metterò i miei piedi in quelcarnaio- disse Mendoza facendo un gesto di ribrezzo.

- E nemmeno io- aggiunse De Gussac.

Il guascone li guardò quasi con commiserazionepoi disse.

- Diventate un po' schizzinosi voicamerati. Don Barrejoperò non lo è mai stato.

Scavalcò la trincea e si lasciò cadere su quell'ammasso dicadaverisopra i quali battagliavano ferocemente gli urubu.

Tenendosi uno straccio al nasosi avanzò con precauzionetemendo una cadutae giunse finalmente dinanzi ad un gruppo dove archibugi emunizioni abbondavano.

Stava per prendere un paio di armi da fuocoquando si videpiombare addosso uno stormo di volatili.

I divoratori di carognedisturbati nel loro nauseabondopastosi precipitavano addosso al vivotentando di levargli gli occhi.

- Ah!... furfanti!... - urlò il guasconefuribondosguainando subito la draghinassa. - Avete fatto alleanza cogli spagnuoli? Ora viaccomodo io.

Chiacchierava e battagliava ad un tempotagliando ali etesteseppellendosi fra una nuvolaglia di penne.

Mendoza e De Gussac ridevano a crepapellesenza accorrere insuo aiuto.

Gli urubu dovettero però ben presto convincersi che iloro becchi erano meno robusti della draghinassa del guascone e finirono perandarsene. Don Barrejo raccolse i suoi due archibugi e le sue munizioniripassò sui cadaveri brulicanti già di vermi e scalò la palizzata.

- Guardate un po'- disse. - Perfino gli uccelli l'hanno connoi!

“Questa è la terra della maledizione e...”

Un colpo di fucilesparato a non molta distanzagli ruppela frase. Degli uomini che indossavano corazze ed elmetti erano improvvisamentecomparsi sulla cresta dell'altura e si preparavano a fucilare i tre avventurierisenza nemmeno dire loro: Ohéguardatevi!

- Fulmini!... - esclamò Mendozamettendosi prontamente alcoperto della seconda trincea. - Gli spagnuoli!...

- Tonnerre!... Da dove sono sbucati costoro? - sichiese don Barrejoil quale aveva fatto altrettanto.

- Devono essere quei trecento che ci seguivano alle spalleper toglierci i bagagli- rispose Mendoza. - Gambeamicie rifugiamoci nellaforesta.

Le palle cominciavano a fioccare sulle palizzateperò glispagnuolitemendo forse di aver dinanzi a loro forze rilevantinon avevanoosato abbandonare la cresta dell'altura.

I tre avventurieritenendosi curvi e ben vicini alla cintadi mezzoguadagnarono d'un fiato il fianco della sierracoperto daalberi immensi e da cespugli colossali che s'intrecciavano ai festoni di liane evi si gettarono dentromentre i colpi di fuoco spesseggiavano con maggiorfrequenza.

- Se non si sono accorti che siamo in tre soliforse cilasceranno in pace- disse don Barrejoil quale sciabolava rabbiosamente lepiante per aprirsi il passo.

- T'ingannicompare- disse Mendoza. - Ho udito dei canilatrare e li lanceranno sulle nostre tracce.

“Ti ricordi quella famosa corsa attraverso i boschi diSandomingo?”

- Lasciami correre: è il meglio che possiamo fare.

Avevano trovato uno squarcio nella forestaforse aperto daitapirii quali hanno l'abitudine di costruirsi delle vere stradee si eranomessi a correre con lena affannosaspronati dalle archibugiate che la montagnaopposta ripercuoteva con un rimbombo assordante.

Quella corsa disperatalungo il fianco della sierradurò una buona orapoi i tre avventurierinon udendo piú far fuocosifermarononon poco stupiti di essere scampati miracolosamente all'agguato.

- Che cosa dici tuMendozadi tutta questa faccenda?

- Che se avessi una buona colazione la divorerei subito inmezzo minuto- rispose il basco.

- Io penso invece che navighiamo ora in un mare di fastidi.

- Sono ineziepei guasconi.

- Corpo di bacco!... Se abbiamo alle spalle quei trecentouomini finiremo per essere presi.

- Abbiamo delle gambe anche noi.

- E loro hanno i cani. Hai proprio udito dei latrati?

- Qualche mastino urlava fra gli spagnuoli.

- Io ho sempre avuto una paura tremenda di quelle bestiacceperché quando si mettono su una pista non la lasciano piú.

“Che bel guadagno che abbiamo fatto a recarci a Segovia!Siamo rimasti tagliati fuori dal grosso e colla retroguardia degli spagnuolialla spalle.

“De Gussactu che sei guascone come mehai qualche ideameravigliosa?”

- Se avessi qui qualche bottiglia saprei forse trovarcela nelfondo- rispose il guascone numero due. - Il vinopurtropponon s’incontranelle boscaglie.

- Allora non ci rimane che di metterci in cammino.

- Finché avremo la lingua asciutta e le gambe rotte-aggiunse Mendoza. - Non bisogna fidarsi di questo silenzio.

“Se gli spagnuoli non sparano piúè segno che si sonomessi già sulla nostra pista.

“Amicigambe!...”

Si erano internati in un superbo bosco di passiflorearrampicanti che in quelle regioni acquistano rapidamente delle dimensionistraordinariecol fusto irto di spine e che si attorciglia facilmente ai piniod alle palmeformando dei festoni d’una magnificenza incredibile.

Quasi tutto il tempo dell’anno sono coperte di fioripurpurei con pistilli e stami bianchi i quali rappresentanocon esattezzameravigliosadei martellidei chiodidei ferri di lanciadelle piccolecorone di spine e tutti gli altri strumenti della passione.

I tre avventurieriche cominciavano a provare le primestrette della famesi gettarono sulla frutta di quei profumati vegetaligrossicome un piccolo poponecolla buccia giallastraeccellenti se conditi con vinoe zuccheroe dopo d’averne fatto un’ampia raccoltasi rimisero in camminoseguendo sempre l’aspra falda della sierra.

Di quando in quandoquasi sotto i loro piedisi alzavanodei botaurovolatili alti quasi due piedicolle penne brunerigatesoprail ventre grigiastro ed il becco acutissimooppure dei curlamtrampolieri appartenenti alla famiglia dei francolinibruno-purpurei e la testapicchiettata di biancoche non avrebbero dovuto trovarsi in mezzo a quelleforeste essendo uccelli palustri. Vedendo passare i tre avventurierii quali siguardavano bene dallo sparare pel timore di attirare l’attenzione deglispagnuolivolavano via gridando: carò... carò...

- Ehidon Barrejo- disse Mendozail quale seguiva coglisguardi ardenti un branco di scoiattoli volantiche avrebbero potuto fornirgliuna deliziosa colazione. - Cantano per te quei trampolieri.

- Per me!... - esclamò stupito il guasconeil quale noncessava di battagliarecon De Gussaccontro le passiflore.

- Questi sono messaggeri gentilimandati da tua moglie:carocaro...

- Che il diavolo ti porti!... - Tu sei sordo come unacampana!. Carò... carò... la castigliana non mi ha mai detto carò.

“Lascia stare le donne e cerca di catturarmi invece un paiodi quegli scoiattoli volanti. Credi tu che io sia un uomo da vivere solamente dipoponcelli di passiflore?”

- Se vuoisparo!

- Ahno!... - disse don Barrejo. - Gli spagnuoli ci sonoalle calcagna.

“Odi quel maledetto cane?”

- Mi pare di udirlo di quando in quando.

- Già!... I baschi sono diventati anche sordi ora.

Pur chiacchierando non si arrestavano. Colle spade e con ladraghinassa battagliavano ferocemente contro le passiflorele quali formavanosopra di loro dei festoni sempre piú folti.

Verso il mezzodí fecero una breve fermata dinanzi ad unagrossa piantala quale cresceva solitaria in mezzo a quel caos di verzura.

- Un palo de vaca!... - aveva esclamato don Barrejo. -La colazione è assicurata. Anche i boschi qualche volta servonobenchéfacciano sovente disperare i poveri diavoli che sono costretti ad attraversarli.

“EhiMendozatu che hai un buon nasosenti glispagnuoli?... Io che posseggo due orecchi larghi come due ombrelli non odo piúil cane.”

- Io credo che si siano fermati a fare colazione- risposeil basco. - Non sono già dei muli dei Pirenei per marciare senza un momento disosta.

- De Gussacprestami il tuo elmetto. Non vi saranno dellebestie dentro?

- Nocameratate lo assicuro.

- D’altronde se vi è qualche schizzinosotanto peggio perlui.

Prese la draghinassa e l’elmetto e s’appressò allapiantala quale cresceva drittatenacemente abbarbicata a una rocciacon unacorona di foglie larghissime.

Vibrò un terribile colpo e dal tronco si vide scaturiresubito uno zampillo di liquido biancastroche pareva non avesse nulla dainvidiare al latte.

- Questo vale meglio dei poponcelli- disseporgendo aMendoza il casco che traboccava. - Che peccato non diventare piantatore di palode vaca!... Ciò mi risparmierebbe la fatica di tenere delle mucche.

- Sarà per un’altra volta- rispose Mendozail qualebeveva a lunghi sorsi il dolcissimo e denso liquido.

La fermata alla base dell’albero non durò piú di dieciminuti. Un lontano latrato li persuase a rimettersi subito in marciaper nonvenire raggiunti.

- Come sono lesti gli spagnuoli a fare colazione- disse bonBarrejo. - La nostra pelle deve valere piú dell’oro... Bestia!... Sono pelliguascone e basche!... Sfido io che sono ansiosi di levarcele di dosso!

Avevano ripresa la corsama non piú attraverso ad unaboscaglia di passiflore. Delle palme magnifiche sorgevano dinanzi a loroagruppilanciando i loro tronchi snelli e flessibili a piú di cinquanta metri d’altezza.Sulle cime cadevano elegantemente delle immense foglie dentellateche portavanouna spola d’un bel violetto iridiscentelistata di porpora e fiocchi difrutta che sembravano mele verdi.

Ai piedi di quelle piante crescevanoin grande quantitàdelle tigridiele quali spiegavano al sole i loro fiori in forma dicoppachiazzati ed occhialuti come il pelame d’un giaguaro o d’un pavone.

Quella seconda corsapiú affannosa della primadurò finoal cader del sole.

Tutto il giorno avevano udito i latrati del maledetto canesempre lontani è veroma anche sempre sulla loro pista.

- Cerchiamoci un rifugio- disse De Gussac. - Se nonlasciamo passare gli spagnuolici faranno correre fino alle cateratte delMaddalena.

- Cercalo tu- disse don Barrejo. - Sarei ben felice dilasciar passare quel cane dannato.

- Se ci arrampicassimo...

- TaciMendoza- disse il guasconeil quale da qualcheistante tendeva gli orecchi. - Si direbbe che noi siamo vicini a qualche fonte.

“Ascolta tuDe Gussac.”

- Odo infatti dell’acqua gorgogliare- rispose il guasconenumero due.

- Sarebbe quel che ci vorrebbe per far perdere al cane lenostre tracce.

- Andiamo un po' a vedere se si potrà usare quell’acqua anostro vantaggio- disse Mendoza. - Se si tratta d’un ruscelloaddio tuttele nostre speranze.

I tre avventurieriall’incerta luce crepuscolaresfondarono un ammasso enorme di cespuglimassacrarono colle spade una ventinadi cactus giganti e si trovarono improvvisamente dinanzi ad un bacino il qualesi stendeva dinanzi ad una roccia.

Da una spaccaturapiuttosto ampiache pareva conducesse aqualche antrol’acqua entrava e da un’altra spaccaturaaperta sul marginedel bacinouscivaprecipitandosi giú pei selvosi fianchi della sierra.

Don Barrejo aveva subito fissati i suoi sguardi sulla roccia.

- La sorgente è là dentro- disse. - Se potessimo trovareun rifugio? Il cane avrebbe un bel cercare le nostre tracce.

- Credi che vi sia qualche caverna piena d’acqua? - chieseMendoza.

- Un serbatoio di certo.

- E tu vorresti passare la notte là dentro coi piedi inacqua?

- Rimani fuori e sbrigatela da solo cogli spagnuoli.

- Non ho mai avuto simpatia per gli antri oscuridentro iquali si possono nascondere anche dei serpenti.

- E le nostre spade non sono state temprate nelle acque deGuadalquivir? Comparetu diventida qualche temponoioso. Invecchi forse?

- Può darsi- rispose il bascoridendo.

- Ho trovatodisse in quel momento De Gussacil quale daqualche minuto si frugava le tasche.

- Che cosa? - domandarono ad una voce i due amici.

- Un pezzo di candela che mi è servito a dar fuoco al bariledell’aguardiente.

- Leviamoci gli stivali e andiamo ad esplorare la sorgente-disse don Barrejo. - I latrati si odono sempre piú distintie scommetterei chegli spagnuoli non si trovano a piú di mille passi da noi.

 

 

Capitolo XV

IL PITONE DELLE CAVERNE

 

I tre avventurieriprofondamente impressionati dall’ostinazionedegli spagnuolii quali parevano risoluti a non accordare loro un momento ditreguasi tolsero gli stivali di pelle giallaappendendoseli agli archibugi edentrarono nel bacino il cui fondo era coperto di erbe acquatiche.

De Gussac aveva già accesa la candelaessendo ormaiscomparso anche l’ultimo barlume di luce e si era messo dinanzi ai compagnitenendo in pugno la spada.

Pratico delle regioni dell’America centraletemeva chesotto quelle acque tranquille sonnecchiasse fra le erbe qualcuno di queimostruosi serpenti acquaticiparticolarmente temuti dagl’indianipotendosviluppare una forza non inferiore a quella dei pitoni dell’India e dellaMalesia.

La traversata del bacinonon molto vasto d’altrondesicompí felicemente ed i tre avventurieri si trovarono presto dinanzi allaspaccatura dalla quale l’acqua sfuggiva gorgogliando dolcemente.

- Possiamo passareDe Gussac? - chiese don Barrejoche erain coda.

- Non avremo alcuna difficoltà- rispose il guascone numerodue.

- Cacciati dentrodunque. Quel maledetto cane si avvicinasempre.

De Gussac alzò la candela ed attraversò lo squarcio.

Dinanzi a luicome aveva già suppostos’apriva unosplendido bacino naturaledi forma quasi circolareabbastanza ampio percontenere anche due dozzine di uomini.

Dalla vôlta e dalle pareti l’acqua cadeva abbondantementealimentando cosí la sorgente.

De Gussac aveva fatto alcuni passi innanzitastando conprecauzione il fondoquando Mendoza e don Barrejo lo videro improvvisamentearrestarsi.

- Hai veduto qualche satanello? - chiese il terribileguascone. - I miei li ho lasciati tutti nella cantina della mia tavernasottola guardia di Rios.

- Non scherzarecamerata- rispose De Gussaccon voce unpo' alterata.

- Non ci saranno dei caimani quim’immagino.

- Ho udito all’estremità del serbatoio l’acqua subitoagitarsi.

- Eppure non soffia vento qui dentro.

De Gussacinvece di risponderealzò piú che poté lacandela e si mise a guardare attentamentema la luce non poteva giungere finoin fondo alla sorgente.

- Eppure- disse- sono certo di non essermi ingannato. Èprecisamente in questi rifugi tranquilli che amano ritirarsi i grossi serpenti d’acquadolce.

“Amicifuori le spade!...”

Aveva appena pronunciate quelle parolequando l’acqua delbacinoquantunque non fosse piú alta di cinquanta centimetrisi gonfiòimprovvisamente formando una vera ondataed un mostruoso serpente acquaticoche rassomigliava ad uno di quei terribili sucuriu brasilianicollescaglie tutte neresi eresse sibilando rabbiosamente.

Era piú grosso della coscia di un uomo e misuravasu pergiúalmeno otto metri.

I tre avventurierispaventati da quella improvvisa comparsasi erano appoggiati contro la pareteper non farsi avvolgere dalle possentispire del rettile stritolatore.

- Mano agli archibugi!... - aveva gridato De Gussacpiantando la candela entro una fessuraper avere le mani libere e non correreil pericolo di rimanere senza luce.

- Guardatevene!... - aveva invece esclamato don Barrejo. -Volete attirarci addosso gli spagnuoli?

“Abbiamo delle spade e daremo battaglia a questo signorabitante delle caverne.”

Il serpentedisturbato nel suo sonnomanifestava unacollera terribileperò non osava ancora assalireabbagliato forse dalla lucedella candela.

Fischiava rabbiosamentesi alzava e si abbassava ed agitavaburrascosamente la sua codacercando di allungarla verso gli avventurieri peravvolgerla intorno alle loro gambe.

La situazione era terribile. Dal di fuori giungevanoadintervallii latrati del maledetto cane che guidava gli spagnuolied ilrettile si preparava per l’assalto.

- Preveniamolo!... - gridò don Barrejoalzando la suaterribile draghinassa. - Fra cinque minuti gli spagnuoli saranno qui.

“Animocamerati: proviamo il nostro acciaio sulle squamedi quel mostro.”

I tre avventurieridecisi a uscire in qualche modo da quellasituazione che di momento in momento si aggravavasi scagliarono a corpoperduto contro l’abitatore della cavernamenando colpi disperati.

La spada di Mendozatroppo leggierarimbalzava sullescaglie del mostruoso rettilesenza riuscire a produrre alcuna ferita seria; ledue draghinasse dei guasconipiú solide e piú pesantitagliavano invece inpieno.

Il serpentecoperto di sangue dalla testa a mezzo corporaddoppiava i suoi attacchicercando di avvolgere in un sol colpo i suoiassalitori e stritolarli.

La sua possente coda si agitava in tutti i sensiscagliandoaddosso ai combattenti sprazzi d’acqua che non li sgominavano affatto.

- Picchia sodoDe Gussac!... - gridava don Barrejosaltandoa destra ed a sinistra per non farsi avvolgere. - Cacciagli la tua spada ingolaMendozase non fa presa sulle scaglie.

- E picchia duro anche tu- rispondevano i cameratimenandocolpi terribili.

Il rettileferito in dieci puntisi esauriva rapidamentesenza riuscire a sbarazzarsi dei suoi avversarî che gli piombavanoincessantemente addosso come mastini arrabbiati.

Finalmente il lungo corpo si ripiegò su se stessoscosso dafortissime convulsionipoi si stese lentamente sul fondo del serbatoioproprionel momento che don Barrejo lo finiva con un tremendo colpo di draghinassavibratogli sulla testa.

Intorno ai combattenti l’acqua era diventata tutta rosaperò essendo la bocca di sfogo abbastanza ampiasfuggiva rapidamente.

- Tonnerre!... - esclamò don Barrejotergendosi ilsudore che gli colava dalla fronte. - Mi pare di aver battagliato contro qualchemostruoso drago. Sono veramente pericolosiquesti rettiliDe Gussac?

- Non sono velenosiperò posseggono una tale forza dastritolarefra le loro spireperfino un giaguaro.

“Non vi è un animale che possa resistere loro.”

- L’orso forse?

- NoIl tapiroe deve la sua salvezza alla capacità edalla resistenza dei suoi polmoni.

“Quando si sente avvinceree ciò gli succede difrequenteabitando i luoghi frequentati da questi rettilisi sgonfia tutto.

“Quando il rettile ha ben chiuse le spirebeve aria ingran copiadiventando un terzo piú grosso e spezza le vertebre del suoavversario se...”

- Taci!... - disse Don Barrejocurvandosi verso l’apertura.- Gli spagnuoli sono qui.

Un latrato sonoro si era fatto udire a non molta distanza dalbacino. Il cane doveva aver trovata la pista dei fuggiaschi e la seguiva ancoracon ostinazione feroce.

- Io ho quasi piú paura dei mastini degli spagnuoli che deigiaguari- disse Don Barrejo. - Che riesca a trovarci anche qui dentroMendoza?

- È impossibile- rispose il basco. - Se noi restiamotranquilli e silenziosisfuggiremo ancora una volta ai nostri nemici.

- Vediamo se à possibile trovare un posticino almeno persederci.

Non sarebbe piacevole rimanere tutta la notte coi piedi nell’acquatutt’altro che calda e sempre ritti.

- Cerchiamo pure- rispose Mendozail quale ci teneva purea riposarsi un po'dopo una cosí lunga marcia.

Prese la candela e fece il giro della sorgente. All’estremitàscoprí una specie di nicchiascavata dalle acquebastante a contenerli tuttitre. Era tutt’altro che asciuttapoiché dai pori del suolo sfuggivanoconun allegro rumoredei getti di acqua che poi si radunavano un po' piú inbasso.

- Ci si può stare- disse Mendoza. - Saremo costretti aprendere un bagno fino a domani mattina. Tutte le comodità d’altronde non sipossono trovare.

- Hai guardato bene se vi è nascosto dentro qualche altroserpente? Qualche volta questi brutti rettili si appaiano.

- Non ho veduto che dell'acqua colare.

- Tonnerre!... Spegni la candela!

Il cane che guidava gli spagnuoliun mastino di certo capacedi tener testa anche a due uominiaveva lanciato tre sonori latrati i quali sierano ripercossi sinistramente entro il serbatoio.

La candela fu immediatamente spentaed i tre avventurieri sirannicchiarono nello specopuntando gli archibugi verso l’aperturaquantunque dubitassero assai che la polvere fosse asciutta.

Al di fuorisulle rive del bacinosi udivano gli uominiparlare ad alta voce.

- Il cane si è fermato- diceva uno che aveva un vocione datoro. - Se Lopez si è arrestatovuol dire che quelle canaglie hanno fatto quiuna sosta.

- Bella scoperta!... - aveva risposto un altro soldatocheaveva invece una voce squillante come una campana d’argento. - Anch’iosenza essere un caneavrei sospettato che qui avessero fatto una fermata.

Caramba!... Non si trova sempre dell’acqua cosífresca e cosí limpida.”

- Dove si saranno nascosti quei demoni? - aveva ripreso ilprimo. - Che abbiano dei muscoli d’acciaio? È da stamane che corriamo comelupi affamati senza un momento di tregua.

- Cerca Lopez!... Cerca!... - avevano gridato parecchie voci.

Il cane continuava a latrare lungo le rive del bacino senzadecidersi a riprendere la corsa.

La pista che da dodici ore seguiva ostinatamentegli era adun tratto mancata.

- EhiMendoza- disse don Barrejourtando il basco che glistava vicino. - Che cosa ti dice il cuorevecchio mio?

- Che anche questa volta la passeremo liscia- rispose ilfilibustiere. - La notte è scesa e non potranno scorgere la spaccatura per laquale siamo entrati!

- Un’idea!... - esclamò don Barrejopicchiandosi lafronte. - Talvolta si hanno nelle mani delle fortune e non si afferrano.

- Ora quest’uomo metterà a soqquadro il serbatoio- disseMendoza.

- Non si tratta che di prendere quel serpentaccio e dicollocarlo presso l’apertura- rispose il terribile guascone. - È cosígrosso che la otturerà completamente.

“Vedremo se gli spagnuoli avranno il coraggio di assalirlo.”

- Dopo che noi l’abbiamo accoppato- disse De Gussac.

- Ora che è morto difenderà noi.

- Quest’uomo ha una fantasia inesauribile- disse Mendoza.

- Eppure le sue trovatedevo convenirnesono sempreefficaci.

- Allora si va a ripescare quel serpente? - chiese De Gussac.

- Andiamo- rispose Mendoza.

Deposero gli archibugisi presero per manoregnando ormailà dentro un’oscurità perfettadopo che avevano spento il pezzo di candelae si misero a cercare il mostruoso rettile coricato in fondo al bacino.

Non fu difficile trovarlo poiché era cosí lungo cheoccupava quasi tutto l’antroessendosi disteso dopo la sua morte.

- Issa- disse Mendozache pel primo l’aveva scoperto. -È pesante come dieci gomene delle âncore di speranza d’un tre ponti.

- Issa- risposero a loro volta i due guasconi.

L’impresa però non fu cosí facile come si potrebbecrederepoiché quell’abitatore delle caverne pesava come se avesse dentro isuoi intestini del piombo.

Tirando e spingendo e guidandosi colla debole luce cheentrava dalla spaccaturariuscirono finalmente a trascinarlo sul posto.

- Prima di chiudere il passaggio vediamo cosa fanno glispagnuoli e se sono sempre in buon numero- disse don Barrejo.

Dall’altra parte del serbatoio giungevano dei riflessirossastri e si udivano molte voci parlare.

Il guascone salí con precauzione fino alla spaccatura elanciò al di fuori uno sguardo.

- Corbezzoli!... - disse. - Si sono accampati proprio neipressi del bacino ed hanno acceso molti fuochi.

“Passeranno la notte qui; in attesa che il loro caneritrovi le nostre tracce.”

- Sono molti? - chiese Mendoza che gli stava dietro.

- Non posso scorgerli tutti- rispose don Barrejo. - Mi pareperò che siano una grossa compagnia.

“Devono essere quei famosi trecento che seguivano ifilibustieri di Raveneauper togliere loro i bagagli.

“Dammi la testa di questo bestione per metterla bene invista: anche se è spaccata produrrà un certo effetto. Ohéissa!...”

Il rettile fu nuovamente sollevatospinto ed accomodatoattraverso lo squarcio della sorgentein modo da sembrare addormentato.

Don Barrejo aveva avuta la precauzione di mettere la testabene in vistadopo d’averla pulita del sangue coagulato.

- Ecco uno spauracchio che ci lascerà tranquilli- disse. -Cameratiin ritirata nel nostro buco e cercate di dormire.

Riattraversarono silenziosamente il serbatoio e raggiunseroil loro rifugio pullulante d’acqua freschissimaaccomodandosi alla meglio perprendere un po' di riposo.

Dal di fuori non giungeva piú alcun rumore. Gli spagnuolistanchi da quella lunga corsadovevano essersi addormentati intorno ai fuochi.

Neppure il cane urlava piú; solo l’acqua del bacinocontinuava a gorgogliare dolcementeinvitando a dormire.

Potevano riposarsi tranquillamente gli spagnuoli che avevanoper materasso dell’erba folta e profumatama non certo i tre disgraziatiavventurieriche si sentivano correre l’acqua sotto e sopracadendo anchedalla vôlta dei larghi goccioloni che stizzivano specialmente don Barrejo.

Tutta la notte non fecero che agitarsi e cambiare di postonella speranza di trovare un posticino asciuttomentre invece pareva che soprala grande roccia esistesse un altro serbatoio importanteimpaziente discaricarsi per far posto alle nuove piogge.

Anche quella notteper quanto tormentosa passò come tantealtre e finalmente un po' di luce rischiarò il serbatoiofiltrando attraversole spire del serpente.

Gli spagnuoli al di fuori recitavanocome era loro costumele preghiere del mattino e si udiva un fruscío ed un cozzare di spade e diarchibugi.

Don Barrejo che non aveva chiuso gli occhi un solo momentostava per balzare fuori dal buco volendo sgranchirsi le gambequando si udironoecheggiare delle urla di terrore.

- Serpente!... Serpente!... - gridarono gli spagnuolimentreil cane urlava a squarciagola.

Sette od otto colpi di fucile rimbombarono un momento dopo eparecchie palle attraversarono il serbatoiopiantandosi nelle roccefriabilissime.

- Ci assaltano? - chiesero Mendoza e De Gussacsvegliati disoprassalto.

- Siil rettile- rispose il terribile guasconeridendo. -Guardatevi dalle palle di rimbalzo.

Il guascone numero due ed il bascosenza aspettare il suoordinesi erano già coricati dentro il crepaccioaffinché i grossiproiettiliche fischiavano sempre attraverso il serbatoionon li colpissero.

Gli spagnuoli si accanivano contro l’enorme serpente e glimandavano addosso una tal grandine di proiettili da farlo sussultare come sefosse ancora vivo.

Quella tempesta durò parecchi minutiquasi senzainterruzionepoi finí in un clamore altissimo.

Gli spagnuoli si erano probabilmente convinti che il rettilefinalmente doveva essere morto.

- Mendoza- chiese don Barrejoil quale seguiva le paretidel serbatoio tenendosi ben curvo. - Sei ancora vivo?

- Sicompare- rispose il basco.

- E tuDe Gussac?

- Piú vivo di prima.

- Rendete grazie al serpentaccio- disse don Barrejotogliendosi il cappello ed inchinandosi. - Quella povera bestia ci ha salvata lapellefigliuoli miei.

“Purtroppo; senza la mia prodigiosa ideaa quest’ora voisareste tutti morti.”

- E le spade temprate nelle acque del Guadalquivir a che cosaservono dunque? - chiese il bascoironicamente. - Se tagliando le ruvide egrosse scaglie dei serpentipotrebbero tagliare anche qualche testa umana.

- Qualche volta anche dieci testequando l’uomo che leimpugna è valoroso ed ha il braccio solido- disse il terribile guascone.

- Anche centouomo ferocissimo- rispose Mendoza. - Io hopassati molti anni fra i piú tremendi filibustieri e non mi è mai toccato d’incontrarmiin un avventuriero di tale fatta. Tucomparesei il vero calibro da 36.

- Che cos’è?

- Quando Wan Hornil famoso filibustierescopriva fra isuoi uomini un accidente secco come telo insigniva dell’ordine calibro 36che allora era la massima portata dei pezzi da caccia.

Don Barrejo si scoprí e fece un profondo inchino.

- Tu non sei un Wan Hornnéun conte di Ventimiglia-dissecolla sua solita comica gravità. - Siccome però sei sempre stato unfamoso filibustierepur combattendo negli ultimi ranghiio ti sonoriconoscente del calibro che mi hai assegnato.

“Corpo d’un cannone!... Se noi riusciremo a mettere lemani sul famoso tesoro del Gran Cacico del Darienfarò fondere per mia moglieuna pepita grossa come una patata e su quello spillone farò incidere il36.

“Nuovo ordine cavalleresco di S. M. Mendoza 54°.”

- Perché 54°?

- Suppongo che tu avrai avuto degli antenati come qualchealtro mortale e che non sarai nato dalla schiuma del mare. Tu dunque sarai il54° successore del tuo antenatissimo.

- Che il diavolo ti porti!... - rispose Mendozascoppiandoin una risata.

- È impossibilecamerata- disse don Barrejo- perché idiavoli ed i satanelli li ho lasciati tutti nella mia cantina sotto la guardiadi Rios.

“Suvviaaiutatemi a togliere il serpentacciogiacché glispagnuoli se ne sono andati.”

- Ne sei proprio convinto? - chiese De Gussac.

- Non odi il cane latrare in lontananza? O cercadisperatamente la nostra pista o ne ha trovata un’altra.

- Síse ne sono andati- confermò Mendoza.

Afferrarono il rettile che era ridotto in uno stato miserandoe lo lasciarono cadere nel serbatoiopoi prese le armi e le munizionilasciarono il rifugio per prendersidopo tanta acquaun bel bagno di sole.

Intorno al bacino fumavano ancora dei tizzonisui quali glispagnuoli avevano abbrustolito delle pannocchie di maisa giudicare dai moltigrani che si vedevano a terra.

Nemmeno essi dovevano essere ricchi in fatto di provviste.

La giornata prometteva di essere splendida. L’astro diurnosfolgorava già sulle cime della sierra di levanteinondando la vallatadi raggi d’oroed una brezzolina fresca fresca passava attraverso i boschifacendo sussurrare le gigantesche foglie delle palme ed ondeggiare le altissimecime dei pinou.

Ritto sui rami d’un cespuglio di anone grandiflore un bell’uccelloalto quasi due piedicolle penne bruno rigate sopra ed il ventre grigiastrocol becco lungo ed acutissimo e gli occhi gialli e dilatatipareva chesalutasse il solelanciando a tutta gola e senza alcuna interruzione delle notecuriose: dun ka-du... dun ka-du...

- Quella sarebbe una magnifica colazione- disse donBarrejo.

- I botoko sono delicatissiminoi però saremocostretti a guardarlo da lontano.

“I nostri archibugi non possono sparare per ora.Peccato!...”

- E poi non sarebbe prudente far fuoco in questo momento.

Gli spagnuoli non dovevano essere molto lontani- disseMendoza.

- Eppure i ventri brontolano minacciosamente. Abbiamosoppresso colazionipranzi e cene tutto d’un colpo.

- Quando avremo varcata la cresta di questa montagna potremoarrischiare un colpo di fuciledon Barrejo. Lasciamoli quindi brontolare perora.

Il terribile guascone mandò un lungo sospiro.

- A quest’orase io fossi nella mia tavernaavrei giàfatte due colazioni.

- E portato il caffè alla señora moglie- aggiunseMendozaridendo.

- Questa volta va' tu al diavolo!...

- Preferisco salire la montagna. OrsúDe Gussacattacchiamo.

Dato un ultimo sguardo alla profondissima valle cheserpeggiava fra le due sierre e che appariva assolutamente desertai treavventurieridopo avere imposto alle loro budella un rigoroso silenziosicacciarono attraverso la boscaglia colla speranza di lasciarsi molto addietrogli spagnuoli e di giungere prima di loro alle cateratte del Maddalena.

La selvaggina abbondava sotto a quelle superbe piantechelanciavano le loro cime a quarantaa cinquanta e perfino a sessanta metri.

Bande di coniglî dal pelo rosso chiaro e la coda lungafuggivano attraverso ai cespugli; i galli dal collareallora numerosissimi edora scomparsi sulle sierre del centro americanofacevano per qualcheistante la loro comparsa fra le liane che s’intrecciavano a festonimostrandole loro quattro alipoiché ne hanno due piantate quasi sotto il collogonfiavano il loro gozzo rugoso di color arancio e salutavano con un gridoacutissimo per poi scappare subito; sui tronchi dei pini i picchi capellutitutti nericon un ciuffetto sulla testagrossi come una cornacchiapicchiavano rabbiosamente contro il legnocol loro becco aguzzo e duro come l’acciaioper cercare le larve depositate dagli insetti.

In alto e quasi rasente al suolo poistormi di scoiattolivolanti non piú grossi d’un topocol pelame grigio perla sopra e biancosottoil muso roseo e le piccole orecchie tutte neredescrivevano deglizig-zag curiosi a vedersiallargando la membrana dei fianchi che serve lorocome paracadute.

Don Barrejoil quale non era ancora riuscito a far tacere isuoi intestini reclamanti imperiosamente la colazioneguardava malinconicamentequella selvaggina che pareva lo deridesse.

- Tonnerre!... - borbottava. - Qui ci sarebbe da faredegli arrosti squisiti e devo contentarmi di guardarli. Cosí non la puòdurare.

“Sono già abbastanza magro per diventarlo di piú.”

A mezzodídopo d’aver attraversato parecchi cañoni tre avventurieripiú affamati che mairaggiungevano la cima della sierra.

Dinanzi a loro si stendevano altre vette che dovevanosuperare se non volevano cadere nelle braccia degli spagnuoli.

Scaricarono gli archibugitemendo che la polvere nonservisse piú e si slanciarono attraverso i cespugliansiosi di guadagnarsifinalmente una colazione che mancava loro fino dal giorno innanzi.

Ben presto dei colpi risuonarono a destra ed a sinistraripercuotendosi fragorosamente nella profonda vallata. Conigligalline sultanegalli del collare erano caduti in buon numero sotto i colpi dei cacciatori iquali oltre ad essere spadaccini insuperabilierano altrettanto famosibersaglierispecialmente Mendoza.

Avevano già acceso il fuoco al riparo d’una rocciasoffiando un vento piuttosto forte sulla sierrae stavano spennacchiandoi volatiliquando don Barrejo gettò in aria il gallo del collare che teneva inmanoaccompagnando il gesto con una sfilza di tonnerre!

- Ebbenediventi pazzo? - gli chiese Mendozastupito. - Èvero che la puna della montagna guasta talvolta i cervelli.

- Non ha però guasti i miei orecchicompare- rispose ilterribile guascone. - Non odi nulla tu?

- Dei torrenti scrosciare.

- E tuDe Gussacche sei un guascone al pari di me e chedevi aver l’udito finissimo?

- Ancora il cane?

- Síurla sul fianco della sierra. Quella bestiamalefica ci ha fiutato anche a lunga distanza e cerca di raggiungerci.

- Deve essere però molto lontano.

Don Barrejo si diede due pugni sulla testa.

- Corpo di tutti i satanelli chiusi nella mia cantina!... -esclamò furibondo. - Che non possiamo piú né dormirené mangiare?

- Compare- disse Mendoza- sai come fanno gli spagnuoliquando vanno alla guerra? Fanno colazione con una sigarettapranzano con unacipolla e cenano con una serenata fatta alla luna.

- E se la luna manca?

- Le chitarre continuano egualmente- rispose Mendoza.

- Ho udito infatti parlare della frugalità e dellaresistenza del soldato spagnuolo- disse don Barrejo. - E cosí?

- Si torna a scappare.

- Senza aver assaggiati prima questi due galli del collare?Ohmai!... Abbiamo anche noi il diritto di fare colazione e la faremocorpo ditutti i satanelli!...

“Il cane d’altronde è ancora molto lontano e forse segueun’altra pista e poi noi teniamo la cresta della sierragli archibugisono bene asciutti e sapremo difenderci.

“De Gussacsoffia sul fuoco.”

 

 

Capitolo XVI

SULL’ALTA “SIERRA

 

Don Barrejoda buon guasconeera un uomo di parola esiccome la gola tentava ferocemente i suoi compagnitutti furono d’accordo diprepararsi la colazione e di divorarselasalvo a battersi come era loroabitudine.

Il caneche doveva avere un olfatto finissimo per sentire inemici ad una cosí grande distanzacontinuava a latrare sui fianchi della sierra.Seguiva probabilmente qualche cañonforse un po' a casacciotirandosidietro i combattenti i qualidopo tante marce faticosedovevano essereimpazienti di finirla con quegli inafferrabili avventurieri.

Due galli del collaresapientemente arrostiti da De Gussacanche lui taverniereinfilzati in una bacchetta di ferro d’un archibugiofurono il piatto forte della colazione.

Mendoza però vi aveva aggiunto un coniglio ben grassoccioil quale arrosolandosi spandeva all’intorno un profumo squisitofors'anchepericoloso col cane che era sempre sulla loro pista.

Malgrado le spacconate dei due guasconii quali affermavanodi non volersi muovere fino a che non avevano terminatola colazione fu fattaalla lesta.

I latrati del maledetto caneecheggianti sempre sul fiancodella sierra e che diventavano di minuto in minuto piú distintiavevanomesso un po' d’inquietudine anche indosso ai due gradassi.

- Sgombriamo- disse Mendozail quale sospirava l'istantedi unirsi alla colonna dei filibustieri. - Chi vuol battersi rimanga pure.

“Per conto mio serbo la pancia per un'altra occasione.”

- Perché è piena di quella deliziosa carne di gallo dascoppiare- disse don Barrejo. - Se tu fossi affamato terresti testa a queidemoni che c'inseguono. Confesso però che sono anch'io del tuo parere e chepreferisco rimettermi in cammino.

“Sai condurci tuDe Gussac?”

- Quando avremo attraversata la sierra vi mostrerò lecascate del Maddalena.

“La via sarà lunga e molto aspraperò vi assicuro chegiungeremo prima dei vostri compagnise sono costretti a seguire la valle diSegovia.”

- Mettiamoci le gambe in ispalla- disse don Barrejo - efacciamo correre gli spagnuoli.

“Che non si stanchino mai? Oh vedremo se avranno le gambepiú solide dei guasconi e dei baschi.

“Ah!... Quel cane!... Se potessi mandargli una buona palla!”

- Si presenterà piú tardi l'occasione- disse De Gussac. -Per ora non dobbiamo far altro che correre.

- Da' un po' d'olio ai muscoliMendoza.

- I muscoli dei baschi non si bagnano che nel vino- risposeil filibustiere.

Un'altra vettaaltissimatutta coperta di foreste immensestava di fronte a loro.

I tre avventurieridopo essersi ben assicurati che il caneera ancora lontanoattaccarono coraggiosamente la montagnacolla fermaintenzione di far fare agli spagnuoli una lunga e terribile marciapoichéquella ostinazione cominciava ad impressionarli. Dovevano essersi ben accortiche non avevano dinanzi che degli sbandati e non già il gruppo principaleguidato da Raveneau de Lussan e da Buttafuocoper impegnarsi cosíaccanitamente.

Un dubbio si era però cacciato nel cervello del guasconenumero uno e del bascocioè che il marchese di Montelimarabbandonato ilgrosso delle sue forzesi fosse unito ai trecento uomini per giungere piúsollecitamente alle frontiere del Darien.

L'idea di doversi trovare ancora dinanzi al terribilemarchesefaceva correre dei brividi di spavento nelle ossa dei dueavventurieri.

Marciavano da quattro orecon lena affannosanon fermandosiche qualche istante per ascoltare se il cane guadagnava su di loroquando DeGussac che marciava in testa si fermò bruscamentefacendo un gesto didispetto.

- Ehiamicomi pare che tu non sia contento in questomomento. Hai veduto le corna o la coda di compare Belzebú?

- Temo che avremo fra poco da fare appunto con delle corna econ delle code- rispose il taverniere di Segovia. - Ascolta un po' dunque.

- To'!... Si direbbe che qui vi sono delle mucche- risposedon Barrejo. - Che bella occasione per bere una tazza di latte!

- Síva' a mungerlo tu- rispose De Gussacil quale nonpareva affatto tranquillo.

- Non sono spagnuoli e a me basta- rispose don Barrejo.

- Sono ben piú terribili. Hai mai udito parlare dei toridella puna?

- M’immagino che saranno delle bestie fornite di cornadizoccoli e di code come tutte le altre.

- Uff!... - fece don Barrejo.

- Non prendete le cose alla leggiera- disse Mendozailquale aveva già armato l’archibugio. - Io ho udito parlare dei tori dellealte sierre e sempre con grande spavento.

- Insomma che animali sono? - chiese don Barrejo.

- Dei tori fuggiti dalle tenute in seguito ai ferocitrattamenti dei vaqueros e diventati ormai cosí selvaggi che appenascorgono un uomo lo assaltano e lo sventrano.

- Veramente non amerei affatto lasciare sulle loro corna lamia squisita colazione- disse don Barrejo. - Che cosa si fa dunque?

- Si aspetta- rispose De Gussac.

- E gli spagnuoli che ci sono sempre alle spalle!...

- Preferisco affrontare loroper mio contopiuttosto che untoro della puna.

- Sei un guascone come mequindi io devo crederti.Guardiamoci dunque dalle corna di questi signori dell’alta sierra.

Si erano gettati dietro il tronco d’un altissimo pinoufacile a scalarsi avendo i rami fino quasi a terrae si erano messi in ascolto.

Nella boscaglia si udivano dei muggiti sordiche avevano unnon so che di feroce ed attraverso agli squarci delle piante si vedevano passaree ripassare delle grandi ombre tutte nere.

Qualche drappello di quei formidabili animaliriconosciutidi una ferocia inaudita e d’uno slancio irrefrenabilesi era radunato in quelluogo e tagliava la via agli avventurierii quali correvano il pericolo divedersi presi fra i colpi d’archibugio degli spagnuoli e quelli delle cornanon meno temibili.

- Non ci mancava che questo- disse sottovoce don Barrejoil quale spiava curiosamente quelle grosse ombre. - Io no ho mai avuto a chefare con questi animali.

“Ci vorrebbe il signor Buttafuoco con una mezza dozzina dibucanieri.”

- Vallo a pescare sul Maddalena- disse Mendoza.

- Eppure anche senza di lui dobbiamo fare qualche cosa.Preferisci le palle o le corna?

- Preferisco aspettare che i tori se ne vadano- risposeMendoza.

- Ed allora avremo addosso gli spagnuoli. Il cane ha trovatocertamente la nostra pista. Odi come latra giocondamenteora? Se potessiprenderlo a calci!...

- Non impicciarti coi mastini. Hanno dei denti formidabili enon esitano mai ad attaccare il nemico.

- Mi ricordo di. Sandomingo.

- Lascialo quindi in pace e se vuoi sbarazzarti di luiammazzalo con una buona fucilata e anche a distanzapoiché non sempre vanno aterra con una palla.

- L’odio ferocemente.

- Ed io non meno di te ed aspetto pazientemente l’occasioneche mi giunga a tiro. Morto luigli spagnuoli rimarranno disorientati.

- Tonnerre!...

Un colpo di archibugio era risuonato in quel momento lungo ifianchi della sierra.

I toriudendo quella detonazionesi gettarono fra icespugli facendo udire dei muggiti minacciosi.

- In alto!... - comandò De Gussac.

I tre uomini s’aggrapparono ai grossi rami del pinoue diedero la scalata al vegetale giganteil quale lanciava la sua cima asessanta e forse piú metri dal suolo.

Si erano appena innalzatiquando dieci o dodici torituttinericogli occhi iniettati di sanguele corna lunghe ed aguzze bene piantatesulla frontesi gettarono come un uragano sotto la boscaglia.

- Un momento di ritardo e facevano di noi una bella frittata- disse don Barrejo.

- Te lo avevo detto io che erano piú pericolosi deglispagnuoli- rispose De Gussac. - Quando sono lanciati non li arresterebbenemmeno un pezzo d’artiglieria.

- Speriamo che s’incontrino coi nostri nemici e chesventrino quel dannato cane.

Temendo di venire da un momento all’altro scopertisierano messi a salire frettolosamentepassando di ramo in ramo.

Sotto di loro i tori continuavano a scorrazzare all’impazzataper la boscagliaora scagliandosi con impeto spaventoso ed ora sostando qualcheistantecome se cercassero di raccogliere dei lontani rumori.

Probabilmente avevano udito i latrati del cane e si eranoaccorti dell’avanzata degli spagnuoli.

- Che brutte bestie- disse l’eterno chiacchieronesalendo sempre. - Avevi ragione a direDe Gussacche sono peggiori deglispagnuoliquantunque non li abbia ancora provati.

- E ti auguro di non provarli- rispose il guascone numerodue. - Fortunatamente non possono arrampicarsi e troveremo sulla cima di questo pinouun comodo nido.

- Un nidoavete detto? - chiese Mendozail quale era piúavanzato di tutti. - Io credo che ce ne sia uno lassú e abbastanza comodo perstarci tutti.

“Avremo però da fare i conti con i proprietarî.”

- Che cosa hai scoperto dunque? - chiese don Barrejo.

- Non vedi lassúuna grossa macchia nera?

- E sarebbe un nido quello?

- È di condor!

- Vuoto o non vuoto noi lo occuperemo- rispose il terribileguascone.

- Bada ai tuoi occhicamerata. Non si scherza coi condor.

- Può essere vuoto.

- Questo lo sapremo fra cinque minuti.

- Mi pare che il diavolo abbia messo la coda nei nostriaffari. I tori sono sotto di noii grossi uccellacci sopra e gli spagnuolipronti a fucilarci!

- Taci e sali- rispose Mendoza.

Quella scalata pareva che non dovesse finire maitanto altaera la pianta. Finalmente Mendozache era sempre piú in alto di tuttigiunsesotto una specie di piattaformacoi margini rialzatiformata di robusti ramiintrecciati.

Era cosí vasta da poter contenere non trebensí anche seiuominie sulla sua robustezza non si poteva dubitare.

- È proprio un nido di condor- disse. - Se è vuotopotremmo riposarci tranquillamente e lasciar passare gli spagnuoli.

“Quassú non verranno certo a scovarci.”

- E se sarà occupatometteremo gli inquilini alla porta-disse don Barrejo. - Abbiamo archibugi e spade per tenere in rispetto queigiganti dell’aria.

“SaliMendozama prima assicurati se questa gigantescacesta è solida.”

- Ne rispondo pienamentesenza provarla.

Il basco si aggrappò all’orlo ed in due tempi si tirò supiantando il viso fra una moltitudine di penne e di avanzi animali che puzzavanoorrendamente.

- Sacco rotto!... - esclamòmettendosi in ginocchio. - Ilnido è occupato.

- Da chi? - chiese Barrejoil quale si era issato dall’altraparteaiutato da De Gussac.

- Vi sono due condorini che sonnecchiano in mezzo a tuttaquesta porcheria.

- Mettili alla porta.

- E se i genitori ritornano? Non vi è molto da scherzare coicondorcompare.

- Allora strozzali e ci serviranno piú tardi di colazione.

- Puah!... Volatili nutriti di carogne!...

Aveva alzate le piume e le erbe secche ed aveva messo alloscoperto due condorinigià grossi come un tacchinoquantunque non avesseroancora messe le piume.

- Sarei stato piú contento se non li avessimo trovati-disse. - Buttali viaprima che giungano i vecchi e facciamo un po' di pulizia.

“Questo è un letamaio.”

Il basco guardò prima in ariapoi non avendo scorto nullaprese i due piccini e li gettò nella forestamentre De Gussac e don Barrejorovesciavano penneavanzi d’animali puzzolenti e grossi mazzi d’erbesecche.

- Panchita sarebbe stata piú brava colla scopa- disse ilterribile guasconecon un sospiro. - Noi d’altronde non abbiamo maneggiatoaltro che spade e draghinasse.

- E boccali di mezcal o di Xeresaggiunsemaliziosamente Mendoza.

- Mio carobisogna sapersi guadagnare la vita... Toh! E glispagnuoli? Io non odo piú i latrati del cane.

I tre uomini si misero in ascolto ed infatti non udirono piúla grossa voce del terribile mastino.

- Che ci siano già sotto? - si chiese don Barrejofacendouna smorfia. - Impegnare un combattimento a sessanta metri d’altezza è uncerto affare che non mi va troppo a sangue.

- Vediamo innanzitutto che cosa fanno i tori della puna- disse Mendoza. - Se pascolano sempre nel boscovuol dire che gli spagnuolinon sono ancora giunti.

Si gettò carponi e si spinse fino sull’orlo del vastopaniere.

Da quell’altezza poteva dominare un immenso tratto diforestaanche perché le piante non erano piú folte come sui fianchi della sierra.

- Si vedono? - chiese don Barrejo che gli stava dietro.

- Síe pascolano precisamente sotto questo pinou-rispose Mendoza.

- Eppure poco fa gli spagnuoli non erano molto lontani. Quelcorpo d’archibugio deve essere stato sparato a non piú di mille passi.

- Sapeteamiciche questo silenzio m’inquieta?

- Che abbiano abbandonata la caccia? - chiese De Gussac.

- Quando le cinquantine spagnuole che hanno per guida unmastinosi mettono su una pistala seguono con non minor ostinazione degl’indiani- rispose Mendoza. - Li conosco troppo bene.

- Sono tranquilli i tori? - chiese il taverniere di Segovia.

- Manifestano una certa inquietudineperò non siallontanano.

- Sai che dobbiamo farecamerata? - disse don Barrejo.

- L’aria è purissimail sole è splendidoil nidooscilla dolcemente come per invitarci a dormire. Chiudiamo gli occhi e lasciamoche gli spagnuoli ci cerchino in mezzo alla foresta.

Con un calcio gettò giú gli ultimi rimasugli di erbesecchee dopo aver sbadigliato tre o quattro volte di seguito con relativistiramenti di bracciasi coricò nel robusto paniereincrociando le mani sulventre.

- Felici volatili- disse. - Coll’aria che soffia quassúdevono provare degli appetiti straordinarî.

- Tali da levare gli occhi anche a te- disse De Gussac.

- Se vengono a seccarcicon due colpi di draghinassataglierò loro il collo e li manderò a tenere compagnia ai condorini che sperosi saranno accoppaticadendo da questa altezza.

“Se avessi una carica di tabacco sarei l’uomo piú felicedel mondo.”

- La provvista è esaurita- rispose Mendoza.

- Mi rifarò alle cateratte del Maddalena.

I suoi due compagnivedendo che i tori si mantenevano sempretranquilligiúalla base del pinoue non udendo piú i latrati delcanesi erano decisi a coricarsi accanto a luiquantunque tutti quei ramifossero impregnati d’un fetore di carne marcia quasi insopportabile.

Il vento che spirava abbastanza fortefaceva dondolare lacima dell’altissima pianta imprimendo anche al nido un leggiero movimento dirollio.

Non ci voleva di piú per far chiudere gli occhi ai treavventurieriche ben poco si erano riposati dopo la loro fuga da Segovia-Nuova.

Avevano dimenticato spagnuoli e condor; pei tori nullaavevano certo da temere e potevano dormire anche una settimana.

Ad un tratto una fortissima corrente d’aria si produssesopra di loropoi qualche cosa precipitò sul nidoemettendo stride acute. DeGussac che aveva ricevuto un terribile colpo di becco sull’elmettoaprí gliocchigridando:

- All’erta!... I condor!...

Un uccellaccio mostruosoche aveva dell’aquila e delmarabuto indiano avendo il collo spelato e rognoso con grosse sporgenzesi eralasciato cadere sopra di loro.

Come si sai condor sono i piú grossi volatili che esistanoal mondopossedendo delle ali che misuranoprese insiemeperfino cinque metried una forza tale da portare in aria un montone o un guanaco colla stessafacilità come fossero delle semplici lepri.

Non vi era quindi da scherzare con un tale avversario.

Vedendo i tre avventurieri balzare in piedi colle spade inmanosi ritrasse fino all’orlo del nidoagitando furiosamente le sue immenseali e spalancando il rostro pronto all’offesa.

Imprimeva alla costruzione tali scosse da temere che da unmomento all’altro tutto si sfasciasse.

I tre avventurieriben risoluti a non lasciarsi levare gliocchi o fare un salto di cinquanta o sessanta metristavano per spingersiinnanziquando una grande ombra si proiettò sopra di loro.

- Il maschio!... - aveva gridato De Gussacil qualeconosceva meglio dei suoi compagni quei formidabili uccellacci.

Un altro condorpiú gigantesco del primosi precipitavasul pinou mandando grida acute e sbattendo rabbiosamente le ali.

- Diamo battaglia!... - gridò don Barrejo. - A me ilmaschioper ora; a voi la femmina.

- Bada di non farti scaraventare nel bosco- avvertí DeGussac.

Il secondo uccellaccio si era pure aggrappato all’orlo delnido e tendeva il collo rognosoavventando furiose beccate in tutte ledirezioni.

Un combattimento a terrafosse pure contro dei nemici piúnumerosinon avrebbe spaventato i due guasconi ed il bascooramai troppoabituati a menar le mani. Una lotta lassúdentro un nido situato sulla cima diun alberoa sessanta metri d’altezzacontro due volatili che con un solocolpo d’ala potevano spazzarli viaera una certa faccenda che faceva sudarfreddo anche don Barrejo.

- Gettatevi in ginocchio!... - aveva comandato De Gussac.

Era l’unica cosa da farsi per evitare un terribilecapitombolo.

Mendoza e l’ex taverniere di Segovia-Nuova si erano gettaticontro la femminala quale sembrava la piú furiosamentre don Barrejo cercavatener testa al maschio che minacciava di spaccargli la testa con un tremendocolpo di rostro.

La lotta però era tutt’altro che facilein causa dellespaventose oscillazioni che subíva il nidosotto l’enorme spinta di quellequattro gigantesche ali.

I colpi grandinavanocolpi di spada e colpi di draghinassae non ottenevano altro successo che quello di far volar in aria una nuvola dipenne.

I condor tenevano coraggiosamente testa agli invasori delloro nido e sembravano ben decisi a vendicare la loro prole.

S’avanzavanoproducendo delle impetuose correnti d’ariagridando rabbiosamenteriparandosi destramente dai colpi di spada colle ali eperfino col rostro. Gli archibugi avrebbero potuto avere buon giuoco contro dilorose il timore di attirare l’attenzione degli spagnuoliforsevicinissiminon avesse trattenuto prudentemente gli avventurieri.

La battaglia durava da cinque minuticon pari furore d’ambele parti e con scarso successoquando il maschio che si sentiva punzecchiare datutte le partiabbandonò l’orlo del nidoe alzatosi di pochi metri piombòcome una massa inerte addosso al terribile guasconesperando forse diopprimerlo col suo peso o d'imprigionarlo fra le sue ali.

Don Barrejosconcertato da quel fulmineo attaccochecertamente non s’aspettavavedendo sopra di sé gli artigli pronti apiantarsi nella sua testalasciò cadere la draghinassa e s’aggrappòdisperatamente alle zampe dell’uccellaccioconfidando nella propria forza enel proprio peso. Il condor invececon uno sforzo disperatosi risollevò espiccò una grande volata al di sopra del boscoabbassandosi gradatamente.

Il disgraziato guasconeche non aveva nessun desiderio difracassarsi le ossanon aveva abbandonate le zampe.

- AiutoMendoza!... - aveva urlato.

Disgraziatamente il basco e l’ex taverniere diSegovia-Nuova non potevano in quel momento occuparsi di luiné seguirlo nelsuo viaggio aereo.

Stretti dalla femminache li assaliva con una ferociainauditaavevano un gran da fare a tenerla lontana a colpi di spada.

Il condornon poteva reggere a tanto pesocalavadolcementequasi sfiorando le cime degli albericontro i quali il guascone diquando in quando urtavaammaccandosi malamente le ginocchia.

Teneva le immense ali aperteper servirsene come diparacadute e si dirigeva verso una spianata sulla quale pascolavano alcuni toridella puna. Invano don Barrejospaventatourlava disperatamente estringeva le zampe con tutta la sua forza: l’uccellaccioforse non menospaventato di luicontinuava la sua discesafacendo degli sforzi giganteschiper reggersi.

Le disgrazie del teverniere di Panama non erano però ancorafinite.

Il gigantesco uccellacciostremato probabilmente daglisforzi fattiprecipitava rapidamente e proprio sopra il branco di tori brucantila fresca e odorosa erba dell’alta sierra.

Gli animalivedendo piombarsi addosso quel mostrotentaronodi darsi alla fuga nel momento in cui il guasconevedendosi ormai a pochi metrida terrasi lasciava andare. Fu una caduta straordinariainaspettata. Ildisgraziato invece di andarsene a coricare sia pure a gambe levatesulle folteerbesi era trovatosenza sapere comesul d’orso d’uno dei torifuggenti!...

- Ecco la fine- pensò. - Addiobella castigliana!...

Deciso però a lottare fino all’estremo delle sue forzesiera aggrappato disperatamente alle corna del toromentre il condor riprendevail suo volo verso il nidoin aiuto della sua compagna.

L’animaleuno splendido toro tutto nerosentendosiaddosso quel pesosi era slanciato a corsa furiosalasciandosi addietro subitoi compagnii quali non parevano affatto disposti a seguirlo in quellagaloppata.

Il toro in pochi minuti attraversò la radura e si scagliòpazzamente in mezzo alla forestamuggendo e scuotendo la robusta testa.

Probabilmente credeva di essere stato assalito da qualchecoguaro o da qualche giaguaro e perciò si gettava furiosamente in mezzo aicespuglicolla speranza che la supposta bestia lo lasciasse.

Don Barrejopiú spaventato che maisi era allungato tuttosul dorso del bestione perché qualche ramo basso non gli spaccasse la testa.

Foglie e fronde gli cadevano addosso in grande quantità e sisentiva sferzare crudelmente il viso dai ramoscelli dei cespugliperò nonlasciava le corna e stringeva disperatamente le gambeper non fare uncapitombolo che avrebbe potuto avere delle conseguenze mortalifra tantitronchi d’albero.

Il torosempre piú inferocito e spaventatoprecipitava lacorsa. Col collo tesogli occhi iniettati di sanguei fianchi pulsantisiscagliava sempre piú impetuosamente.

Vi erano certi momenti che il guascone si credeva trasportatoda qualche spaventoso uragano.

Ad un tratto quella galoppata disordinata si arrestò dicolpo. Don Barrejoproiettato innanzi con impeto irresistibileera andato acadereper sua fortunain mezzo ad un folto ed altissimo cespuglio dicitriuolimentre l’indemoniato animale scompariva in uno squarcio delterrenomandando un lamentevole muggito.

 

 

Capitolo XVII

LA CATTURA DI DON BARREJO

 

Quantunque i flessibili rami della magnolia acuminata- sichiamano cosí quegli altissimi cespugli- avessero ceduto subito sotto il suopesopassarono parecchi minuti prima che il taverniere di Panama potesserimettersi un po' in gambe. La volata primala corsa furiosa dopol'avevamotalmente stordito da domandarsi se per caso aveva sognato.

Da vero guascone possedeva però dei nervi d'una solidità aprova di bomba e non tardò a lasciarsi scivolare giú dal cespugliotrascinando seco una moltitudine di fruttasomiglianti nella forma aicitriuolima d'un rosso lucentissimobuonissime per le febbri intermittenti.

- Che cosa è successo? - si era chiesto subito. - Sonoancora vivo o sono morto? Eppure poco fa dormivo tranquillamente sul nido deicondor... Tonnerre!... In venti o trenta minuti io ho arrischiata duevolte la pelle... ora me ne ricordo... Ed il toro? Dove è andato a finire?L'uccellaccio l'ho ben veduto rialzarsi ma l'animalaccionon l'ho vedutocontinuare la sua furiosa corsa dopo avermi scaraventato in mezzo a questepiante come se fossi una palla di cannone.

Colle gambe allargatele mani chiuse intorno alla fronteancora intontitodon Barrejo giaceva al suolorespirando a pieni polmoni perriprendere un po' di lena.

- Tonnerre!... - riprese un momento dopotogliendosil'archibugio che portava ad armacollo e del quale per sua ventura non aveva maipensato fino allora a servirsi. - Io chiacchiero come un pappagallomentreMendoza e De Gussac saranno ancora alle prese coi condor.

“Gambedon Barrejoed andiamo a cercare gli amici inpericolo.”

Si era finalmente alzato e dopo pochi passi si era fermatodinanzi ad una profonda bucain fondo alla quale gemeva il toro della punacol corpo attraversato da un palo aguzzodi quel certo legno forse presodall'albero del ferro.

- Mi dispiace per teamico - gli disse- ma don Barrejo hauna taverna ed una bella mogliementre tu non hai che qualche nera compagnabrutta al pari di te e non meno feroce.

“Ad ogni modo mi hai salvata la vita e ti sonoriconoscente.

“Muori in pace.”

Si allontanò da quella trappola scavata probabilmentedagl'indiani per impadronirsisenza correre alcun pericolodi quei grossianimali che hanno le carni eccellentima dovette subito fermarsi di nuovo.

Si ritrova in mezzo ad una folta foresta e non udiva nécolpi d'archibugioné grida di condorné altri rumori. Solo di quando inquando un muggito strozzato del toro agonizzanterompeva quel gran silenzio.

Il guascone si grattò la testacome per sollecitare ilcervello a dargli qualche buon consigliopoi disse:

- Questo si chiama un gran brutto affare. Dove mi ha condottoquella bestia dannata nella sua pazza corsa? E i miei due compagni? Sarannoriusciti a tagliare la testa a quei dannati uccellacci o saranno statiscaraventati sopra la foresta? Oh!... Comincio a rimpiangere la tranquillataverna d'El Moro!

Si guardò intornocercando di orizzontarsi e si convinsesubito dell'impossibilità di prendere una giusta direzionepoiché sopra dilui le gigantesche foglie delle palme s'intrecciavanoformando una vôlta quasiimpenetrabile alla luce solare.

A un tratto Don Barrejo si diede un gran pugno sul cranio.

- Zucca maledetta- disse. - Dovevi venire prima in mioaiuto. È vero che anch'io qualche volta sono un bestione.

“Per uscire da questa boscaglia non vi è che una cosa solada fare: seguire alla rovescia le orme del toro.

“Anche per questa volta ho scoperto l'America.”

Infattiil toro nella sua corsa furiosadoveva aver apertocome un solco attraverso alle masse di cespugli e di liane che aveva sfondati.

Don Barrejo si assicurò che l'archibugio fosse caricopotendo trovarsi dinanzida un momento all'altroa qualche coguaroo peggioancora a qualche giaguaropoi tornò indietro girando intorno alla trappola.

Il toro era spirato e giaceva in mezzo ad una verapozzanghera di sangue.

Don Barrejo non si degnò nemmeno di guardarlo e si misesubito in cerca del solco.

Aveva fatto appena pochi passiquando si trovo dinanzi ad unammasso di liane che pareva fossero state violentemente strappate.

- Ecco la via del ritorno- disse. - Orsúcerchiamo diraggiungere al piú presto la radura dove pascolavano i tori.

“Il nido non deve trovarsi che a qualche centinaia dipassipoiché la mia volata non ha durato che un paio di minuti. Sonoimpaziente di ritrovare i miei bravi cameratisenza dei quali io non sapreipiú far nulla.”

Passò attraverso lo squarcio delle liane e venti passi piúinnanzi trovò un cespuglioche pareva fosse stato sfondato da un ariete.

Anche per di là il toro era passatoquindi era sulla buonavia.

Si avanzò cosí per una buona oraseguendo le ormestupitodi essere stato condotto tanto lontanopoi si arrestò guardandosi intorno coninquietudine.

- Che ci siano degli altri tori? - si era domandato. -Sarebbe un magnifico incontro!... Don Barrejosta' in guardia e ricordati chenon hai piú con te la tua fida draghinassa.

Si era messo in ascoltotenendo il dito sul grillettodell'archibugio. Delle fronte si muovevano dinanzi a lui ad una distanza di solipochi passi. Qualche animale doveva trovarsi in mezzo ai folti cespugli cheformavano come una muraglia di verzuratanto erano alti.

Trascorse qualche minuto d'angosciosa aspettativa pel poveroguasconeil quale non poteva ancora sapere con chi doveva farepoi un lungocorpo setolosonero a riflessi azzurrastricon una splendida coda ricca dipelis'aprí il passo fra i cespuglifermandosi non meno sorpresodinanzi adon Barrejo.

Era un animale grosso quanto un cane di Terranuovabasso dizampe e che invece di avere una vera boccaaveva una specie di tubo da cuiusciva ad intervalli una brutta lingua vischiosa.

- Che cos'è questo? - si chiese il guascone un po'rassicuratopoiché quello strano animale se possedeva delle robuste unghiemancava assolutamente di denti.

Se don Barrejo fosse stato un po' piú istruito avrebbepotuto subito riconoscere nel nuovo venuto un orso formichierema non essendosioccupato che di dare colpi draghinassa anche a coloro che non ne volevanononcapí niente.

L'orsoun'animale niente affatto pericolosoche si difendeperò ferocemente cogli artigli contro i coguari che sono ghiotti della suacarnesi era seduto sulle zampe posteriorimettendosi dinanzicome uno scudola sua magnifica codala quale gli giungeva fino all'altezza della testa.

Si dondolava cosi comicamentecontinuando a lanciare fuoricome uno stantuffola sua lingua impregnata d'una materia viscosa colla qualesi prende le formiche che formano il suo unico ciboche don Barrejo non potétrattenere una allegra risata.

- Micò!... Micò!... Compare Micò!... - esclamò. - Sei bengentile per offrirmi questo spettacolo in piena...

Si era bruscamente interrotto. L'orso non badava piú a lui;teneva i suoi occhietti nerissimifissi su un albero sotto il qualegiganteggiava una magnolia acuminata.

Il guasconemesso in sospettoalzò gli occhi e spiccòquattro o cinque salti.

- Tonnerre!... - aveva gridato. - Altro che compareMicò!

Coricato sopra un ramo che si spingeva quasi orizzontalmentea pochi metri dal suolostava un altro abitante della foresta e non cosímansueto come il povero formichiere.

Don Barrejo questa volta l'aveva subito riconosciuto eperciò si era messo prontamente fuori di portata.

Si trattava d'un giaguarol'animale piú temuto nell'Americacentrale e meridionalepossedendo la forzalo slancio e la ferocia della tigreindianapur essendo inferiore per mole.

Pareva che sonnecchiasseperò di quando in quandosocchiudeva or uno ed or l'altro occhiofissandolo volta a volta sull'uomo esul formichiere.

- Signora tigre americana- disse don Barrejotenendoimbracciato l'archibugio. - Se desidera assaggiare le polpette di compare Micòfaccia purea patto che mi lasci andare per le mie faccende.

La risposta fu un sordo miagolío che poteva passare per unruggito strozzato.

Il guascone fece precipitosamente altri quattro o cinquepassi indietro e s'appoggio fortemente contro il tronco d'un pinotenendol'archibugio sempre puntato.

Il povero formichiere non aveva abbandonato la sua guardia edietro la grande coda piumata agitava minacciosamente le zampe anteriori armatedi lunghi artigli.

- Qui sta per succedere una tragedia- disse il guascone. -Sarebbe meglio che lasciassi quei due abitanti della foreste alle presesenzaoccuparmi dei fatti loro.

Stava per voltarsi e riprendere la corsaquando il giaguarocon un gran salto cadde in mezzo alla piccola radura mostrando la sua superbapelliccia macchiata.

Le sue potenti unghieche sono cosí dure da trapassareperfino i gusci delle testugginistrappavano le erbe insieme a larghi lembi dicortecciaessendo caduto in mezzo a delle enormi radici.

- Gambedon Barrejo! - gridò il guasconeprendendo loslancio. Non desiderava affatto di assistere a quel drammapoiché dopo ilformichiereil giaguaro poteva attaccare anche l'uomo.

Per qualche istante il fuggiasco udí dei grugniti e deimiagolii strozzatipoi il silenzio tornò ad imperare nella grande foresta.

La tigre americana aveva avuto la sua cena.

Per dieci o quindici minuti il guasconeche aveva due buonegambecontinuò a scappareseguendo lo squarcio aperto del toroquando sisentí cadere addosso qualche cosacome una corda e stringere il corpo cosífortemente da togliergli il respiro. Alcuni soldati spagnuoli erano usciti daivicini cespugli e lo avevano attorniatobrandendo minacciosamente spadonipicche ed archibugi.

Il lazo lanciato cosí destramente da uno di lorofusubito allargato per impedire che il povero guascone morisse strozzato.

- Sangue d’un caimano!... - esclamò il guasconecercandoinutilmente la sua fida draghinassa. - Toccano tutte a me dunque le disgrazie.Chi siete voi e che cosa volete da me? Non sono un toro per prendermi al lazo.

I soldatidieci o dodici in tuttisi erano messi a rideregodendosi della sua rabbia impotente.

L’archibugio per precauzione era stato subito raccolto perimpedirgli di commettere qualche pazzia.

- Appartenete a qualche tribú di muti? - gridò il guasconesempre piú infuriato. - Oh! Se avessi la mia draghinassa vi farei gelare sullelabbra le vostre rise. Tonnerre!...

Il comandante del drappelloun vecchio sergente dai baffibianchi e col naso arcuato come don Barrejoudendo quell’esclamazioneavevaavuto un sussulto.

- Non vi è che un Lussac solo e quello si trova inGuascogna- aveva mormorato.

Si avvicinò al prigionieroil quale non cessava dibestemmiare e di minacciarequantunque non avesse ormai indosso nemmeno unsemplice coltelloe gli dissebattendogli famigliarmente una mano sullaspalla:

- Avete fatta la vostra parte di guascone: ora finitela. L’onoreè salvo.

- Chi vi ha detto che sono un guascone? - gridò don Barrejo.

- Sarà stato il marchese di Montelimarcredo. Finitela disagrare e seguiteci.

- Un momentosergente. Avete detto il marchese diMontelimarè vero?

- E poi?

- Dov’è quel signore?

- A pochi passi da noi.

Don Barrejo si morse le labbra a sangue e provò un brivido.Quel gentiluomoche non avrebbe probabilmente potuto resistere a tre colpidella sua draghinassagli aveva sempre inspirato un vero senso di paura.

- La catastrofe è completa- pensò. - Cerchiamo dicavarcela alla meglio.

Il vecchio sergenteche continuava a tenergli gli occhiaddossolo prese per un bracciodicendo ruvidamente:

- Andiamo: abbiamo chiacchierato abbastanza.

Nella muraglia di verzura vi era un largo squarcioapertoprobabilmente a colpi di spadone e che formava come una specie di galleria.

Il drappello vi si cacciò sotto edopo aver percorso unacinquantina di passisi trovò in mezzo ad una piccola raduracircondata tuttada alberi enormii quali intercettavano quasi completamente la luce.

Due soldati s’affaccendavano intorno ad un pentolonesospeso al ramo d’una pianta e soffiavano di quando in quando sul fuoco.

Vi era però nel piccolo campo un terzo uomoil quale inquel momento stava seduto sul tronco d’un alberotutto occupato a studiareuna carta geografica: era il marchese di Montelimar. Vedendo ricomparire la suascortail marchese alzò gli occhi ed un perfido sorriso gli comparve sullelabbra.

- Buona predaa quanto pare- disse. - Io ho già vedutoaltre volte quest’uomo. Deve essere uno dei tre che da giorni faccio inseguiredalla retroguardia.

Don Barrejo fece un profondo inchino e rispose subito:

- Io credo che v’inganniatepoiché nella taverna d’ElMoro che da sei anni tengo in Panamai gentiluomini non si vedonoquantunque la mia cantina non sia peggiore delle altre.

- Tu sei un taverniere!... - esclamò il marchese.

- Per servirviEccellenza.

- La taverna d’El Moro!... Toh! Toh! Io ho uditoparlare ancora di quella celebre cantina- disse il marchese ironicamente. - èappunto là dentro che uno dei miei segretari è scomparsosenza piú darealcuna notizia di sé.

Don Barrejo ebbe uno scatto d’indignazione:

- Signor mio- disse- io sono sempre stato un onestotaverniere e non ho mai ammazzato le persone che venivano a bere.

- Vi prego di chiamarmi Eccellenza.

- E voi datemi allora del donperché se nelle vostre venescorre sangue azzurroanche nelle mie la tinta non cambia.

- Rossa?

- Azzurra con quarti di nobiltà dei Riberacun temposignori di Lussac.

- E fate il taverniere?

- Cioèlo facevo.

- Per imbrancarvi colla canagliache scorazza dalle costedell’oceano Pacifico fino a quelle dell’Atlantico. Che bel nobile!

- Tonnerre!... - urlò don Barrejo. - Sono un guasconee i guasconi non sono mai stati ricchi.

Il vecchio sergenteche assisteva all’interrogatorioapprovò con un leggiero gesto del capo.

- Non vi infuriate- disse il marchesecon la sua solitacalma ironica. - È vero che avete sangue francese nelle venema ne ho anch'ioperché i Montelimar hanno un nome in quella grande nazione.

- E vi siete messo ai servigi della Spagnanemica continuadella Francia? Eccellenzaavevo della stima per voi ed ora non l'ho piú.

“Non si rinnega una patria.”

Il marchese era diventato livido e aveva fatto un gesto dirabbia. La sua tempesta però non ebbe che la durata di pochi secondi poichéripresequasi subitola sua calma efissando il guascone con due occhi saturid'odio disse:

- Che importa a voi che sia stato francese od olandese oinglese? Oggi sono uno spagnuolo e servo la mia nuova patriamio caro don...

- Barrejo de Lussac- rispose prontamente il guascone.

- Portate un sedile a questo signore- disse il marchesedopo aver guardato il sole che si mostrava attraverso uno squarcio dellaboscaglia. - Avremo ancora due buone ore di luce e chissà che in questofrattempo le mie retroguardie finiscano per prendere gli altri due amici delsignorepoiché eravate proprio in tre signor don... de Lussac.

- Dove?

- Salivate la sierra e vi avevamo veduti.

- Si vede che gli spagnuoli che un tempo hanno avuto tantibuoni occhi da scoprire l'Americaora non ci vedono piú

“Infatti il sole equatoriale non fa bene alla vista.”

- Fate dello spiritomi paresignor guascone.

- Chiamatemi compatriotasarà piú spiccio.

- No- rispose il marchesecon impeto quasi feroce. - IMontelimar non appartengono piú alla Francia da qualche secolo.

Un soldato aveva portato un tamburoe fece cenno a donBarrejo di sedersi.

Il guascone che conservava un buon umore superboprovòcolle nocche delle dita la pelle dell'asinoper assicurarsi della suasoliditàpoi si sedette tranquillamentecolle magre gambe aperteguardandobene in viso il marchese.

- Eccellenza- disse- la mia sedia è piú comoda dellavostra ese può farvi piaceresono pronto a cedervela.

- I miei avi rendevano giustizia ai loro vassalliseduti suun tronco d'albero- rispose il signor di Montelimar.

- I miei inveceseduti sulla punta d'uno scoglio emergentedi fronte al mar di Biscaglia.

“I nostri antenati avevano dei gusti singolari. Ioper miocontoavrei preferito una comoda poltrona coi bracciuoli imbottiti.”

- Avete finito?

- Che cosa?

- Di dire delle sciocchezze?

- Se V. E. ha parlato dei suoi aviio ho parlato dei miei-rispose don Barrejo. - Sono pure un gentiluomo ed una lingua la posseggoanch'io.

- La metteremo subito alla prova- disse il marchese. - Midireteprima di tuttodove avete lasciati i vostri due compagni.

- Io credosignor marcheseche di quei due disgraziati nonsia rimasta piú intatta nemmeno una costola.

“Io li ho veduti scomparire in mezzo ad una furiosa caricadi tori della puna e non li ho piú riveduti.”

- Voi mi vendete delle carotesignor guascone.

- Non nascono nel mio paesequindi non potrei vendervelenemmeno a peso d'oro.

- Voi siete stupefacente.

- Perchésignor marchese?

- Io sto cercando l'albero a cui domani mattina viappiccherò e voi continuate a scherzare! È vero che siete un guascone e non mistupisco della vostra audacia.

Don Barrejo si dimenò sul tamburofacendo crepitare lapellepoi disse con voce minacciosa:

- Badatesignor marcheseche avete dinanzi a voi un corpodi filibustieri.

- Lo so.

- E non dimenticare che quegli uomini invincibili hannol'abitudine di vendicare i loro camerati.

- Vengano.

- Vi hanno già distrutto tutti gli uomini che difendevano lecolline e non avete ancora paura di quei terribili scorridori del mare?

- Un Montelimar non ha mai saputo che cosa sia la paura.

- Vorrei però vedervi appeso a quel certo albero che orastate cercandocon una solida fune al collo- disse don Barrejo.

- Siete insolente o spavaldo?

- Io veramente sono sempre stato un terribile spadaccino.

- Mi pare però che la vostra lingua sia lesta come la vostramano.

- Non me n'ero accorto prima d'ora.

- Dovreste allora fare una cosa.

- Qualesignor marchese?

- Andarvene a dormire per prepararvi pel grande viaggio cheavrà luogo allo spuntar del sole. Ho giurato che quanti di quei ladroni micapiteranno fra le mani li avrei giustiziati senza misericordia e manterrò laparola.

Don Barrejo divenne un po' pallidotuttavia non si detteancora per vinto.

- Un gentiluomo francese assassinare un altro gentiluomo purefrancese! Siete un giaguaro voi?

- Vi ho detto che ormai sono spagnuolo e che colla mia anticapatria non ho piú alcun vincolo.

“Andate a recitare le vostre preghierepoiché vi ripetoche domani voi non sarete piú vivo.”

- Eccellenzabuon riposo- disse il guasconetergendosicon un moto nervoso alcune stille di sudor freddo che gli bagnavano la fronte.

- Legate quell'uomo ad un alberoaccanto al fuocoed alzatela mia tenda- disse il marchese. - Desidero non essere disturbato fino almomento in cui appiccheremo questo ribaldo.

- Tonnerre!.... - urlò il guasconealzandosi dicolpo ed afferrando il tamburo. - A me del ribaldo?

Gli spagnuoli che gli stavano intorno furono lesti apiombargli addosso ed a ridurlo all'impotenza.

Il disgraziatoin un batter d'occhiosi trovò seduto allabase d'una palmacol corpo quasi interamente avvolto da corde. Dinanzi a luiera stato ravvivato il fuoco su cui bolliva il pentolonesprigionando deiprofumi indescrivibili. Doveva essere una vera olla podridacomposta dichissà quali vegetali o radici raccolte nella forestapoiché anche glispagnuolidopo un inseguimento che durava da parecchie settimanedovevanoessere assolutamente a corto di viveri.

Frattanto il sergenteaiutato da un paio di soldatiavevaalzata la tenda destinata al marcheseuna tenda da campo qualunque.

Don Barrejoun po' scombussolato dalla cattiva piega cheprendevano i suoi affarisi era abbandonato lungo il tronco della palmafingendo di dormire.

Il volpone però non aveva alcuna intenzionepel momentodischiacciare un sonnellinocolla prospettiva poco allegra che aveva dinanziossia di venire appiccato all'alba come un ladrone qualunque.

I suoi occhi seguivanoanche semi- socchiusitutte le mossedel vecchio sergente e fra uno sbadiglio e l'altro si domandava insistentementeed anche angosciosamente se per caso aveva trovato un protettore dell'ultimaora.

Anche il soldato non lo perdeva di vista. Quando i suoicompagni non facevano attenzione a luifaceva al guasconedi nascostodeisegni che non erano certo malevoli.

- Che sia anche lui un guascone? - si chiedeva Don Barrejocon crescente ansietà. - Veramente il nostro naso caratteristico lo possiedeanche lui.

Il pentolone fu finalmente tolto dal fuoco ed un intruglionerastroa base di cipolle e di funghifu dispensato a tutti entro certegamelle che da parecchi giorni non dovevano aver veduto l'acqua.

Don Barrejoa cui l'appetito non faceva mai difettofecediscretamente onore a quel brodaccio.

Invidiava però il coniglio selvaticosplendidamentearrosolatoche il marchese si divoravastando seduto dinanzi alla sua tenda.S. E. non voleva guastarsi lo stomaco coll'intruglio dei soldati ed a quantopareva serbava i migliori bocconi per sé.

Terminata la cenagli spagnuoli non udendo nessun rumore edessendo d'altronde certi di non venire disturbatipoiché i filibustieri sitrovavano dinanzi a loroammassarono intorno ai fuochipoiché altri ne eranostati accesi per tenere a distanza le belve ferocidelle bracciate di fogliefresche e profumatee si coricarono.

Il marchese era già scomparso dentro la tenda e stavadigerendo tranquillamente il suo coniglio.

Don Barrejoa cui nulla sfuggivavidecon una certasorpresail vecchio sergente montare il primo quarto di guardia.

Il soldatodopo d'aver coperto i camerati con dellebracciate di foglie per difenderli dall'umidità e fors'anche con un altro scoposegretosi era seduto intorno al falò che ardeva presso il guascone e si eramesso a fumare la pipatenendo l'archibugio sulle ginocchia.

Pareva che aspettasse l'occasione di scambiare due parole colprigionieropoiché di quando in quando i suoi occhi si fissavano attentamentesui suoi cameratisdraiati sul fogliameed ogni volta che qualcuno faceva unmotodon Barrejo lo udiva sagrare sottovoce e lo vedeva fumare con maggiorveemenza.

I grossi grilli della foresta trillavano fra le tenebrele coyotesspecie di volpi e di lupiurlavano lugubremente; ondate di splendide moscasde luz si incrociavano fra i rami della foresta con un effetto magnifico.

In lontananza un urlo raucoche non si poteva comprendere daquale animale lanciatosi alzava di quando in quandocoprendo per qualcheistante tutti gli altri rumori della boscaglia.

Nel piccolo campo già si russava. I pochi uomini cheformavano la scorta del marchese Montelimarstanchi dalle lunghe marcedormivano come ghiricol ventre in aria e le gambe allungate verso i fuochi.

Il vecchio sergente si era alzatotenendo sempre in manol'archibugio.

Girò intorno alla tenda del marcheseascoltando conprofonda attenzioneguardò i suoi camerati ormai vinti da un sonnoirresistibile e si accostò a don Barrejo il quale aveva tutt'altra voglia chedi dormire e di recitare le preghiere dei moribondie stesosi sull'erbaglidisse sottovoce:

- Di Lussacavete detto?

Il guasconeche fingeva di sonnecchiarespalancò gliocchi.

- Sidi Lussac- rispose.

- Non vi è al mondoio credoche un Lussac solo e quellosi trova in Guascogna- disse il sergentecon una profonda commozione. - È dilà che escono le migliori lame della Francia che fanno stupire anche la Spagnae l'Allemagna.

- Ebbenebrav'uomoche cosa volete dire? - chiese donBarrejoa cui cominciava ad allargarsi il cuore.

- Che in Lussac sono nato anch'io- rispose il sergente. - Ivostri vi posseggono un castelluccioè vero?

- In cattivo statopurtroppo- sospirò il guascone. - Nonvi è mai stato un soldo in casa mia da destinare alle riparazioni.

“La Guascogna non è mai stata ricca.”

- Lo so meglio di voisignore.

- Che cosa volete allora?

- E me lo chiedete? - domandò il vecchio sergente constupore. - Quando due guasconi s'incontrano e si vedono in pericololevanofraternamente le loro draghinasse e si aiutano.

- Toh!.... Un altro guascone!.... - esclamò don Barrejorespirando a pieni polmoni. - È il secondo che incontro in America.

- Avete mai avuto da lagnarvi del primo?

- Mai!....

- Il castellano di Lussac non avrà da lagnarsi di uno deisuoi vecchi vassalli.

“Succeda quello che si vuolevoi domani non sareteappiccato.”

- E veramente ci tenevo a non farmi strangolareall'estremità d'un ramo.

Il sergenteil quale pareva in preda ad una vivissimaemozionesi alzòfece un'altra volta il giro della tenda occupata dalmarcheseguardò i suoi camerati e sciolse silenziosamente un fasciod'archibugideponendoli dinanzi a don Barrejo.

- Io non so che cosa accadrà- gli dissementre con una navajagli tagliava le corde che lo avvincevano all'albero. - Tuttavia non vipreoccupate per me. I guasconi hanno sempre saputo trarsi d'impiccio anche inmezzo alle piú terribili circostanze.

- Che cosa devo fare?

- Cacciatevi nel boscomio signore e scaricate tutti questiarchibugiche sono carichiin aria.

“Io darò l'allarme e voi prenderete subito il largo. Viavverto che vi sono quasi trecento spagnuoli nei dintorni e che sono guidati daun mastino impareggiabile. Ora regolatevi e ricordatevi che anche tra guasconisimili favorinon si fanno due volte.”

Don Barrejo si era alzato.

- Qua la manoamico- disse. - Io non scorderò mai che ate devo la vita.

“Se un giorno tu torni a Lussacsalutami la torre chedovrebbe ergersi sul castelluccio dei miei avise non è già diroccato tutto.”

Prese i sei fucili che il suo compatriotta aveva deposto aisuoi piedifece col capo un segno d'addio e se ne andò tranquillamentealmenoin apparenza.

Il vecchio sergente si era intanto gettato a terrafingendodi essersi addormentato.

Trascorse qualche minutopoi nella boscaglia rintronaronouno dopo l'altrocinque colpi d'archibugio.

Don Barrejo simulava l'attacco del piccolo camposparandoperò in aria per non ammazzare il suo compatriotta.

Il primo sparo era echeggiatoquando si udí il vecchiosergente urlare a squarciagola:

- All'armi!... I filibustieri!... Fuggite!

Don Barrejo udí delle gridadelle bestemmiepoi untramestío e dei comandi precipitatiquindi uno sparo che gli parve un colpo dipistola.

- Gambe oraamico- disse.

Si era slanciato a corsa disperataa casacciocercando quae là dei passaggi che non sempre trovava.

Ad un tratto un'ombra biancaseguita da un uomogli siparò dinanzi.

Don Barrejo aveva mandato un vero ruggito ed aveva spianatoil sesto archibugio che era carico.

- Mastino maledetto!.... - gridò. - Muori!....

Un lampo illuminò le tenebre seguíto da un guaitolamentevole. Il famoso cane che guidava le retroguardie era caduto per nonrialzarsi piú. Il guascone approfittò dello spavento che aveva invaso l'uomoche lo conduceva per spiccare quattro o cinque salti e scomparire nella foresta.

 

 

Capitolo XVIII

LA VENDETTA DEL MARCHESE

 

Mentre don Barrejoprotetto da una fortuna piú chesorprendenteriusciva a sfuggire al marchese di Montelimarquando si vedevagià appeso ad un grosso ramo d'alberoMendoza e De Gussac rimasti sul nidosierano precipitati all'impazzata sulla femmina e dopo un violento battagliareerano riusciti a decapitarla ed a precipitare nella sottoposta foresta quelcorpaccio che colle sue ali ancora aperte occupava tutto il rifugio aereo.

Avevano assistitocol cuore stretto da un'angosciaindescrivibilealla volata del guasconeperò si erano subito rassicurativedendolo scendere lentamente verso terra.

Non s'immaginavano però che quel dannato uccellaccio andassea cacciarsi fra i tori della puna per far ridurre in una poltigliasanguinolenta il suo avversario.

Sbarazzatisi quindi della femminanon avevano avuto che unsolo pensiero: quello di mettersi in cerca del valoroso taverniere.

- Bisogna trovarlo- aveva detto Mendozail quale amava donBarrejo come se fosse suo fratello.

- E subito- aveva soggiunto De Gussac.

Senza pensare che sotto di loro si potevano trovare ancora itori della puna o gli spagnuolisi preparavano a sgombrare il nidoquando videro il condor che avevaper modo di direrapito il suo compagnocomparire al di sopra dell'immensa foresta e muovere verso di loro.

- Che non si finisca piú con questi uccellacci!... -esclamò Mendozapallido d'ira. - Ecco l'altro che ritorna all'attacco.

- Scendiamo subito- disse De Gussac.

- Sei pazzo!... Se ci assalisse prima che noi possiamogiungere a terravedresti che terribile capitombolo faremmo.

- Mandiamogli un paio di palle.

- Nemmeno per sognocamerata. Poco fa ho udito il cane cheurlavaquindi vuol dire che gli spagnuoli sono nelle vicinanze.

- E don Barrejo?

- Aspetterà che anche noi ci siamo sbarazzati di questiostinati uccellacci.

“Aveva l'archibugio con séquindi non correrà unimmediato pericolo.”

- Che non si sia rotte le gambe?

- Non sarà stato cosí stupido da abbandonare le zampe delcondor a grande altezza.

“Sono certo che noi lo ritroveremo appollaiato su qualchealtro albero.

“Orsúprepariamoci alla seconda battagliache prevedosarà non meno terribile della prima.”

- Prendete la draghinassa di don Barrejo; vi servirà megliodella vostra spada- disse l'ex-taverniere di Segovia.

- E vero- rispose Mendoza. - Cercherò di nonguastarglielapoiché ci tiene troppo a questo pezzo d'acciaio.

Il condorinvece di muovere subito all'assalto del nidosiera innalzato per quattro o cinquecento metri e di lassú si era messo adescrivere dei giri che andavano a poco a poco restringendosi.

Si capiva che voleva lasciarsi cadere quasi di peso sul nidoper tentare di schiacciare i due intrusi.

Mendoza e De Gussacin ginocchiocolle draghinasse puntatein aria aspettavano coraggiosamente l'attacco che prevedevano terribile.

Per cinque o sei minutil'enorme uccellaccio si mantenne aquell'altezzapoi ripiegò un po' le alidiscendendo con fulminea rapidità.

Già stava per cadere sul nidoquando cinque o sei colpid'archibugio rimbombarono improvvisamente in mezzo al bosco.

Colpito certamente da parecchie palletentò dirisollevarsimandando grida ferociquando ad un tratto le forze gli venneromeno.

Raccolse le ali e si lasciò cadere come corpo morto in mezzoalla forestadove i cacciatori lo aspettavano di certo.

Mendoza e De Gussacudendo quegli sparisi erano lasciaticadere in fondo al nido.

- Gli spagnuoli? - aveva chiesto l'ex-taverniere coninquietudine.

- Non possono essere che loro- aveva risposto il bascoilquale non si sentiva pure affatto tranquillo.

- Che ci abbiano veduti?

- Avrebbero fatto fuoco piuttosto su di noi che sul condor.

- Adesso prenderanno don Barrejo.

- È un tal diavolo d'uomo che non mi dà troppepreoccupazioni- rispose Mendoza. - Io l'ho sempre veduto cavarsela anche nellesituazioni piú difficili.

- Allora siamo noi invece che corriamo il pericolo di venirecrivellati di palle. Se si accorgono che noi siamo quassú non cirisparmieranno.

- Udite il cane voi?

- Nonon l'odo piú.

- Si sarà messo alla testa di qualche cinquantina- disseMendoza. - È una vera fortuna per noipoiché avrebbe potuto seguire la nostrapista fino alla base di questo pinou. Tuttavia la nostra situazione nonmi pare troppo allegra.

“Se don Barrejo si troverà malenoi non ci troviamomeglio.”

- Che cosa fare ora?

- Rimanere tranquilli ed aspettare che gli spagnuoli se nevadano. Don Barrejo a quest’ora avrebbe fatta già la proposta di riprenderela dormita.

- Io non avrò questo coraggio- rispose l’ex-taverniere.

- Confesso che non l’ho nemmeno io e che preferiscovigilareper difendere la mia pelle meglio che potrò.

- Possiamo dare uno sguardo?

- Lasciate fare a me- disse Mendoza. - Il vostro elmettoluccica troppo e potrebbe attirare subito l’attenzione dei nostri nemici.

Si gettò bocconi e si mise a strisciare verso il margine delvasto nidoda cui poteva sicuramente vedere gli spagnuolise erano entratinella forestacome faceva supporre l’uccisione del condor.

Stava per sporgere il capoquando delle voci umane salironofino a lui.

- EhiAlonzo!... Guarda dove aveva il nido quel condor. Lovedi?

- SíPedro.

- Forse ci sarebbe da raccogliere una bella frittata lassú.

- Se vuoi romperti il collo provati tu. Io mi accontento diun po' di brodo dei due volatili.

- Sídei due volatili. Che cosa ne pensi tu della femminache abbiamo trovata decapitata?

- Chestanca di viveresi sia suicidata.

Uno scroscio di risa salutò quella risposta spiritosa.

- Adagiocamerati- riprese colui che si chiamava Pedro. -Che io sappiai condor non hanno mai posseduto dei rasoi per farsi cosíferocemente la barba.

- Allora spiegherò iocameratacome s’è svolta ladolorosa istoria. La condoressa rivedeva qualche amico ed il maritoaccortosenele ha strappato la testa o meglio gliel’ha tagliata con unterribile colpo di becco.

“Credi tu che anche fra i volatili non esista la gelosia?”

- Dite quello che voletema questa seradopo cenatenteròla salita di quell’albero- rispose Pedro. - Voglio andare a vedere se visono dei condorini.

- Se ne abbiamo già raccolti due- disse un altro soldato.

- Ve ne possono essere degli altri.

- Tu sei un asinoPedroe non conosci i condor. Ma se vuoiprovare i tuoi muscolinon saremo certamente noi che te lo impediremo.

Mendoza udí un altro scroscio di risapoi piú nulla.

- La nostra situazione si complica- mormorò. - Se quell’uomosi prende il capriccio di fare una visita al nido siamo fritti.

Stette qualche minuto ancora in ascoltopoinon udendo piúnullaosò sporgere la testa. Si trovava d’altronde ad una cosí grandealtezza che non sarebbe stato facile scorgerlospecialmente fra i lunghi ramidel pinoui quali si stendevano quasi orizzontalmente.

Delle nuvole di fumo salivano in ariaa breve distanza dallagrossa pianta. Gli spagnuolicon grande spavento di Mendozadovevano essersiaccampati.

Il basco scostò con precauzione i rami e scorse una dozzinae mezza d’uominiaffaccendati a spennacchiare i condor ed i piccini.

Il fuoco era stato acceso ed una pentola di dimensioni noncomuniera stata appesa ad un ramoin attesa di ricevere un buon pezzo diquella selvaggina aereaeccellente per fare del brodoma coriacea come quelladi un vecchio mulo.

- Se vi fosse con noi don Barrejosi avrebbe potuto tentarequesta sera una sorpresa- mormorò il basco. - Diciotto contro due sonotroppi.

“Toh!... Come si sono frazionate queste cinquantine!... Sivede che a quei signori preme assai averci nelle loro manimentre a noi premedi non lasciarci prendere.”

Si ritrasse colle medesime precauzioni di prima e si allungòaccanto a De Gussacinformandolo di quanto aveva veduto e udito.

- Se quel curioso giunge quassúnoi saremo scoperti-disse l’ex-tavernierediventando un po' pallido.

- Oh!... Non è ancora salitomio caro De Gussaced in unascalata notturna possono succedere molti accidenticome la rottura d’un ramoabilmente tagliato prima.

“Prima che la luna si mostri mi occuperò io di questoaffare e non vorrei certo trovarmi dopo nei panni di quel visitatore di nidi.”

- Con tuttociò non sono tranquilloMendoza.

- Ohnemmeno io! - disse il basco. - E credo che in questomomento non lo sia nemmeno quel povero don Barrejo.

“Spero peròse si sarà rifugiato subito su qualchepiantache scorgerà i fuochi dell’accampamento e che si guarderà bene dalraggiungerci finché gli spagnuoli non se ne saranno andati.”

- Per voi dunque il mio caro compatriotta sarebbe ancoravivo?

- E perché no? Il condortrascinato dal peso scendevaabbastanza dolcemente- rispose il basco. - Quegli uccelli posseggono una forzastraordinarianon tale però da poter sorreggere a lungo un uomoanche semagro come don Barrejo.

- Avete ragione e probabilmente egli si trova in miglioricondizioni delle nostreperché non correrà il pericolo d’esserecome noida un momento all’altro crivellato dalle palle.

- Alto làcompare! Questo nidoquantunque non sembrièsolido come una piccola fortezza ed i proiettili non lo attraverseranno asessanta o settanta metri di distanza.

“Quello piuttosto che temo è un assedio in piena regolasenza provvistementre questo ventre insaziabile ricomincia a brontolare.”

- Stringetevi la cintola.

- L’ho già fatto- rispose il basco. - Corpo d’unapipa!... Che profumo sale dal basso!

“Non lo sentitevoi?”

- È odore di buon brodo- rispose l’ex-taverniere diSegovia. - Me ne intendo io.

- Ho capito. Gli spagnuoli hanno cacciato nel pentolonequalche ala di condor e si preparano la zuppa.

“Che peccato non poter prendere parte alla loro mensa!”

- Come vi siete stretta la cintolaturatevi il naso.

- Se fosse lungo come quello dei guasconisi potrebbeprovarementre invece i nasi dei baschinon si sa il perchépare che abbiamoun grande desiderio di scomparire.

L’ex-taverniere di Segovia non poté trattenere una risatacheda quell’altezzanon poteva di sicuro giungere agli orecchi deglispagnuoli.

I due assediatitormentati dalla fame e stuzzicati da quell’odoredi brodo che arrivava sempre fino a lorosi stesero nel nido l’uno accantoall’altrodopo d’aver preparati gli archibugi.

Sotto udivano gli spagnuoli chiacchierare e ridere. La zuppadi condor doveva averli messi in allegriadopo tante privazioni.

Dopo l’odor del brodo fu il fumo delle pipe che giunse finosul pinoucon grande disperazione di Mendozail qualepossedeva deltabaccoma non osava servirsene.

Le ore trascorsero in un’ansia continua pei duedisgraziatii quali temevano ad ogni istante di veder qualcuno dare la scalatadell’altissimo albero.

Appena il sole fu tramontato e le tenebre furono scese sullaforestaMendozacome aveva promessoprese l’affilata draghinassa di donBarrejo ed incise profondamente due rami che si allungavano sotto il nidouno adestra e l’altro a sinistra.

Un uomoper quanto agile e destroche si fosse spinto finolassú ed avesse messa una mano su l’uno o l’altro di quei raminon dovevasalvarsi da uno spaventevole capitombolo.

Nel frattempo gli spagnuolii quali pareva che avesseroricevuto l’ordine di bivaccare in quel luogo per lasciar tempo allecinquantine di radunarsi e formare massaavevano accesi altri falò e messi suicarboni enormi pezzi di carne di condor. Una viva allegria regnava nel campomentre una cupa tristezza regnava sul nido dei condor.

I disgraziatiper la seconda volta avevano dovutoaccontentarsi dei profumiabbastanza stuzzicantiche salivano dal basso.Mendozache era affamato come un lupoaveva stretta la sua cintura di pelle diun altro occhiello.

Ad un tratto alcune voci si alzavanoseguite da scrosci dirisa:

- Pedro!... Pedro!... La luna spunta sulla cima della sierra.

- Va' a cercarti la frittata dei condorini.

- Da' una prova della forza dei tuoi muscolicarrai!

- Susuin alto! Noi staremo a vederti.

Mendoza non aveva potuto trattenere una bestemmia.

- Avete uditoDe Gussac? - chiese.

- Pare che la nostra ultima ora stia per suonare- risposeil guascone. - Questo è quanto ho capito.

Mendoza si era alzato sulle ginocchiastringendo ferocementela draghinassa di don Barrejo.

La luna appariva in quel momentodietro la piú alta cimadella sierrarovesciando sui boschi i suoi dolcissimi raggi azzurrini.

- Potevialmeno per una voltaannegarti nel mare- disseil basco.

Sotto la piantagli spagnuoli continuavano a gridare incoro:

- In altoPedro!... La luna è sorta per illuminare lafrittata!... Una voce finalmente si alzòdominando quel frastuono.

- Giacché volete la frittatal’avrete.

“Pedro non ha che una parola.”

Il soldato che portava quel nomeun gagliardo garzone chenon doveva toccare la trentinasi alzò e dopo essersi fatta scorrere lamisericordia da destra a sinistra per essere piú libero nelle mosses’avvicinòal pinou e con un gran salto s’aggrappò ad uno dei primi rami.

- Voglio mostrarvi- disse- come i gabbieri prendono d’assaltole alberature. Silenzio e lasciatemi fare.

Mendoza e De Gussac tutto avevano veduto e tutto avevanoanche udito. Se quell’uomo riusciva a scansare i rami quasi tagliatipotevanoconsiderarsi come perduti.

- Che cosa diteMendoza? - chiese l’ex-taverniere diSegoviail quale tormentava il grilletto del suo archibugio. - Se lo freddassiprima che potesse giungere fino a noi? Sono sicuro dei miei colpi.

- Ed anch’io dei miei- rispose il basco- però vi pregodi lasciare in pace le armi da fuoco per ora.

“Io non dispero ancora. D’altronde penso che le loropalle non riusciranno a passare questi grossi rami cosí strettamenteintrecciati.”

- E se arriva?

- Lo faremo prigioniero e lo terremo in ostaggio. Siamo indue ed entrambi robusti ed avremo facilmente ragione di quel gabbiere delmalanno.

“Tuttavia teniamo pronte le draghinasse e se sarà proprionecessario ce ne serviremo.”

- E dopo?

- Un assedio in piena regola.

- Senza niente da cacciare in corpo. Ah!... Se don Barrejo ciavesse lasciati almeno i condorini.

- Tardivi rimpianti- rispose il basco. - L’uomo salelesto: attentoDe Gussac!...

Il gabbiereabituato a scalare le sartie dei galeoni efavorito dalla luna la quale illuminava la foresta magnificamentemontavarapidamenteaggrappandosi di ramo in ramo.

Di sottoi suoi compagnidisposti in circolo intorno al pinoulo guardavano senza parlare.

Mendoza e De Gussac lo vedevanocol cuore stretto all’angosciaavvicinarsi. Il primo aveva impugnato la draghinassa di don Barrejomentre ilsecondo aveva ripreso l’archibugiodeciso a servirsene checché dovesseaccadere poi.

Qualche minuto ancora ed il gabbiere raggiunse gli ultimirami che reggevano il nido. Stava per aggrapparsi già all’orlo dellacostruzionequando si udí un crac sinistro.

Uno dei rami sui quali si appoggiava aveva ceduto ed ildisgraziatodopo d’aver mandato un urlo strazianteera andato a sfracellarsifra i fuochi del campocon grande terrore dei suoi compagni.

Il tonfo di quel povero corpo che precipitava da quell’altezzaera stato cosí intensoda poterlo paragonare ad un colpo di spingarda o difalconetto.

Passato il primo istante di spaventogli spagnuoli eranoaccorsi a lui e s’avvidero subito che pel disgraziato gabbierevittima delramo traditore preparato da Mendozanon vi era da fare altro che scavargli unabuca in mezzo alla foresta.

- Mi rincresce averlo ammazzato cosísenza affrontarlo-disse Mendoza a De Gussac.

“Disgraziatamente la guerra non ha leggispecialmente quie noi eravamo nel nostro pieno diritto di difendere la nostra pelle.”

- Crederanno ad una disgrazia i suoi compagni?

- Ah!... Questo non lo so.

Il dubbio del guascone era ben fondatopoiché glispagnuolidopo d’aver gettata una coperta da campo sopra il gabbieresierano messi a girare intorno al pinouguardando sospettosamente l’immensonido.

Ad un tratto uno di loro alzò l’archibugio e sparò uncolpo. I due assediati udirono la palla penetrare fra i ramima come il bascoaveva previstonon giunse fino a loro.

I fucili di quell’epoca avevano una portata limitatissimaed una penetrazione miseratale anzi che un solo ramo sarebbe bastato a fardeviare facilmente un proiettile.

Altri cinque o sei colpi furono sparatia breve distanza l’unodall’altrosempre contro il nidocollo stesso risultato.

Mendoza e De Gussacquantunque temessero che da un momentoall’altro qualche palla potesse aprirsi un passaggiosi guardarono bene dalrispondere.

Ad un tratto delle grida di terrore echeggiarono nel campospagnuolo:

- I tori!... I tori!... Anda!... Anda!...

Una torma di quelle pericolosissime bestieattirataprobabilmente da quegli spari e disturbata nel suo sonnocaricava all’impazzataattraverso la forestadirigendosi appunto là dove i fuochi brillavano.

Gli spagnuolisapendo con che razza di animali avevano dafarespararono a casaccio i loro ultimi colpiquindi si dispersero per laforestasempre inseguiti dai furibondi cornuti.

Mendoza si era alzato in piedi di colpo esclamando:

- Ecco degli alleati sui quali io non contavo. Se vi prememettere in salvo la pelleDe Gussaclasciate subito il nido e scendiamo nellaforesta.

“Passate a sinistra se non volete fare la fine di queldisgraziato gabbiere.”

Scavalcarono in un lampo l’enorme cestanon senza averprima raccolta la famosa draghinassa di don Barrejo che non volevanoassolutamente perderee cominciarono la discesacalando di ramo in ramo.

In lontananza si udivano le grida degli spagnuoliaccompagnatedi quando in quandoda qualche colpo d’archibugio.

L’inseguimento non era dunque ancora cessato.

Cinque minuti dopoMendoza e l’ex-taverniere di Segoviaerano a terra.

I fuochi ardevano ancorail pentolone giaceva col fondo inariaqua e là erano state dimenticate delle armi.

Il basco raccolse due spades’avvicinò alla salma delpovero gabbiere che per un caso straordinario era sfuggita alla carica dei toriformò una specie di croce e gliela mise sulla copertadicendo con voceabbastanza commossa:

- Avrei preferito affrontarti colla spada alla mano ericevere una stoccata. Riposa in pacepover’uomo.

Poi spiccò tre o quattro salti attraverso i falò e si misea correreseguito da De Gussacnella direzione tutta opposta a quella presadagli spagnuoli.

Ora che era libero non aveva che un solo pensiero: quello diritrovare il terribile guasconesenza del quale si sentiva come sperdutoquantunque avesse trovato un altro spadaccino appartenente alla medesima razza.

Che cosa era successo dunque dell’allegro don Barrejo?Vagava pei boschi cercando di orientarsio era stato catturato dagli spagnuoli?Mendoza si rivolgeva cento volte queste domandesenza riuscire a fare un po' diluce sulla misteriosa scomparsa del guascone.

Però non disperava. Aveva veduto il condor scenderedolcemente ai confini della boscaglia e si teneva certo che don Barrejo non sisarebbe lasciato cadere da una grande altezzaper rompersi le gambe.

I due avventurierispinti dal desiderio di sottrarsi allericerche degli spagnuoli e di trovare il compagnocontinuavano a correre atutta lenaquantunque si sentissero sfiniti dal digiuno.

Dopo una buona mezz’oraraggiunsero il margine dellaboscaglia. Dinanzi a loro si stendeva una vasta prateriafortunatamente in quelmomento non occupata dai terribili tori della puna.

- Don Barrejo deve essere calato qui- disse Mendozatirando il fiato.

- Eppure non si vede- rispose De Gussac. - Se provassimo asparare un colpo di fucile?

- Mai!... Ne ho abbastanza degli spagnuoli.

- Dove cercarlo allora?

- Comincio a disperareDe Gussac. I filibustieri lontaninoi quasi smarriti sulle cime di questa sierradon Barrejo perduto.

“Che cosa accadrà di noi? Dove andremo a finire?”

- Probabilmente appesi a qualche ramo con una corda al collo- rispose il guascone.

- Che don Barrejo ci abbia già preceduti? Attraversiamoquesta prateria ed andiamo a rovistare la boscaglia opposta.

“Forse laggiú potremo azzardarci a sparare un colpo difucile.”

Dopo aver guardato attentamentetemendo che qualche brancodi tori sonnecchiasse fra le alte e profumate erbei due avventurieri ripreserola corsaraggiungendo felicemente il margine della seconda forestala quale sistendeva lungo una gobba della sierra.

Si erano inoltrati per due o trecento metriquando udironoimprovvisamente risuonarea breve distanzaparecchi spari.

Quasi subito un uomo passò dinanzi a lorocorrendo come uncervo e mostrandosi ai raggi della luna.

Due grida erano sfuggite a Mendoza ed a De Gussac:

- Don Barrejo!...

Il fuggiasco si fermòtenendo l’archibugio imbracciatopoi abbassò l’arma e mosse verso i suoi compagni non meno stupiti di luidicendo:

- Panchitala bella castiglianadeve pregare per mecamerati. Se qualche buon genio non mi avesse sempre protettodon Barrejoavrebbe finita la sua carriera con una fune al collo.

“Mendoza!... De Gussac!... Quafra le mie braccia!...”

- Ti credevo morto- disse il basco- e non sapevorassegnarmi all’idea di riprendere il viaggio senza di te.

“Chi ha fatto fuoco?”

- Io.

- Sei o sette colpi?

- Avevo un fascio d’archibugi. Ma questo non è il momentodi chiacchierareamici. Se vogliamo prendere il marchese di Montelimarseguitemi subito.

“Gli spagnuoli del piccolo campo sono quasi inermi.”

- Il marchese di Montelimar!... - esclamò Mendoza.

- Corrie non parlare!...

Guidati da don Barrejoil basco e l’ex-taverniere diSegovia-Nuovasi erano cacciati nella forestaseguendo delle vaste aperturetracciate certamente dai tori della puna.

Attraverso il fogliame si vedevano brillare vagamente ifuochi del campo.

Con una corsa velocissima i tre avventurieri attraversaronola distanza e piombarono sull’accampamento cogli archibugi puntati.

Non vi eraalmeno in quel momentobisogno di bruciare dellapolverepoiché gli spagnuolicredendosi assaliti dal corpo principale deifilibustierinon avevano piú fatto ritorno.

Anche il marchese era scomparso.

Mendoza e De Gussacvedendo il pentolonevi si eranoprecipitati sopra per raccogliere gli ultimi avanzimentre don Barrejo facevauna rapida esplorazione pel campo.

Un grido di furore interruppe il loro magro pasto.

Il terribile guascone si era fermato dinanzi al cadavere d’unsoldatocacciandosi disperatamente le mani nei capelli.

- Il vecchio sergente!... Un altro guascone!... È quello chemi ha fatto fuggire e il marchese lo ha assassinato! - gridava.

Mendoza ed il guascone numero due erano accorsi.

Un uomoche aveva due lunghi baffi grigi e dei galloni sullemaniche della sua variopinta casaccastava steso in mezzo all’erba col capofracassato da una e forse da due palle.

- Chi è? - chiese Mendoza.

- L’uomo che mi ha fatto fuggire prima che il marchese miappiccasseed è uno dei nostrisaiDe Gussacun guascone anche lui-rispose don Barrejoil quale aveva le lagrime agli occhi.

- Chi l’ha ucciso?

- Quel cane di Montelimarnon ci può esser nessun dubbio.Solo il marchese aveva delle pistole alla cinturae questi non sono colpi d’archibugio.

- No- rispose il bascoil quale appariva pureprofondamente commossopoiché in quel momento pensava al povero gabbiere. -Qualunque uomo di guerra lo capirebbe subito.

Don Barrejo si morse le dita a sanguepoi disse:

- Quel Montelimar non rivedrà piú mai le torri dei suoicastelli di Francia e di Spagnaperché io lo ucciderò.

Si chinò sul cadavere del sergentegli chiuse gli occhipoi disse ancora:

- Seguitemi!... Il marchese si trova dinanzi a noi con pochiuominiquasi sprovvisti d’armi da fuoco.

“Voglio avere la sua pelle!...”

 

 

Capitolo XIX

FRA LE FORESTE VERGINI

 

La luna cominciava a tramontare dietro le alte cime della sierraquando i tre avventurieri si rimisero in camminocolla speranza di piombare disorpresa addosso al marchese ed ai suoi pochi uominise non si erano ripiegatigià sulle cinquantine della retroguardiae finirla per sempre con quelformidabile ed inafferrabile avversario.

Si erano cacciati in mezzo ad una boscaglia di noci nerealberi giganteschifrondosifoltissimiche danno delle frutte in quantitàenormecolla corteccia molto spessa ed il nocciolo invece piccolo e mediocrepreziosissimi però pel loro legno che può quasi competere col famoso ebanoafricano.

Un silenzio di tomba regnava sotto quelle magnifiche piante.La caccia notturna doveva essere finitapoiché l’alba non era lontana e lebelve si erano certamente già ritiratenei loro covidopo aver fatto dellevere ecatombi di conigli.

Di quando in quando un improvviso bagliore rompeva l’oscuritàprofondissima. Proveniva da masse di funghi fosforescentidi dimensionigigantescheche si stringevano intorno ai tronchi enormi dei noci.

Quella corsa furiosacondotta da don Barrejoil quale sisentiva spinto da un desiderio feroce di vendicare il povero sergentenon ebbealcun risultato.

Ai primi alborii tre avventurierimadidi di sudorecollegambe rottesi trovavano sulla cima della sierra. Degli spagnuoli nonavevano trovato alcuna traccia.

- Ehidon Barrejo- disse il basco- spero che non miprenderai per un mulo dei Pireneicorpo d’una saetta!... Io e De Gussac siamoquasi morti di fame.

- Ora potremo cacciaresenza correre alcun pericolo-rispose il guascone.

- Perché?

- Ho ammazzato il cane che guidava gli spagnuoli.

- Tu hai fatto questo?

- Non ho perduto il mio tempocompare. Avevo già giurato difare la pelle a quella bestiaccia che costituiva per noi un continuo pericolo.

“Anche se gli spagnuoli udranno un colpo d’archibugiodifficilmente sapranno orientarsispecialmente sotto queste boscaglie.”

- Io preferirei però fare una dormitagiacché abbiamoguadagnato terreno- disse De Gussac. - Non ne posso piú.

“Alla colazione potremo pensare piú tardi.”

- Tutti i tavernieri non sono nati avventurieri- disse donBarrejoscherzando. - D’altronde anch’io non ho dormito un solo momentotormentato sempre dal pensiero che sarei stato inesorabilmente appiccato.

“Cadere sul campo di battagliapassima finire sullaforca come un bandito!... Oh!... Ciò mi crucciava immensamente.

“Che cosa diciMendoza?”

Il basco non rispose. Si era sdraiato in mezzo ad un folto efreschissimo tappeto di muschi e cominciava già a sonnecchiarequantunqueavesse gli occhi ancora aperti.

- Allora approfittiamo- disse don Barrejo. - Pel momentonessuno verrà a disturbarci.

“Abbiamo almeno un vantaggio di sei ore di marcia suglispagnuoliammettendo che si siano mossi coll’alzarsi della luna.”

- Dormichiacchierone eterno- disse Mendozasbadigliando.- La tua lingua starebbe bene in bocca alla bella castigliana.

- Anche la sua è abbastanza lunga e non ha bisogno chegliene dia un po' della mia.

“Tu non l’hai mai udita come urlava quando salivo dallacantina colle gambe malferme! E quella briccona non voleva capire che i vinidevono essere sempre assaggiati da un buon taverniere.

“Vi pare?”

Gli risposero due grugniti: Mendoza e l’ex-taverniere diSegovia dormivano come ghiriaffondati in mezzo al soffice strato di muschio.

- Non sono della mia fibra- disse il guasconetorcendosicon sussiego i baffi. - Giacché non posso parlare nemmeno coi pappagallichequi mancano assolutamentesarà meglio che approfitti anch’io dellacircostanza. Chissà!... Posso sognare le deliziose serate passate nella miacantinaintorno alle botti ben piene.

Sbadigliò tre o quattro voltestirandosi le membrapoi asua volta si affondò nel soffice muschiomandando un gran sospiro disoddisfazione.

Sonnecchiava da forse un quarto d’oraquando fu sorpresoda una dolcissima corrente d’aria che pareva prodotta da un ventaglio agitatosopra la sua testa. Non essendo ancora completamente addormentatoagitò unamano e provò una strana impressione di freddo che gli fece subito spalancaregli occhi.

Un uccellaccioche rassomigliava ad un grossissimopipistrellosi era alzato sopra di luimandando delle piccole grida edescrivendo dei fulminei zig-zag.

Essendosi il sole già un po' alzatoil guascone avevapotuto vederlo. Aveva la testa grossaarmata di due denti e d’una specie diventosae le sue ali pelose misuravanoinsiemequasi un metromentre ilcorpo non era piú lungo d’una ventina di centimetri.

- Un vampiro!... - urlò. - All’ertacamerati!... Si cercadi dissanguarci!...

Né Mendozané l’ex-taverniere di Segovia avevanorisposto alla chiamata d’allarme.

- Tonnerre!... Sono stati già dissanguati!... -esclamò.

Si era alzato in preda ad una visibile emozionetenendo l’archibugioalzato per ammazzare quei maledetti succhiatori di sangue.

Ad un tratto arrestò inorriditolasciò cadere il fucileche a nulla avrebbe potuto servirglie snudò la draghinassa.

Un orribile spettacolo si era offerto ai suoi occhi; unospettacolo da far gelare il sangue all’uomo piú coraggioso dei due mondi.

Accovacciati sul petto dei suoi due compagnistavano dueragni giganteschiorribilipelositutti nerigrossi quanto una bottigliacon due branche armate di terribili uncinilunghi non meno di otto polliciiquali si erano già affondati nella carneattraverso lo sparato dellasbrindellata camicia.

Don Barrejoabbastanza pratico della regionenon avevatardato a riconoscere in quei due brutti mostri che succhiavano sangueavidamentedue migale gigantiossia due di quei ragni che vivono nelle forestedell’America centralee che quando sono affamati non esitano anche adassalire le persone addormentate.

Le branche taglientissime dei due brutti mostri avevanointaccato le carni di Mendoza e dell’ex-taverniere di Segoviae succhiavanoferocemente.

Don Barrejo balzò contro il piú vicinocon una pedata lotolse dal petto di De Gussacpoi con un gran colpo di draghinassa lo finí.

Il secondovista la mala fine del compagnoaveva tentato dimettersi in salvo su un vicino alberoperò prima che fosse troppo alto ladraghinassa lo colsespaccandolo nettamente in due.

- Amici!... Amici!... - gridò il terribile guasconescuotendoli. - Non vi accorgete che vi dissanguano?

Mendoza pel primo aprí gli occhie non seppe trattenere ungrido di ribrezzo vedendosi il petto coperto di sangue.

- M’hanno assassinato!... - esclamò.

- Ma che!... - rispose don Barrejo. - Non si tratta che d’unasemplice cavata di sangue compiuta dalle migale.

“È vero che se tardavo ad accorgermenequeimostriciattoli te ne avrebbero succhiato almeno un paio di libbre.”

- Ed anch’io sono tutto insanguinato- disse De Gussacbalzando in piedispaventato.

- Ed io per poco non dividevo la medesima sortepoiché ungrosso vampiro cercava di sorprendermi nel sonno- disse don Barrejo. - D’orainnanzi noi non commetteremo piú l’imprudenza di addormentarci tutti e tre.

- Le hai almeno accoppate quelle bestie? - chiese Mendoza.

- Io ho vendicato il tuo sangue. Vi è un ruscelletto chescorgo laggiúandate a lavarvi e mettete sulle ferite un po' di cotone.

“Ecco là un albero che ve ne fornirà finché ne vorrete.”

- Sarebbe stato meglio che quel cotoniere portasse dellefrutta- disse De Gussac. - Noi moriamo di fame.

- To'!... Mi ero scordato che avete sempre la pancia vuotamentre il mio ventre è stato generosamente imbottito di non so quale infameintruglio navigante in una vera olla podrida.

“Mentre fate un po' di toelettami proverò a batterequesta foresta.”

- Bada di non perderti- gli disse De Gussac.

- Non andrò lontanocompare. So bene che è facilesmarrirsi in queste immense foreste vergini.

Mise un po' di polvere nello scodellino dell'archibugioabbassò il cane perché la trattenesse contro la pietra focaiae se ne andòguardando attentamente a desta e a sinistra.

Non aveva percorsi duecento passi quando udíin mezzo allefolte pianteuscire un grido malinconicolugubre:

- A-j!...

Don Barrejo si era fermatoguardandosi intorno.

- Chi è che si lamenta? - si chiese. - Che vi sia qualcheferito? Non rappresenterebbe una colazioneper centomila code del diavolo!...

In quel momento il grido si fece nuovamente udirepiúlungopiú straziante.

Pareva proprio che qualcuno si lamentasse.

Il guasconeun po' impressionatostava per tornareindietroquandoalzando gli occhi verso una nocescorse aggrappate ad unramocol dorso rivolto a terrauna specie di scimmiadal pelame molto folto ecolla testa che rassomigliava piuttosto a quella d'un gatto che d'un quadrumanequalunque.

- Ecco la colazione!... - esclamo il guascone. - Non so checosa siaso però che sotto la pelle vi è della carne di arrostire.

Aveva alzato già l'archibugiopoi tornò ad abbassarloborbottando:

- Se non si muove! Vediamo se si può risparmiare una carica.- Infatti quello strano quadrumanequantunque avesse già scorto il cacciatorenon abbandonava il ramo e non cessava di mandare il suo sgradevolissimo urlolamentevole.

- Bisogna venir giúmio caro- disse il guascone. - Se haile gambe rotte e non puoi muoverti io non so che cosa farci.

“Ci servirai egualmente da colazione.”

Si avvicinò al ramo che era piuttosto basso e spogliointeramente di tutte le sue foglieed afferrò la coda del quadrumanetirandoa tutta forza.

Il ramosotto quella violenta trazionesi abbassòmal'animale rimase fermo al suo posto.

- Altro che zampe rotte!... - esclamò don Barrejo. - Questesono zampe di ferro.

“Signora scimmiavolete arrendervi si o no?”

Il quadrumane ritirò lentamente la sua coda e non si mosse.

- Eppure non è legata- disse il guascone. - che razza dibestia è questa? Me lo dirà Mendoza che conosce meglio di me le bestie cheabitano queste selve.

“Orsúlegami o notagliamo.”

Tirò fuori la draghinassa e d'un colpodecapitò la poverabestiapoi aggrappandosi nuovamente alla codadopo sei o sette strappateleune piú vigorose delle altrepervenne ad impadronirsene.

Solo allora si accorse che quello strano animale invece diavere delle dita possedeva delle unghie robustissimelunghe un buon pollice.

- Che appartenga alla famiglia delle scimmie graffiantisene esiste una al mondo? Io veramente non ne ho mai udito parlare.

“Graffiante o noandiamo a scuoiarla ed a gettarla sulfuoco.”

La riprese per la coda per lasciare che il sangue sfuggisseinteramente e tornònon senza qualche difficoltàal campo.

Mendoza e l'ex-taverniere di Segovia avevano terminata laloro toeletta ed avevano chiuse le due piccole ferite prodotte dalle terribilibranche delle migale con dei ciuffi di cotone selvatico.

La cavata di sangue era stata forse un po' abbondanteperòle ferite riportate si riducevano a semplici tagli sulla pelle.

- EhiMendoza- disse il guasconegettandogli ai piedi ilsingolare quadrumane. - Io ti porto la colazione e vorreiprima di metterla suicarboniche tu mi dicessi che specie di animale noi mangeremo.

“Certo non è un serpenteed io non ho mai udito parlaredi scimmie velenose.”

- Quantunque tu l'abbia decapitato ti dirò subito che è un a-j.

- A-j?... Che cos’è?

- L'animale piú poltrone che esista al mondopoichéimpiega non meno d'un paio di giorni a percorrere un paio di metriperraggiungere le foglie che gli servono d'alimento.

“Figuratiamicoche piuttosto d'incomodarsi a scenderedagli alberisi lascia cadere a terra per risparmiarsi la fatica.”

- Che gambe hanno dunque?

- Solidissime e anche ben armate.

- Lo so io che non ero capace di strappare giú questomacaco. È almeno mangiabile?

- Gli indiani non rifiutano la sua carnequantunque siaffermi che sia coriacea come quella del tapiro.

- Bah!... Abbiamo lo stomaco robusto e andrà giúegualmente- disse l'ex-taverniere di Segoviail quale aveva già impugnata lanavaja per preparare l'arrosto.

- Degli spagnuoli nessuna nuova? - chiese Mendoza.

- Io non ho veduto altro che degli alberi- rispose donBarrejo. - Devono essere ancora ben lontanidopo la nostra marcia forzata.Signor taverniere di Segoviacome si può cucinare questa bestia?

- Gl'indianiche sono grandi divoratori di scimmielecuociono al forno. Lasciate fare a me.

“Portatemi della legna e vi offrirò una colazioneeccellente.”

- Uhm!... - fece il bascoscuotendo la testa.

Nemmeno don Barrejo parve convintopoiché fece una smorfiadi disgusto.

L'ex-taverniere aveva terminato di scuoiare l'a-j el'aveva avvolto in diverse foglie di palmiziodopo d'avergli cacciato nelventreprima vuotatodelle erbe aromatiche che aveva trovato a portata dimano.

Servendosi un po' della draghinassa e un po' delle maniscavò una buca abbastanza profonda e vi gettò dentro quanta legna già accesapoté.

- Ecco un forno molto economico e molto spiccio- disse donBarrejo. - Per caso hai fatto cucina agl'indiani?

- Piú di quanto t'immagini- rispose De Gussacridendo. -Ti posso anzi dire che se sono ancora vivo lo devo alla mia abilità culinaria.

- Che cosa ti è successo dunque?

- Traversavo l'istmo in compagnia d'una mezza dozzina diavventurierii quali si erano proposti di raggiungere le sponde dell'oceanoPacifico per arruolarsi sotto Davisquand'ecco che un brutto giorno unatempesta di frecce ci accoglie in mezzo alla boscagliasenza che si potessevedere da qual parte provenivano.

“Rispondemmo subito coi nostri archibugi. Il fragore deicolpi pareva che non spaventasse affatto quei fieri indianipoichécontinuarono a prenderci di mira coi loro dardi e cosí beneche dopo un quartod'ora tutti i miei compagni giacevano a terra morti.”

- Eri protetto da qualche prezioso amuletotu? - chiese donBarrejoil quale sorvegliava il fuoco.

- Certo- risposeserio seriol'ex-taverniere di Segovia.- Nella famiglia dei De Gussac si conservava una medaglia benedettache siaveva l'abitudine di portare sul cuore.

“Ti avverto che era grossa quando una piastra.”

- Tira avanti- disse don Barrejosorridendo- e tuMendozaritira i tizzoni e getta nel forno la nostra scimmia.

“Si deve coprirla di terrami pareè veroDe Gussac?”

- Ed accendervi sopra un altro fuoco.

- Ora continua.

- Morto mio padrela medaglia l'avevo presa ioperché eral'unica cosa che avesse ancora un po' di valoreessendo d'oro di miniera.

- Erano ricchi come i mieii De Gussac- disse il terribileguascone. - Continua.

- Tu non lo crederaieppure tre volte delle frecce micolpirono in direzione del cuore e si spuntarono tutte contro l'amuleto.

- Cospettaccio!... Vuoi vendermelo?

- Se non l'ho piú!

- Dov'è andato a finire?

- Si troverà ancora sospeso al collo del capo della tribú.

- E tu dunque hai reso quel briccone invulnerabile!...Speriamo di non trovarlo sul nostro cammino- disse don Barrejoun po'ironicamente. - E come andò a finire la storia?

- Accerchiato da tutte le partida non so quante dozzined'indiani armati d'archi e di rompi-costolefui costretto ad arrendermi.

“Fortunatamente quegl'indiani erano antropofagi.”

- Fortunatamente!... - esclamarono ad una voce Mendoza e donBarrejo.

- Se non lo fossero statiio non sarei già qui a narrarviquella brutta avventura.

- Spiegati meglioamico- disse il terribile guascone. -Qui vi è un punto oscuro che bisogna chiarire.

- Te lo dico subito- rispose l'ex-taverniere diSegovia-Nuova. - Mi avevano condotto al villaggio e mi avevano legato ad unpaloin attesa di mangiarmi.

“Avendo però abbastanza carne umanaperché come ti hodettotutti i miei compagni erano rimasti sul terrenomi riservarono per unacolazione che il cacico doveva offrire ad un altro capo.

“Sotto i miei occhi vidi arrosolare cinque dei mieicameratisu certe graticolone formate di legno d'albero del ferro. Trovandomipresente a quell'orgia di carneun indiano fu tanto gentile di portarmi unamano semi- bruciatainvitandomi a divorarla.”

- E tu l'hai mangiata! - gridò don Barrejo facendo tre oquattro smorfie di fila. - Puah!...

- Finsi invece di assaggiarlapoi protestai altamente controi cucinierichiamandoli ignari dei piú semplici elementi della culinaria.

“Il cacicoche era un gran buongustaiocome seppidopomi offerse senz'altro la carica di grande cuciniere di corte.

“Ed eccomi all'indomani a cucinar cadaveri dentropentolonicon contorno di patate e di erbe aromatiche.”

- E chi cucinavate? - chiese Mendoza.

- Gli altri cinque miei compagni.

- Fulmini!... Che fegato!...

- Mio carosi trattava di salvare la pellee se non liavessi cucinati ioli avrebbero arrostiti gli altri.

“Il successo fu immensostraordinario. Se quella sera il caciconon morí d'indigestione fu un vero miracolo.”

- Ecco una terribile storia di cannibali!... - esclamò donBarrejo. - ContinuaDe Gussac: questo racconto m'interessa assai.

- L'interesse è terminato- rispose l'ex-taverniere diSegovia. - Per cinque mesi non feci altro che preparare gl'indiani morti negliscontrialcuni alla salsa verdealtri alla rossafinché un giornostanco diquella caricame ne andai.

- Senza il medaglione?

- Era rimasto nelle mani del cacico.

- E tutto finí lí?

- Ho attraversato boschimontagne e fiumisempre spronatodalla paura di venire ripreso e mangiato a mia voltafinché un giorno giunsi aSegovia-Nuovache allora non era che un semplice villaggio e là mi stabilii.

- Queste si chiamano avventureè veroMendoza? - disse donBarrejo.

- Che fanno venire la pelle d'oca solamente a udirleraccontare- rispose il basco.

- Dimmi un po'De Gussachai servito anche qualche mortoagli spagnuoli di Segovia?

- Mi avrebbero già appiccato. OhéMendozae l'arrosto?Non cucinavo cosí io quand'ero fra gli antropofagi del Darien.

“La scimmia deve essere cucinata a puntino.”

Spensero il fuococolle draghinasse vuotarono la buca emisero allo scoperto l'a-jil qualepur essendo un quadrumanespandevaintorno a sé un profumo appetitoso. L'ex-taverniere di Segovia tolse le fogliedi palmizio e la tanto sospirata colazione finalmente comparve.

I tre uomini peròquantunque affamatisi guardarono l'unl'altro ed esitarono ad intaccare l'arrosto.

- De Gussac- chiese don Barrejo- a che cosa ti pare chesomigli questo arrosto?

- Ad uno di quei bambini che cucinavo pel cacico nellefeste di gala.

- Somigli anche al diavolonon sarò io che mi tireròaddietro- disse Mendoza.

Prese la navaja e spaccò l'a-jil qualesembrava piú un essere umano che una bestia.

Vinta la ripugnanza e solleticati dalle erbe aromatiche i trefilibustieri finirono per dare all'arrosto un tale assalto da non lasciare chepoche ossa.

- Mi pare che questa carne fosse molto dura- disse donBarrejo.

- Ah!... Io non me ne sono accorto- rispose Mendoza. - Soche riposa tranquillamente nel mio ventre e che il sacco non è piú vuoto comeprima.

De Gussac approvò con un cenno del capo.

- Possiamo andare? - chiese don Barrejo. - Non scordiamociche abbiamo dietro di noi il marchese di Montelimar e che i nostri compagni sonoforse già giunti al Maddalena.

- Gambe- risposero semplicemente il basco e l'ex-tavernieredi Segovia.

 

 

Capitolo XX

LA VALLE DEI SONAGLI

 

Dall'estremità dell'America meridionale si stende unagigantesca catenala quale forma l'ossatura principale dei due continentipoiché se oltre l'istmo di Panama non si chiama piú la Cordiglierama lamontagna Rocciosaè però sempre la stessa.

Attraverso ai fiumi giganti dei due continentila grandecatena imperaspingendo talora le sue vette all'altezza del nostro monte Biancoed anche molto di piú.

Singolarmente difficile ad attraversarlaquantunque non piúaltissimaè quella parte che si insinua attraverso l'America centrale.

Ancora oggidí è quasi un problema il tentarne la scalatasia da parte dell'oceano Pacifico che dell'Atlanticoperché coperta ancora diboscaglie immensedove i viaggiatori corrono il pericolo di smarrirsi e dimorire di fame.

Al tempo in cui si svolge il nostro raccontole sierredell'istmo offrivano pericoli ben maggioripoiché gli spagnuolisolo occupatinello sfruttamento delle ricchissime miniere d'oro e d'argentodovesacrificavano migliaia d'indianinon avevano aperto nessuna via.

La paura di una invasione da parte dei filibustieridi queiformidabili uomini che avevano distrutta Panamali avevano persuasi a nontoccare quelle boscaglieantiche quasi quanto il mondocredendo che quellebarriere naturali fossero sufficienti a trattenere i loro eterni nemici.

Come si può ben immaginaredon BarrejoMendoza e DeGussacquantunque quest'ultimo fosse fornito d'una piccola bussola e sapesseapprossimativamentedove si trovava il Maddalenasi erano trovati subito comesmarriti in mezzo alle gigantesche foreste vergini che coprivano le ultime cimedella sierra.

Se i grandi desertiarsi perennemente dal soledestanoneiviaggiatori che per la prima volta li attraversanoun senso di sbigottimentose le alte cime coi loro ghiacciai scintillanticoloriti in rosa dai primiriflessi dell'albao di fuoco dagli ultimi raggi del sole tramontantedestanoun senso di ammirazionela foresta vergine invece spaventa addirittura e rendel'uomo continuamente perplessoin preda ad una vera angoscia.

Una vôlta senza finealtissimaformata da foglieper lopiú mostruoseche s'intrecciano le une alle altreinsieme alla moltitudine diliane ricadenti in enormi festonisi stende per miglia e per miglia sopra leteste dei viaggiatoriintercettando quasi completamente la luce del sole.

Una paurosa semi-oscuritàche non si dirada che verso ilmezzodí e solo per qualche oraregna in mezzo a quegli immensi oceani diverzura.

Anche i raggi della luna di rado vi penetranonon esistendoveramente nelle foreste vergini degli squarci che formino radure.

Sotto quegli immensi vegetali regna un'afa che soventeimpedisceo per lo meno rende difficile il respiro. Talora è ardente come sedalle vôlte cadessero vampe di fuoco; per lo piú però è umidasnervanteaccasciante.

Un grande silenzioparagonabile a quello che regna neigrandi desertiimpera durante il giorno; alla notte invece è un concertoorribilespaventosoche non cessa che ai primi albori.

Rospi gigantiinsetti che fischiano come le vaporierecoguari che urlanogiaguari che soffiano e ruggisconolupi rossi che lancianoa piena gola degli ululati lugubriconfondono le loro voci in un frastuonoorrendo.

L'uomo che s'avanza affannosamente attraverso a quelle selvesenza finequasi asfissiato dalla povertà dell'arianon è sicuro di faredieci passi senza correre il pericolo di lasciarvi la pelle.

Sono i rettiliquelli velenosiche piú spaventanopoichésorgono improvvisamente sotto un ramo mortosotto un gruppo di foglie secche oin decomposizione e attaccano ferocemente il povero passanteil quale non ha dafare altro che sdraiarsi sotto una pianta e attendere la mortela quale d’altrondenon tarda a sopraggiungere.

Le formiche termiti in seguito passanospolpano il cadaveree lasciano uno scheletro perfettamente denudatoche potrebbe fare ottima figurain un museo o in una scuola d'anatomia.

E non basta ancora. Ben altri pericoli si celano sotto leforeste vergini. Là è il vampirouna specie di pipistrellogrosso quanto ungattoche attende che il viandantestanco morto dalla lunga marciasi siaaddormentatoper fargli un'abbondante cavata di sangue; piú oltre vi sono leorribili migali gigantinon meno assetate di sanguesempre all'agguato sultronco d'una pianta; piú innanziquando la foresta diventerà umida epantanosamigliaia e migliaia di mignatte sbucano da tutte le partimordendoferocemente.

Tali sono le delizie delle grandi foreste verginisianoamericaneafricane o asiatiche.

I tre avventurieripur sapendo a quali pericoli andavanoincontrospronati anche dalla paura di venireda un momento all'altroraggiunti dal terribile marchesemarciavano affannosamentesempre avvolti inuna semi-oscurità crepuscolare che non permetteva loro di poter scorgere subitogli agguati delle belve.

La prima marcia li portò fino alla cima della sierrama là sostaronodichiarandosi tutti impotenti di mettere un piede dinanziall'altro.

- Corpo dei cento tuoni del mar di Biscaglia!... - esclamòdon Barrejoil quale conservava sempre un umore eccellente. - Pare che siamoinvecchiati mio caro Mendoza.

“Dove sono le corse che abbiamo fatto col conte diVentimiglia fra le selve di Sandomingo?

“Quelle si chiamavano veramente marce e si resisteva!”

- Per paura di farsi mordere le gambe dai mastini- risposeil basco. - Ce ne avevano sguinzagliati contro!… Ti ricordi?

- E quicompare bascovi sono le palle che ti possonosorprendere da un istante all’altro e produrre delle ferite ben piú gravi.

- Finché non le udrò fischiareio non mi muoverò-rispose Mendoza.

- E per ora nemmeno ioaggiunse De Gussac. - Abbiamo giàguadagnate le cime della sierra e penso che possiamo prenderci un po' diriposo e possibilmente prepararci la cena.

- Oh!... I ghiottoni!... - gridò don Barrejo. - E lascimmia?

- Non me la ricordo piú- rispose Mendozaridendo.

- Anche a me è venuta in mente solamente ora. Diavolo!...Che cosa offrirvi?

- M'incarico io della cucina- disse l'ex-taverniere diSegovia.

- Il furbo!... - esclamò don Barrejo. - Ma giacché mi avetenominato grande provveditore dei vostri stomachi senza fondospetta a me diriempirvi il sacco.

“Bah!... Chissà che non trovi un'altra scimmia. VuoiaccompagnarmiDe Gussacse ti resta ancora un po' di forza? Mendoza intantoaccenderà il fuoco.”

- Per mille passi ci sto ancora- rispose l'ex-tavernieregettandosi in ispalla l'archibugio.

- Anche il mestiere del provveditore comincia a diventarepesante. Il peggio è che temo di non potervi offrire altro che degli avvoltoi.

- Dove sono? - chiese De Gussac.

- Poco famentre ci aprivano il passo fra le grandi macchiene ho veduti parecchi volar via.

- Buon segno.

- Perché?

- Vi deve essere qualche bestia morta.

- Signor cuocospero che non ci cucinerete delle carogne.Qui non siamo fra gli antropofagi del Darien- disse don Barrejo.

- L'animale può essere morto di recente- risposel'ex-taverniere. - Andiamo un po' a vedere che cosa divorano quegli avvoltoi.

“Il fuocoMendoza: noi non torneremo a mani vuote.”

Diedero uno sguardo alla bussolapoi si ricacciarono sottole infinite arcate della forestaprocedendo con prudenza.

Un animale doveva essere morto in qualche luogopoiché siudivano i volatili gridare come se fossero impazienti di dilaniare la preda.

Percorsi due o trecento passii due avventurieri scorsero ungruppo compatto di avvoltoi aurabruttissimi volatiligrossi come tacchinicolle piume grigie-oscuregli occhi rossi ed il becco bianco.

- Li vedi? - chiese don Barrejo a De Gussac.

- Sìe ti avverto di guardarti anche da loro- risposel'ex-taverniere di Segovia.

- Hai paura che ci assalgano? Non sono già dei condor.

- Non l'oserebbero; hanno però la pessima abitudinequandosi vedono disturbatidi vomitare addosso ai cacciatori il cibo che stannodigerendo e ti garantisco che non è mai profumato.

- Oh!... Brutti porci!... Farò fuoco su di loro da lontano.

Don Barrejo però nemmeno quella volta ebbe occasione diconsumare una carica di polverepoiché gli avvoltoiscorgendo i duecacciatoripreferirono di alzarsi e di scomparire attraverso uno squarcio dellaforesta.

Certi di trovare qualche animalemorto o moribondopoichéquei feroci e avidissimi volatili assalgono anche le bestie che non si possonodifenderei due avventurieri si spinsero innanzi e ben presto scorserodistesoalla base d'una palma enormeun corpaccio che nelle forme rassomiglia ad unmaialeessendo coperto egualmente di setolema molto piú grosso.

- Un tapiro!... - aveva esclamato De Gussac. - Quanti ne hoammazzatiquando mi trovavo fra gl'indiani!...

- Uno strano animaleche vive sempre solitario nel piúfitto delle forestee che come vediha per naso una specie di tromba dellaquale si serve per scavare le radici.

- Che sia stato ammazzato da molto tempo?

- Io non sento alcun odore sgradevole. Provati a tastare lesue carni.

“La sua pelle è ben tesa.”

Don Barrejo affondò le mani nel corpaccio dell'animale ecadde bocconi fra un crepitío di ossa. Nel medesimo tempo che la massa cedevacome fosse internamente vuotatre o quattro strani esseri sfuggirono sotto lapelle cercando di battersela.

- Acchiappa!... Acchiappa!... - aveva gridato l'ex-tavernieredi Segovia.

Don Barrejoil quale si era prontamente alzatobalzòinnanzi e si precipitò coll'archibugio alzato verso i quattro animalettinonpiú grossi d'un coniglioe che invece di pelame avevano certe scaglie snodated'una tinta giallastrache parevano pronte a sovrapporsi le une alle altre.

Il terribile guascone si preparava a massacrarli a colpi dicalcio d'archibugioquando gli animaletti si fermarono e si arrotolaronoformando quattro palle ossee.

- Ohébestiacce!... - gridò. - Che giuoco mi fate ora?

Cominciò a picchiare e s'accorse ben presto che non riuscivaassolutamente a nulla. Quelle scaglie offrivano una resistenza tale da metterein grave pericolo il calcio del fucile.

- EhiDe Gussac!... - esclamò don Barrejo. - Ne avrò permolto? Questi mostriciattoli non vogliono snodarsi.

L'ex-taverniere rideva a crepapellesenza muoversi.

- Birbante!... Ti diverti a vedermi sudare?

- Lascia andaredon Barrejo. I tatúmio carohannodelle piastre ossee quasi a prova di palla.

- E vuoi lasciarli andare?

- Niente affatto amicopoiché sono eccellenti come letartarughe di terra.

- Tatú!...

- Chiamalise ti piace meglioarmadilli.

- Ora ho capito. Ho veduto qualcuna di queste bestie aPanama.

“Come faremo a portarle via?”

- Le porteremo a mano e le getteremo sul fuoco per farlefriggere nel loro grasso.

- Vorrei però sapere da teche mi sembri molto istruitoche cosa facevano queste bestie dentro la pelle di quel tapiro.

- Vediquesti tatú si nutrono di carognené piúné meno degli avvoltoi aura e dei condor.

“Quando trovano un animale mortovi si cacciano dentroeda poco a poco se lo divoranonon lasciando intatte che le ossa e la pelle.”

- Dunque quel bestione dal naso lungo non aveva piú carnedentro di sé?

- Nemmeno una briciola- rispose De Gussac.

Don Barrejo si tirò i baffi e guardò l'ex-taverniereilquale teneva d'occhio i quattro armadilli perché non prendessero la fuga.

- Che cosa finirai per farci mangiaretu?

- Chi rifiuterebbe un tatú ben arrosolato nel suograsso?

- E nutrito di carne putrida. Devono avere un saporedetestabile.

- Io ti proverò il contrario.

- Io credo che finiremocon teper mangiare anche deiserpenti- disse don Barrejo.

- Oh!...Ne servivo sovente al cacico e non l'ho maiudito lamentarsi.

- Tonnerre!... Che stomaco doveva avere quell'indiano.Tirava giú i sonagli come i maccheroni.

- Senza testa però. Prendi i tatúprima che snodinole loro piastree torniamo al campo.

“Mendoza può essere inquieto.”

Raccolsero i quattro tatúi quali si tenevanoostinatamente sempre avvolti su se stessi come porci-spinie ripresero la viadel ritornoosservando attentamente i segni che avevano fatti sul tronco deglialberisempre a destrain modo da potersi guidare a sinistra. Trovarono ilfuoco acceso ed il basco coll'archibugio puntatocome se si preparasse a farfuoco.

- Spari ai pappagalli? - chiese don Barrejosemprescherzando.

- Quello che è venuto a ringhiarmi quasi sul visomentrestavo raccattando dei rami secchiera un certo pappagallaccio da spaventareanche un guascone.

- Dovevi ammazzarloscuoiarlo e metterlo sui carboni. Chebella sorpresa per della gente affamata!...

- Va' tu a prenderlo per la coda.

- Sentiamo- disse De Gussac- che statura aveva?

- Quella d'un mastino.

- Ed il pelame?

- Fulvo.

- Ho capito: si trattava d'un leone americanoleone per mododi direperché non assomiglia affatto a quelli dell'Africanon avendone néla staturané la forzané la criniera.

- Sono pericolosi? - chiese il terribile guasconeche sisentiva in vena di battagliare.

- Quantunque di piccola moleassaltano talvolta perfino gliuominicon un coraggio che non sempre possiede il giaguaro.

- È scappato?

- Vi ha uditi giungere e si è ricacciato nella foresta. -rispose Mendoza.

- Buon viaggio. - disse don Barrejo. - Se verrà a disturbarela nostra cena avrà il suo contocorpo d'un cannone!...

“Ehigrande cuciniere degl'indiani antropofagioccupatiun po' di queste bestioline che non vogliono saperne di aprire le scaglie.”

- È subito fatto- rispose l'ex-tavernieregettando iquattro tatú in mezzo alle fiamme. - Si cucineranno benissimo dentro iloro guscisenza perdere troppo grasso.

“Se starai un mese sotto di me diventerai anche tu ungrande cuciniere.”

- Sídi scimmie e di mangiatori di carogne- rispose ilterribile guascone. - Ci vuol poco ad imparare un simile mestiere.

- Intanto però fiuti il profumo squisito che tramandano queidivoratori di carogne.

- Sento bruciare solamente delle ossa.

- Aspetta un po’impaziente.

De Gussac stava per rivoltare i tatú per mezzo d'unrandelloquando Mendoza disse:

- C'è un altro individuo che reclama la sua parte.

- Chi? - domandò don Barrejo.

- L'animalaccio che poco fa mi ha visitato.

- Dov'è questo ospite da nessuno richiesto?

- Guardalo làpiantato su quel ramo. Il profumo degliarmadilli lo ha fatto ritornare.

- E le nostre palle calmeranno la sua fame- rispose ilterribile guascone. - Signor ghiottonese vuole farsi avantisiamo pronti afare la sua conoscenzae senza tremare.

Il coguarouno splendido animaleben piú grosso di quellisolitisi teneva accovacciato su un ramo di nocilasciando pendere la coda.

All'invito del guascone sbadigliòmostrando una dentaturasuperba e non si mosse.

- Che sia sordo? - disse De Gussac.

- Da un orecchio di certo- rispose don Barrejo. - Sipotrebbe fargli provare un colpo dei nostri archibugi.

Come se si fosse accorto della minacciail coguaro spiccòin quel momento un gran salto e scomparve nel folto della foresta.

- È un pauroso- disse don Barrejo. - Lasciamolo andare edoccupiamoci della cena.

“Se tornerà a disturbarci gli faremo capire che noi siamopersone che se ne ridono di tutte le bestie feroci del mondo.”

Spaccarono colle draghinasse le scaglie dei quattro tatúe si misero a lavorare di dentisenza piú occuparsi del coguaro.

Avevano appena terminatoquando udirono un fruscío difrondee come un passo accelerato. Pareva che qualcuno scendesse da sierraa corsa disperata.

- Badate!... - aveva gridato don Barrejo.

Tutti tre erano balzati in piedicogli archibugi armatitemendo una sorpresa da parte degli spagnuoli.

Il fruscío continuava. Un uomo sfondava le fronde peraprirsi il passaggio attraverso a quei foltissimi vegetali.

Ad un tratto un cespuglio si piegò in dueed un indianodistatura altacogli zigomi assai prominenti e la capigliatura foltissimacomparvefissando sui tre avventurieri i suoi occhi nerissimiche tradivano unestrema angoscia.

- Compare- gli disse don Barrejo- se siete un amico nonavete nulla da temere da parte nostra. Favorite quindi avanzarvi.

L'indianovedendo gli archibugi abbassarsifece alcunipassi innanzipoi mise un ginocchio a terra tendendo le sue bracciagraziosamente tatuate e cariche di monili d'oro.

- Amigo- disse.

- Alloraavanzati ancora. Da dove vieni? T'inseguivaqualcuno?

- Volete un consiglio? - disse l'indiano. - Fuggite senzaperdere un istanteod i Tasarios vi piomberanno addossovi faranno prigionierie vi mangeranno.

L'indianoche era un bel giovane di forse trent'annisiesprimeva benissimo in lingua spagnuolalingua già ormai quasi adottata damolte tribú.

- Chi sono questi Tasarios? - chiese Mendoza.

- Dei mangiatori di carne umana. Sono sfuggito loro per unpuro casoperò vi posso dire che m'inseguono.

- Non ci mancava altro- disse don Barrejo. - Ecco un altrobrutto affareda nessuno richiestoche ci piomba addosso.

“Tua quale tribú appartieni?”

- A quella del Gran Cacico del Darien- rispose l'indiano.

I tre avventurieri avevano mandato un grido di sorpresa edinsieme di gioia.

- Vieniamico- disse don Barrejo. - Ci spiegheremo megliopiú tardi.

“Tu conosci queste foreste?”

- Come le mieperché le ho percorse per parecchi anni.

- Non vi sarebbe un asilo in questi dintorni?

L'indiano rifletté un momento poifacendo un gestoenergicorispose:

- Io vi condurrò in un luogo ove i Tasarios non potrannoraggiungerci.

“Sono già in marcia: io li sento.”

I tre avventurieri non ne vollero sapere di piú pel momentoe si misero dietro all'indianoil quale scendeva la sierra con passoceleresenza mai esitarequantunque la grande foresta vergine continuasseancora.

Una mezz'ora dopoi fuggiaschi giungevano all'entrata di unprofondo cañonossia d'una stretta valleanche quella coperta da unaprodigiosa quantità di vegetali.

- Scendiamo all'inferno? - si chiese don Barrejo.

- Silenzio- disse l'indiano. - È pericoloso parlare.

- Temi l'assalto di qualche bestia feroce?

L'uomo rosso scosse il capo e si mise un dito sulle labbracome per invitarlo a non aprire piú la bocca.

Quel cañon sembrava una tenebrosa ed interminabilegalleriapoiché le immense piante che crescevano sui suoi marginiintrecciavano in alto strettamente i loro rami e le loro foglie.

Un silenzio impressionante regnava fra quell'oscurità.

L'uomo rosso continuava la sua marciafermandosi solodiquando in quandoad ascoltare.

I tre avventurieri però si erano accorti che lanciavacontinuamente de gli sguardi inquieti a destra ed a sinistracome se temesse unimprovviso attacco o da parte dei Tasarios o di animali pericolosi.

- Silenziosilenzio- ripeteva- e soprattutto non faterumorese vi preme salvare la vita.

- Dove vede tutti questi pericoli quest'animale dipelle-rossa? - borbottava don Barrejo. - Non vi è nemmeno un mosquitoed a udir lui si direbbe che qui si sono radunate tutte le belve che abitanol'America centrale.

Invece Mendoza e De Gussacche conoscevano megliogl'indianilo seguivano senza mormorarecercando di fare meno rumore che erapossibile.

Pensavano che se l'uomo delle foreste agiva cosídovevaavere i suoi motivi.

Un'altra ora trascorsepoi l'indiano si fermò sotto unfoltissimo simarubapianta di dimensioni enormie dei cui fiori sonoghiottissime le testuggini terrestri.

Infatti basta scavare la terra presso le radici per trovarnequasi sempre.

- Dammi la tua navaja per un momento solo- disse adon Barrejo.

- Chi hai da sbudellare? - chiese il guascone.

- Nessunoper ora. Mi occorre per fabbricarmi un flauto.

- Vuoi offrirci un concerto?

L'indiano lo guardò con un certo stuporepoi scuotendo lafolta e lunga capigliatura intrecciata con delle sottilissime lianedisse:

- I Tasarios vengono.

- Ce lo hai già detto una mezza dozzina di volte e nonabbiamo ancora veduto volare una sola freccia.

- Io li sento.

- Tonnerre!... Nemmeno io sono sordoeppure non odoche stormire le fronde.

- Salite su questa piantauomini bianchi- disse l'indianocon accento imperioso. - Intorno a voi vi è la morte.

- Hai capitoMendoza? - chiese don Barrejo.

- Ed allora obbediamo. Quest'uomo rosso saprà il perchévuole mandarci in alto.

- Io però non ho capito finora assolutamente niente. Orsúproviamo se i muscoli sono sempre in ottimo stato.

Mentre i tre avventurieri si aggrappavano ai festoni di lianependenti dagli enormi ramil'indianocon un colpo di navajaavevareciso un bambú di mediocre grossezzapoi a sua volta aveva dato la scalata alsimarubadimostrando un certo terrore.

- To'!... - disse l'eterno chiacchierone. - Mi hai una facciapunto tranquilla e ti prepari a fabbricarti una trombetta!... Come sono curiosiquesti indiani!...

- Varrà meglio delle tue canne da fuoco- rispose ilselvaggioil quale continuava il suo lavoro. - Fra poco lo vedrai.

- Aspettiamo dunque- disse il terribile guascone.

Quando il piccolo istrumento musicale fu terminatol'indianolo imboccò e trasse alcune note.

Un momento dopoin mezzo ai cespuglisotto le fogliesecchefra le enormi radici degli alberisi udirono suonare come deisonagliuzzi.

- Lampi!... - esclamò don Barrejo. - Questi sono serpenti asonagli.

- E la valle ne è piena- disse l'indiano. - Questeterribili bestie arresteranno la corsa dei Tasarios.

“Non si tratta che di trarli dal loro letargo e di metterliin marcia.”

- Bell'affare se noi scendevamo attraverso questo cañonè vero De Gussac?

- Ringrazia quest'uomo a cui noi tutti dovremo la vita-rispose l'ex-taverniere di Segovia.

- Dinanzi a lui mi levo tanto di cappello.

- Ed io perfino la casacca- aggiunse Mendoza.

- Ecco un saluto che quest'indiano apprezzerà probabilmentepiú del mio.

- Per tutti i tuoni del mar di Biscaglia!... Hai preso lalingua di tua moglie prima di lasciare Panama? Chiacchieri semprecome dieciscimmie rosse.

- Me l'avrà prestata senza che io lo sappia- rispose ilterribile guasconeridendo.

- Ah!... Ridi!... Vorrei vederti là in mezzo che boccacciefaresti. Eccoli che giungono e s'avanzano a battaglioni.

I velenosissimi crotaligalvanizzati improvvisamente dallenote strane che l'indiano cavava dal suo flauto primitivosi erano comeirregimentati nel fondo del cañonmettendosi in marcia.

- Solamente a vederli fanno sudare freddo- disse donBarrejo.

L'indiano staccò un momento il flauto dalle labbra e disseagli avventurieri:

- Non vi occupate di meper ora. Devo condurre la truppaedalla loro marcia dipende la vostra salvezza.

- Dove vai? - chiese Mendoza.

- Incontro ai Tasarios.

- Vengono? - chiese don Barrejoironicamente.

- Ci sono vicini.

- Allora buona passeggiata fra i serpenti.

S'ingannava. L'indianoquantunque dovesse essere unincantatore di rettilinon aveva alcun desiderio di offrire le sue gambe ailoro morsi.

Si spinse lungo un ramopoi balzò verso un ammasso dipassiflore sospese ad una palma e si allontanòcominciando una vera marciaaerea. Di quando in quando il suo flauto echeggiavamettendo un certo malesserenei tre avventurieripoi taceva per qualche minuto per farsi udire piúlontano.

I crotaliattrattiaffascinati da quelle notecontinuavanoa calare nel fondo del cañonoccupandolo interamente.

Perfino dalle spaccature dei vecchi alberi ne uscivano adozzinelasciandosi cadere addosso ai compagni.

I tre avventurieri assistevanoin preda ad un violentoterrorea quella formidabile emigrazione. Come mai si erano radunati in quellavalle tenebrosa tanti rettili? Forse nemmeno l'indiano avrebbe potuto dirlo.

I battaglioni intanto continuavano sempre la loro marciarisalendo la vallecon uno strano ed impressionantissimo rumore di sonagli.Pareva che fossero stati presi da una vera furia di correrepoiché sisaltavano gli uni addosso agli altri per andare piú innanzi e non perderenessuna delle note dell'indiano.

D'improvviso la musica cessò.

I crotalinon piú aizzatisi alzarono ondeggiando le loroteste e scuotendo impazientemente le loro code sonorepoi si lasciarono caderenel fondo del cañon.

- Tuttociò è spaventoso- disse don Barrejo. - Preferireicombattere contro cento spagnuoli.

“E perché l'indiano tace ora?”

- Egli deve aver già veduto i Tasarios- rispose Mendoza.

- Veduti o uditipoiché è un paio d'ore che continua asoffiarmi negli orecchi che li sentiva.

“Un paio d'orecchi li posseggo anch'iodiavolo!...”

- Ed ora che cosa succederà?

- Una cosa semplicissima. I crotali arresteranno di colpo lamarcia degli antropofagi.

- Uhm!... - fece don Barrejo. - Purché quei furfanti nonmangino anche i serpenti velenosi senza crepare!...

 

 

Capitolo XXI

L'ATTACCO DEGLI ANTROPOFAGI

 

L'udito finissimo del selvaggioabituato a raccogliere ipiú lontani rumori della forestapurtroppo non aveva sbagliato.

I mangiatori di carne umana calavano a torme lungo il cañonbattendo furiosamente le une contro le altre le loro mazze di legno sonoro.

Pareva che ci tenessero molto a riavere il loro prigionierodestinato a figurare in qualche gran banchettoforse con un contorno di banani.

La loro furia doveva però rompersi contro la moltitudine dicrotalii quali tappezzavano tutto il fondo della vallein attesa di mordere.

Il guerriero del gran Cacico del Dariendopo d'averlicondotti innanzi per due o trecento passibalzando di ramo in ramoeraritornato verso gli avventurierii quali si trovavano tutt'altro chetranquilli.

Quel fragore di mazzeaccompagnatodi quando in quandodagrida ferociaveva prodotto una profonda impressione sull'animo di tutti.

Perfino don Barrejo aveva perduto il suo eterno buon umore.

- Siete persuaso ora che mi davano la caccia? - chiesel'indiano al guascone. - Udite!...Udite!...

- Sembrano bestie feroci e non uomini- rispose don Barrejo.- Da dove sono sbucate quelle canaglie?

- Vi sono delle tribú sull'alta sierra e tuttedivorano i prigionieri di guerra.

- Ecco una bella occasione per teDe Gussac. Giacché collatua arte culinaria hai salvato una volta la pellecerca di mettere in salvo oraquella dei tuoi camerati. Va' ad insegnare anche a loro come si cucinano icadaveri in salsa bianca o verde.

L'ex-taverniere di Segovia fece una smorfia.

- Non si può avere due volte la medesima fortuna epreferisco rimanere quifra voidietro ai serpenti a sonaglio- disse poi. -Mi sento piú sicuro.

- Pensi alla tua panciabriccone!...

- Silenzio- disse l'indiano.

Il frastuono orrendo che poco prima faceva rintronare lagolaera improvvisamente cessato. Le mazze non suonavano piú l'attacco e tuttele bocche erano diventate mute.

- Sono alle prese coi crotali- disse Mendozail qualeallungato su un ramocercava distinguere qualche cosa fra quella piú chesemi-oscurità.

- Speriamo che quei maledetti rettili mordano bene- dissedon Barrejo.

L'indiano fece loro cenno di tacereimboccò il flauto e simise a suonare precipitosamentebattendo il tempo con le gambe e coibraccialetti.

Udendo quella musica i crotaliche pareva si fosseronuovamente assopitialzarono le teste e si spinsero innanzifischiandorabbiosamente.

Quanti erano? Delle centinaia e centinaia di certopoichéformavano una vera colonnauna colonna spaventosaperché satura del piúterribile veleno.

- Mi fanno venire freddo- disse don Barrejo. - Suall'attaccomostriciattolie spazzate via tutto.

I Tasariosdopo un breve silenziosi erano rimessi a urlareed a battere le mazze.

La battaglia doveva essere cominciatafra i terribilirettili dal morso che non ha rimedio ed i mangiatori di carne umana.

Di quando in quando si udivano fischiare delle frecceattraverso gli alberi.

Dei colpi sordi echeggiavanoriempiendo il cañon distrani fragori: erano le mazze sonore che picchiavano contro le pietre per fareindietreggiare i serpenti a sonagli.

I tre avventurieri e l'indianorannicchiati sul simarubafrondoso che li rendeva invisibiliascoltavano con ansietà crescente.

Resi furiosi da quell'attaccotutte le falangi dei rettilisi spingevano innanziimpazienti di mordere.

I piú robusti passavano sopra i piú deboli e correvanocoraggiosamente in aiuto dei compagni massacrati dalle mazze dei cannibali.

La battaglia non durò che pochi minuti: e la vittoriacomel'indiano aveva previstorimase ai serpentile cui colonne non si erano apertedinanzi a nessun sforzo.

Si udirono le urla dei Tasarios allontanarsi verso l'alto cañonperò una voceche pareva il muggito d'un toroaveva gridato in una lingua chesolo l'indiano aveva compresa: - Ti mangeranno egualmente.

- Le tue carni devono avere un sapore speciale- disse donBarrejoquando gli fu tradotta la minaccia. - Non valeva la pena di muovere unaintera tribú per prendere un solo arrosto.

“Che mantengano la promessa?”

- I Tasarios non ci daranno tregua- rispose l'indianoilquale appariva preoccupato.

- Cerchiamo di raggiungere al piú presto il Maddalena e discenderlo fino alle grandi cascate.

- È quella la nostra via- disse Mendoza. - Abbiamo laggiúmolti compagni che ci aspettano per guidare la nipote del Gran Cacico del Darienche le tribú aspettano.

“Hai udito parlare tu di quella fanciullanata da un uomobianco e da una figlia del capo?”

L'indiano aveva guardatocon vivissimo stuporei treavventurierifacendo dei gesti di sorpresa.

- Sareste voi- chiese- gli uomini che dovevano veniredalla parte ove il sole tramonta e scortare la nipote del Gran Cacico?

- Sisiamo noi- rispose Mendoza.

- Gli spagnuoli ci hanno separati dai nostri compagnima noiritroveremo sulle rive del Maddalenapresso le cascatela fanciulla a cuispetta l'eredità del defunto capo.

- Pare che sia grossaè vero? - chiese don Barrejo.

- Vi sono tre caverne piene d'oro.

- Con un po' di quelle pepite aprirò un vero albergocorpodi un cannone.

- Lasciami parlarecompare- disse Mendoza. - Desiderochiarireinnanzi tuttoun punto oscuro.

“Il Cacicoprima di morireaveva mandato un uomo bianconei lontani paesi d'oltremare per condurre qui sua nipote?”

- Sí- Rispose l'indiano.

- È tornato?

- Ed è stato anche mangiato- rispose il selvaggio. -Quell'uomoche si era accaparrata la fiducia del Cacicopretendevad'impadronirsi dei tesoriminacciandoin caso di rifiutouna invasione dispagnuoli. Diventato insopportabilel'abbiamo preso e messo alla graticola perordine del tuscan.

- Chi è questo signore? - chiese don Barrejo.

- Il mago o stregone della tribú- rispose Mendoza.

- Corbezzoli!... Un pezzo grosso!...

- E poi che cosa è successo? - chiese il basco.

- Il tuscanvedendo che l'uomo bianco volevaimpadronirsi dei tesoricome vi dissilo fece prendere e mettere allagraticola.

- Benissimo!... - esclamò don Barrejo. - È la pena giustadei traditori.

- E poi? - riprese Mendoza.

- Delle voci vaghe erano giunte fino alle nostre tribúedannunciavano l'arrivo di una grossa banda d'uomini bianchi che si ritenevanonostri amici.

“Il tuscan che aveva invece tutto da temere da partedegli spagnuolilanciò dei corrieri in tutte le direzioniaffinché liavvicinassero e si accertassero se la nipote del Gran Cacico si trovavaveramente fra di loro.”

- Seppero almeno qualche cosa? - chiese il basco.

- Che una truppadopo d'aver lungamente battagliato coglispagnuoli intorno a Segovia-Nuovas'avanzava verso il Maddalena.

- È lontano il fiume?

- Appena una giornata di marcia- rispose l'indiano.

- E tu hai veduto quegli uomini?

- Noperché i Tasariosmentre esploravo la sierrami hanno catturato. Devo alla buona robustezza delle mie gambe se sono riuscitoa sfuggire alla morte.

- EhiMendozane sappiamo abbastanza ora- disse donBarrejo. - Non si potrebbe andarseneprima che i crotali si risveglino?

- L'indiano saprà riaddormentarlise vorrà- risposeMendoza.

- Ora che sono tutti dinanzi a noinon abbiamo piú nulla datemerepoiché formano come una barriera insuperabile fra noi ed i mangiatoridi carne umana.

- Fermeremo anche il marchese di Montelimar?

- Toh!... - esclamò don Barrejo. - Mi ero dimenticato diquel terribile uomo. Dove sarà rimasto costui?

- Noi siamo degli stupidi- disse De Gussac. - Stiamo qui achiacchierarementre forse a quest'ora spagnuoli ed antropofagi si preparanodi comune accordoa darci la caccia.

“Le due razze vanno spesso assai d'accordo.”

- Ed è proprio vero- disse Mendoza. - I discendenti dei conquistadoresli hanno talmente terrorizzatiche basta che vedano un elmetto spagnuolo perdichiararsi schiavi.

“Non valeva la penain fondoche i filibustieriintraprendessero tante meravigliose imprese per vendicare degli esseri ormaiabbrutiti.”

L'indiano si era alzatotenendo in mano il flauto.

- Il tempo vola- disse- ed i Tasarios potrebbero girarepiú sopra il cañon.

- Io avevo già dimenticato che le mie magre membra correvanoil pericolo di finire sulla graticola- disse don Barrejo. - La vitadell'avventuriero diventa troppo dura al giorno d'oggi.

- E si rimpiange sempre la cantina d'El Moro e labella taverniera- disse Mendoza.

- Può darsima don Barrejoda buon guasconenon loconfesserà mai.

L'indiano aveva fatto un moto d'impazienza.

- Veniteuomini bianchi- dissecol suo solito accentoimperioso. - La morte può essere piú vicina di quello che credete.

- Hai ragionecompare- rispose don Barrejo. - Noi siamouna massa di chiacchieroni.

“Ed i serpenti a sonagli?”

- Non si sveglieranno finché non lo vorrò ioe siccome perora non lo desideroli lascerò dormire.

Si aggrapparono alle liane e si lasciarono scendere fino aterra.

I serpenti sonnecchiavano gli uni addosso agli altrisenzamuoversi e senza sibilare. Cessato l'attaccosi riposavano tranquillamenteinattesa d'un altro risvegliopiú terribile forse del primo.

L'indianoappena a terraappoggiò un orecchio al suolo esi mise ad ascoltare con grande attenzione.

- Odi sempretu? - chiese don Barrejoironico.

- Sempre- rispose l'indiano.

- Tonnerre!... Tu devi avere gli orecchi del PadreEterno!... Non credi che si siano allontanati i mangiatori di carne umana?

- Sospetto che abbiano presa un'altra via per tenderci unagguato all'uscita del cañon.

- Le loro frecce sono avvelenate? - chiese Mendoza.

- No.

- Allora possiamo battagliare. L'archibugio ha ammazzato ildardo.

Pur discorrendoscendevano a precipizio il cañonilquale diventava di momento in momento piú ripido.

Alberi ve n'erano dovunque ed intralciavano talvolta lamarcianondimeno i tre avventurieri e l'indiano continuavano la loro rapidaritirataspinti dalla paura di doversi trovareda un istante all'altrodinanzi ai mangiatori di carne umana.

Il cañon a poco a poco si allargava e lungo i suoifianchi si udivano scrosciare numerosi torrenti che una vegetazione intensagigantescarendeva assolutamente invisibili.

La luce cominciava a penetrarepoiché i grandi alberi checrescevano sulle due costenon potevano piú incrociare i loro rami e le lorofoglie.

Quella corsacondotta con crescente rapidità dall'indianodurava da un paio d'orequando i quattro uomini si fermarono di comune accordo.

In mezzo alle grandi foreste che si stendevano a destra ed asinistra del cañonavevano udito squillare una trombetta.

- Gli spagnuoli? - aveva chiesto don Barrejoguardandol'indiano.

- No- disse questiscuotendo il capo e facendosi oscuro inviso- questa tromba io l'ho udita suonare presso i mangiatori di carne umana.

- La caccia diventa interessante.

- Ed anche estremamente pericolosami pare- aggiunse DeGussac.

- Sono dunque passati i tempi nei quali gl'indiani fuggivanosempre e si lasciavano prendere due imperiquello del Perú e quello delMessicoda pochi avventurieri?

- Purtroppo sono diventati battaglieri anche essi- disseMendoza.

- Eh!... Avrebbero potuto aspettare qualche secolo ancora!

In quell'istante l'indiano si fermò nuovamente e andò adappoggiare un orecchio prima contro la costa sinistrapoi contro quella didestra del cañon.

- Ecco un uomo prodigiosoche ode e sente sempre- ripresel'incorreggibile chiacchierone. - Ora verrà a raccontarci che ci sono giàaddosso.

L'indiano era tornato verso di loro e non aveva detto che unaparola:

- Fuggite!...

- Alloragambe! - disse don Barrejo.

Si slanciarono a corsa disperata lungo il fondo del cañoncosparso di macigni trasportati dalle acque e di cespuglicercando didistanziarepiú che era possibilei pericolosi mangiatori di carne umana.

Non avevano però ancora percorsi cinque o seicento metriquando una freccia passòsibilando sinistramentesopra le loro teste.

- Eccoli!... - gridò De Gussac.

Don Barrejo si volse e puntò l'archibugio verso un enormeammasso di passiflore. Cercò un po’ cogli sguardipoi premette il grilletto.

La detonazione fu seguita da un grido. Un selvaggio cheteneva ancora l'arco in mano venne a rotolare fino in fondo al cañonfracassandosi il capo contro le pietre.

- Via!... Via!... - disse don Barrejocercando di ricaricarel'arma. - Se non usciamo da questa maledetta vallenoi corriamo il pericolo difinire davvero sulla graticola.

“È lontano lo sbocco?”

L'indianoa cui era rivolta la domandafece un cennonegativo.

- Noi siamo degli stupidi- disse il basco. - Giacché iselvaggi scendono lungo la costa di ponentenoi montiamo quella di levante eprendiamo posizione.

“Se si raggruppano ci massacreranno a colpi di pietra.”

- È quello che volevo proporvi- rispose l'indiano. - Sonosicuro che i mangiatori di carne umana non tengono che una costa del cañon.

- Montiamo dunque- disse De Gussac. - Ci vedremo meglio.

Si aprirono frettolosamente il passo attraverso quell'ammassodi piante che copriva il fianco interno della vallee dopo pochi minutiraggiungevano la grande foresta.

Erano appena salitiquando una tempesta di pietre sceselungo il cañon con un fracasso indiavolato.

Quasi nel medesimo tempo delle freccie furono lanciate soprala vallettain direzione dei fuggiaschisenza però riuscire a raggiungerliessendo ormai fuori di portata dagli archi.

Venti o trenta indiani erano subito comparsi sull'oppostaparete del cañonmandando urla spaventevoli.

Erano tutti di alta staturaquantunque molto magriavevanole teste coperte di piume variopintee le braccia e le gambe adorne dibraccialetti d'oroprobabilmente purissimo.

Dei tatuaggi straniche dal petto salivano fino alla facciaa diverse tintedavano loro un aspetto poco gradevole.

Mentre alcuni erano armati di archialtri sbatacchiavanofuriosamente le loro mazze di legno sonorocantando nel loro barbarolinguaggio:

- Vi mangeremo! Vi mangeremo!

- Hai capitoMendozache cosa dicono quelle scimmie rosse?- chiese don Barrejo al bascodopo che l'indiano del Darien gli ebbe tradottequelle parole poco rassicuranti.

- Non sono sordo- rispose il filibustiere. - Pare che citengano ora ad avere delle bistecche di carne bianca.

“Forse non ne hanno mai assaggiate.”

- Non restiamo inoperosiamici. Giacché quei selvaggi sipresentano bene ai nostri colpitentiamo di spaventarli con una scaricameravigliosa.

“Io sono sicuro del mio colpo.”

- Ed anche noi- risposero il basco e De Gussac.

- Se non ci facciamo temereli avremo alle costole fino alMaddalena.

In quel momento una raffica violenta passò sulla grandeforestasenza che nessun indizio l'avesse annunciatatorcendo i grossi rami eululando sinistramente in mezzo al fogliame.

- Che cosa c'è dunque ora? - chiese l'eterno chiacchierone.

- Il tempio cambia- rispose l'indiano. - Avremo un tornado.

- Affrettiamocicamerati. Il momento è buono.

Gl'indiani continuavano a vociferare sull'opposta costa del cañonsenza però decidersi a scendere. Probabilmente dovevano aver già fatta laconoscenza colle canne da fuoco degli uomini bianchi e si tenevano in guardia.

I tre avventurieri si appoggiarono al tronco d'un pinouper avere la mira piú sicura e spararonouno dietro l'altrotre colpiiquali rumoreggiarono a lungo dentro la vallecome se fosse caduta qualchevalanga di sassi.

Tre indiani erano cadutiscivolando lungo il pendío. Glialtrispaventatisi erano affrettati a rinselvarsi.

- Speriamo che ci lascino un po' di tregua- disse donBarrejo. - Credo che pel momento ne abbiano abbastanza.

- E noi approfittiamone per scendere verso il Maddalena-disse Mendoza. - Odo già frangersi la sua rapida corrente.

Attesero un momento per vederese gl'indiani si mostravanodi fare un'altra scaricapoi si slanciarono sotto le foreste scendendo verso lapianura bagnata dal fiume gigante.

Per far comprendere però ai mangiatori di carne umana cheavevano ancora delle munizionidi quando in quando si volgevano per spararequalche colpo in direzione del cañon.

Mentre affrettavano la discesa per raggiungere il fiumel'uragano s'avanzava con una rapidità impressionante.

Il cieloche qualche ora prima era ancora limpidosi eracoperto di tali masse di vapori da intercettare quasi completamente la luce.

Mille strani fragori si scatenavano in alto. Ora pareva checentinaia e centinaia di carri pieni di lamine di ferro e tirati da cavallifocosicorressero sfrenatamente; ora invece sembrava che si sparassero deicannonie le detonazioni erano seguíte dalle urla del vento.

Le raffiche piombavano sulla grande forestadevastandola.Ramifoglie giganteschefruttavolavano in aria come fuscelli di paglia.

Tacevano un momentocome per riprendere forzapoisibilavano con furia piú terribile sotto le immense vôlte di verzurastrappando d'un colpo solo i grandi festoni di liane ed abbattendo i superbicespugli delle passiflore.

I tre avventurieri e l'indianoassordati da tutti queifragori e spaventati dalla furia del tornadoaffrettavano la marciaguardandosi di non ricevere qualche ramo sulla testa.

Agl'indiani ormai non pensavano quasi piú.

D'improvvisoquando già stavano finalmente per sboccarenella valle del Maddalenaudirono fra lo scrosciare dei tuoni e le urla delventacciodelle scariche d'archibugio.

Gli avventurieri si erano fermatiguardandosi l'un l'altro.

- Sono ben colpi di fuoco questi? - disse De Gussac.

- Che puzzano di polvere lontano un miglio- rispose ilbasco. - Queste scariche non si possono confondere coi tuoni.

Don Barrejo si era messo a ridere.

- Non capite dunque? - chiese. - È il signor marchese diMontelimar che si prende la briga di accomodare i nostri affari.

“La sua banda si è incontrata coi mangiatori d'uomini edà battaglia.”

- In attesa di darla poi a noi- aggiunse Mendoza.

- Io però ho constatato un fattocompare Mendoza.

- Qualedon Barrejo?

- Che le nostre gambe sono piú resistenti di quelle deglispagnuoli.

- Un momento di respiro e guadagnamo il Maddalena- disse DeGussac. - Vuoi tu?

L'indiano guardò il cielo che continuava ora ad oscurarsi edora ad illuminarsi sotto la vivissima luce di centinaia di lampipoi disseinesorabilmente:

- Avanti ancora.

- Lui sente sempre ed ode sempre- disse don Barrejo. - Olioalle gambeamicise non volete andare a finire fra una graticola ed una cordada appiccare.

Le scariche si succedevano alle scarichemescolandosi aituoni. Una vera battaglia doveva essersi impegnata fra gli spagnuoli delmarchese di Montelimar ed i mangiatori di carne umana.

Gli avventurieri approfittavano di quell'insperato soccorsoper accelerare sempre la marcia.

Ormai il fiume era vicino: si udiva muggire cupamente entrol'ampia valle.

L'uragano però rendeva la ritirata difficilissima. Alberigiganteschiche avevano resistito a chissà quanti altri tornadoscadevano al suolo sotto l'impeto furioso delle raffichetrascinando seco deilembi interi di foresta.

Era un vero miracolo se i fuggiaschi riuscivano ad evitarequei colossisotto il cui enorme peso sarebbero rimasti per sempre.

Fortunatamente la foresta si diradava. La sierrafiniva e cominciava la pianurauna pianura strettissimacosparsa di sabbiedimagri cespugli e di enormi ammassi di fango disseccato.

Con un ultimo slancio l'indiano ed i tre filibustieri laraggiunsero e si diresserosempre correndoverso il fiumequantunque nonavessero nessuna speranza di trovare in quel luogo qualche canotto.

Una rocciaalta una mezza dozzina di metrimolto incavatada una parteoffrí subito ai fuggiaschi un rifugio e fu tutto quel chepoterono averepoiché nessuna piroga si scorgeva nelle vicinanze.

Si erano appena riparatiquando le cateratte del cielo siaprirono ed un vero diluvio d'acquaaccompagnato da rombo di tuonida ruggitidi vento e da lampi vivissimisi rovesciò sulla valle del Maddalena con furiaincredibile.

- Compiango gli spagnuoli che non avranno trovato anche loroun asilo- disse don Barrejostringendosi contro i compagni per evitare ifuriosi sprazzi di pioggia. - Questo tornado dovrebbe però renderci unfavore.

- Quale? - chiese De Gussac.

- Di lasciar cadere sulla testa del marchese qualche pinou- rispose il guascone.

- Uhm!... Quell'uomo deve essere fortunatomio caro- disseMendoza. - Se è sfuggito finora a tanti pericolisfuggirà a molti altriancora.

In quell'istantea monte del fiume si udí un rombo che sispezzò in mille muggiti.

L'indiano era balzato in piedimostrandosi inquieto.

- Che cosa c'è ancora? - chiese don Barrejo. - Tu senti eodi qualche cosa di certo; però questo fracasso l'ho udito anch'io.

- La piena- rispose il selvaggio. - Il Maddalena straripa.

 

 

Capitolo XXII

LA ZATTERA

 

Gli uragani che scoppiano nell'America centrale sonofortunatamente rarima quando Giove galoppa sulle nubiaccompagnato dal fidoEoloraggiungono una tale furia da non potere noiabitanti delle zonetemperateformarcene un'idea.

Non hanno una lunga durataperò bastano quelle poche oreper mettere sottosopra provincie interedevastare immense piantagionie quelloche è peggioper far straripare i fiumi.

Il tornado che aveva dovuto prima infuriare sull'alta sierraaveva gonfiato quasi di colpo il Maddalena ed ora il fiume gigantecon pocopiacere dei fuggiaschi che ne avevano fino sopra i capelli delle avventurecompreso don Barrejosi preparava a uscire dal suo lettoed occupare lapiccola pianura sabbiosa.

Quantunque continuasse a piovere con una furia spaventevolel'indiano ed i tre filibustieriallarmati da quei fragori che facevanorisuonare sinistramente la valleavevano lasciato per un momento il rifugiovolendo rendersi conto dello stato del fiume e del nuovo pericolo che liminacciava.

Il Maddalena cresceva a vista d'occhio. Delle ondatemostruosedi colore giallastrosi seguivano senza interruzionetrascinandonel loro corso vertiginoso dei giganteschi alberi strappati ai fianchi della sierra.

- Tonnerre!... - esclamò don Barrejo. - Ecco che siprepara un'altra avventura poco piacevole.

- Non eri forse partito da Panama per andarle a cercare? -chiese Mendoza. - Hai lasciato laggiúper correre il mondouna splendidacastigliana ed una cantina magnificamente fornita.

“È vero che dentro le botti vi erano gli spiritelli?”

- Novi era dentro quel povero Pfiffero- rispose ilterribile guascone. - In quanto a mia moglielasciala in pace.

- Invece di pensare alle persone assentipensiamo a noi-disse De Gussac. - Che cosa si fa? Il fiume monta di minuto in minuto e finiràper invadere la pianura.

- Domandalo all'indiano che sente ed ode tutto- rispose donBarrejo.

L'indiano invece rimaneva muto come una sfinge egiziana.Colle braccia strette sul pettogli occhi nerissimi e sempre inquieti comedell'uomo che si aspettada un momento all'altrouna brutta sorpresaguardavail fiume senza parlare.

- Toh!... - esclamò don Barrejo. - Ora non sente e non odepiúmentre io odo un fragore spaventevole che cresce di momento in momento.

- Dunque? - chiese De Gussacguardando l'indiano.

- La piena- rispose questi.

- La vedo- disse don Barrejo. - Un paio d'occhi sonopiantati sul mio muso. Ti domandiamo che cosa si può fare.

- Nulla- rispose l'indianocolla sua voce monotona.

- Tonnerre!... E noi staremo qui a farci portar viadalla piena?

- La roccia- rispose l'indiano.

- Ma questo è un mulo dei Pirenei- disse don Barrejo. -Vedo anch'io che c'è una roccia.

“Mendozapuoi levare qualche parola a quest'uomo o megliostrappargliela?

“La mia pazienza ormai l'ho esauritae se fosse un altro aquest'ora avrei impugnata la mia draghinassa.”

- Ehiantropofago!... - disse Mendoza. - Hai la maníaomicida? Le troppe avventure ti hanno guastato un po' il cervelloè veromiopovero don Barrejo?

Un grande scroscio di risa fu la risposta.

Il mattacchione del di là del mar di Biscaglia rideva acrepapelle.

- Ah!... Questi guasconi!... - esclamò Mendoza.

- Valgono i baschiè vero? - chiese don Barrejo.

- Devo confessarlo.

- Finalmente!... Interroga dunque quella marmotta rossa chesente sempre e che ode semprementre non sa mai prendere una decisione.

- Amico- disse Mendoza all'indianoil quale guardavasempre il fiume coi suoi occhi irrequieti. - Che cosa si fa dunque? Si scappaverso la sierra?

- Troppo tardi- rispose il pelle- rossa.

- Abbiamo le gambe ancora buone.

- Troppo tardi- ripeté l'indiano.

- EhiMendozaperdi il tuo tempo- disse don Barrejo. - Daquell'uomo lí non caverai altro che un “sento” ed un “odo”.

“È meglio che pensiamo noi a trarci d'impiccio.

“Se gl'indiani amano annegarsiio francamente non ci tengoaffatto. Se si trattasse di affogarmi in un fiume di Xeres passi ancorama papà Noè non ha pensato a provvedere i fiumi di viti.”

- Non vi è che una cosa sola da fare- disse De Gussac. -La roccia è abbastanza alta e non credo che la piena ci raggiungerà.

- Conosci le rabbie di questo fiumetu?

- Io no.

- Allora non ci si può fidare del tuo consiglio. Visto peròe considerato che non vi è altra scappatoialo accettoe vi propongo unabagnata coi fiocchi.

“Cercate almeno di non bagnare le munizioni.”

- La polvere è dentro i corni- rispose Mendoza. - Saràsempre pronta a far udire la sua vocesia contro gli spagnuolisia contro imangiatori di carne umana.

“Montiamo: l'acqua cresce con una rapidità impressionante.”

Il Maddalena infatti si gonfiava a vista d'occhio. Le sueacqueordinariamente limpideerano diventate fangose e dal monte le onde sisuccedevano sempre con rabbia ferocestendendosi sulla pianura di destra e disinistra.

Un muggito assordantecontinuoriempiva la valleripercuotendosi dentro i boschi della sierra.

- Calcatevi bene in capo i cappelli- disse don Barrejo- ecercate di farli servire da parapioggia.

Le onde brevi e rapide del Maddalena si stendevano sullesabbie delle due pianurecoprendo rapidamente i magri cespugli.

L'indiano ed i tre avventurierinon poco impressionati dallabrutta piega che prendevano gli “affari”come diceva don Barrejoabbandonarono il rifugio e si arrampicarono sulla rocciaesponendosicompletamente alle furie del tornado.

Lampeggiava sempre e tuonava spaventosamentementre dallavalle scendevano delle raffiche cosí impetuose da costringere i quattro uominia tenersi ben uniti per non farsi portar via. La pioggia poi continuava purelasciando cadere certi goccioloni grossi come un pugnoche se non facevanomaleinzuppavano completamente.

- Questa si chiama ira di Dio- disse don Barrejoil qualesi annoiava mortalmente a starsene zitto. - Ehiamico del Darienne avremo permolto tempo? Io per ora ne avrei già abbastanza.

Il figlio dei boschi guardò il cielo incessantementeilluminato dai lampipoi alzò le spalle senza dare nessuna risposta.

- Come sono avari di parole- riprese don Barrejoil qualesi prendeva filosoficamente quei goccioloni. - Si direbbe che a questi indianifa male la lingua.

- Mentre tu l'hai troppo lunga- disse Mendoza.

- Mio caroprova a prender mogliee vedrai come si snoderàanche la tua.

- Per ora non ne ho intenzione.

- Giàtu sei un avventuriero troppo logoro.

- Anche tu però non tornerai a Panama piú grasso di prima.

- Ci tornerò però colle tasche piene- rispose ilguascone. - Siamo ormai alle frontiere del Darien e spero che quei selvaggi nonfaranno cattiva accoglienza alla nipote del Gran Cacicoe che ci lascerannovuotaresenza protestele caverne piene d'oro.

- E se invece ci mangiassero? Ancora pochi anni or sono eranoantropofagi e potrebbe dirtelose fosse ancora vivoPietro l'Oloneseche erail piú famoso filibustiere dei Fratelli della Costae che finí la suagloriosa carriera di ladro emerito su una graticola o dentro un pentolone.

- Tu vedi tutto nero quest'oggicompare; che sia il tempo?

- Può darsi- rispose il basco.

- E l'acqua monta rapidamente- disse in quel momento DeGussac. - La pianura si copre.

Infatti il Maddalena era uscito dal suo letto e straripavacon una violenza inaudita.

Fra le sue onde fangosed’un brutto color biondastrotravolgeva degli alberi immensi e degli ammassi di radici e di terra chegalleggiavano come le famose chimponas del lago di Messico.

Quei galleggianti non erano sempre vuoti. Ora trasportavanouna tribú di scoiattoliora un coguaro ed ora un giaguaro.

Queste ultime bestie però erano tanto spaventate che sitenevano rannicchiatecol pelame arruffatosenza dimostrare piú alcunaferocia.

La notte tornava a scenderequando le acque del fiumegiunsero ad infrangersi contro la rocciamuggendo sinistramente.

Don Barrejo guardò l’indiano.

- Orsú- gli disse- snoda una buona volta la tua lingua.Credi che l’acqua non ci raggiungerà?

La piena è terribile- rispose il selvaggio figlio delleforeste. - Non ne ho mai veduta una simile.

- Che cosa possiamo faredunque?

L’indiano indicò le zattere vegetali che il fiumecontinuava a trascinare in gran numero e che mandava ad arenarsi sui marginidella pianura.

- Sono come le canoe- disse poi.

- E se ne vanno ad urtare contro qualche roccia?

- Non essere troppo esigentedon Barrejo- disse Mendoza.

- Seguiamo il consiglio di quest’uomo ed imbarchiamoci.

“Eccone là una che pare abbia proprio l’intenzione didirigersi verso di noi.”

Il galleggiante indicato dal basco era un zatterone compostodi enormi ammassi di radicistrettamente intrecciatee coperto da ammassi dicespugli che le raffichesempre impetuosissimevolta a volta scuotevano.

I tre avventurieri e l’indiano si erano alzati per esserepronti a spiccare il salto.

- Badate che chi cade è perduto- aveva detto Mendoza. -Contro questa corrente cosí impetuosa non si potrebbe resistere.

Il galleggianteoscillando pesantementes’appressava.

Trovata sul suo corso la rocciagirò su sé stesso senzarompersi e continuò la sua rapida corsa.

Quel momento di sosta era bastato ai tre avventurieri e all’indiano.

Con un gran salto erano andati a cadere in mezzo agli ammassidi cespuglie subito erano scappati all’opposta estremità del galleggiantemanifestando una viva inquietudine.

- L’hai veduto? - chiese don Barrejo a Mendoza.

- Sí: era nascosto sotto il fogliame.

- E non era solo- disse De Gussac. - Io ho veduto un altrogiaguaro nascosto un po' piú in là.

- Tonnerre!... - esclamò il terribile guascone. -Ecco un bell'equipaggio che vorrei subito gettare in acqua.

- E gli archibugi pel momento sono inservibili- aggiunse ilbasco. - Dovremo scaricarli.

- Che si siano imbarcati di loro spontanea volontà perprovare le emozioni d'un viaggio acquatico?

- Saranno statipiú probabilmenteportati via insieme aqualche lembo di foresta.

“Offri loro un pontedon Barrejoe vedrai comescapperanno senza curarsi di noi.”

- Faglielo tu colla tua schienail passaggio- ribatté ilguascone. - Per mio conto ci tengo alla mia spina dorsalee checché tu dicanon la metterò mai a portata di quelle bocche.

- Preferisco lasciare quelle due bestie nei loro nascondigli.Mi sembrano cosí spaventate da non avereper oranessun desiderio diattaccarci.

- Se tu mi assicuri che la paura li ha resi mansueti comeagnellininon mi rincrescerebbe andarli a vedere.

- Ed anch’io ci terrei- disse De Gussac. - E poi unarrosto di giaguaro potrebbe passareè vero don Barrejo?

- Arrostito sul fiume?... Ah!... De Gussacla vita dell’avventurieronon è proprio fatta per tee credo che faresti...

Non poté proseguire. La zattera in quell’istante era statapresa da una serie di gorghi e si era messa a girare vorticosamente su sestessaora sprofondando quasi tutta ed ora rimontando impetuosamente a gallacome se spinta da una forza misteriosa.

Quel moto rotatorio era cosí rapido che i quattro uomininon escluso l’indianosi sentirono prendere dalle vertigini.

Anche i giaguarispaventatisoffiavano e sbuffavano sotto icespugli che servivano loro d’asilo.

- Che sarabanda è questa? - Chiese don Barrejo al bascoilquale non riusciva a tenersi in piedi. - Che siamo vicini alle grandi cascate?Lo sai tuamico del Darien?

- Non è nulla- rispose l’indianoil quale si sforzavadi strappare una enorme radice per servirsene come di remo. - Alle cateratte c’èdel tempo e non augurateviuomini bianchidi giungervi troppo presto.

- Si tratterà d’un saltom’immagino.

- Io però ho udito parlare con grande spavento di quellecateratte- disse De Gussac. - Si dice che nemmeno gl’indianiche sono imigliori battellieriosino tentarne la discesa.

- Giacché sono ancora molto lontane possiamo occuparci deidue giaguari. Io non oserei dormire con questi vicini.

- Francamente nemmeno io- disse l’ex-taverniere diSegovia - e sarei ben lieto di cacciarli in acquaprima che la notte scenda.

- E tuMendoza? - Chiese don Barrejo. - Il sole sta pertramontare già e fra una mezz'ora l’oscurità sarà completa.

“Ti fiderai tu a dormire con quei poco desiderati vicini?”

- L’impresa non sarà facile- rispose il bascotentennando il capo. - Voi forse non conoscete la ferocia sanguinaria deigiaguari.

“È vero che gl’indiani osano talvolta affrontarli armatid’una semplice lancia e difesi da una pelle che serve di scudo.”

- Ed allora noi faremo di meglio- rispose don Barrejo. -Colle nostre draghinasse scorcieremo loro le unghiementre l’amico rossoaccarezzerà loro il dorso con quel bastone che è riuscito a strappare.

“Che disgrazia che i nostri archibugi siano ancora pieni d’acqua.

“Andiamocameratiprima che sopraggiunga qualche altromalanno.”

L’indiavolato avventuriero stava per dirigersi animosamenteverso le due belverisoluto ad offrire loro una battaglia in piena regolaquando il terreno gli mancò improvvisamente sotto i piedi come se si fosseaperto un trabocchetto.

Quasi nell’istesso tempo si sentí afferrare una gamba daun paio di mascelle e stringere forte gli alti stivali di cuoio.

- Aiuto!... - aveva gridato.

Mendoza e De Gussacche gli stavano dietrofurono pronti adafferrarlo per le spalle ed a trarlo fuori.

- Muschio!... - gridò Mendoza. - Vi è un caimanoimprigionato fra le radiciche lavora alla sua salvezza.

“Senti questo profumo cosí delizioso ai nasi dei negri?”

- Tonnerre!... - esclamò don Barrejosternutandosonoramente - questa non è una zattera bensí un serraglio completo.

“Che l’amico cerchi di montare verso di noi?”

- È probabile- rispose Mendoza. - Morde le radici in altoinvece che sotto.

“Avremo di certo una sua visita.”

- Allora potremmo occuparci di questo messere prima che ciporti via le gambe.

“Ai giaguari penseremo dopo.”

Tutti si erano curvati intorno al bucoil quale in pochimomenti era diventato già molto largo.

Un alligatoreo meglio un jacarècome vengonochiamati quei ferocissimi saurianilungo non meno di quattro metrisi trovavaimprigionato fra il fitto strato di radici e faceva sforzi poderosi per uscire egettarsi nel fiume.

Le sue robustissime mascellearmate di denti formidabilimordevano con furorementre le zampaccie allargavano a poco a poco la prigione.

Non vi era nulla di straordinario nel trovare un similebestione cosí rinchiuso.

Durante l’estatequando gli stagni confinanti coi fiumi sidisseccanoi jacarè non trovano di meglio che di seppellirsi nel fangoe di rimanerviin una specie di letargoanche un paio di mesi.

La vegetazione sempre poderosa in quelle regionisi stendesugli stagni e colle sue radici forma delle vere reti compattedentro le qualirimane preso per la maggior parte delle volte il rettile.

Quando le pienequasi sempre furiosissimesopravvengonostrappano quei lembi e li portano nel fiume.

L’isola galleggiante è formatama può sempre nasconderedelle brutte sorprese per le persone che osano montarla.

Don Barrejopassato il primo momento d’ansietàavevaimpugnata la draghinassadicendo all’jacarèil quale non cessava dicontorcersi con rabbia crescente:

- Signor profumierenoi non abbiamo affatto bisogno né delvostro muschioné della vostra codaperché noi non siamo dei luridi negri.

“Vorreste dirmi dove devo colpirvi?”

- Tu sei pazzo don Barrejodisse De Gussac. - Vuoi aspettareche salti fuori e che si scagli addosso a noi?

- Lascia che mi goda prima l’agonia di questo bruto.

- Ed i giaguari li hai dimenticati? - chiese Mendoza. -Guarda: i loro occhi cominciano a luccicare.

“Sbrighiamocela con questo.”

In quel momento l’indiano si fece innanziarmato d’ungrosso pezzo di radice chebene o malerassomigliava ad un rompi-costole.

- A me l'jacarè- disse. - Le vostre armi nonvarranno gran che contro queste bestiacce.

Alzò la mazzala dondolò innanzi e indietro come perimprimerle maggior slanciopoi la lasciò cadere dentro la bucabalzandosubito indietro. Il caimano aveva spalancate le mascellepoi le aveva subitochiuse. La mazza gli aveva spaccato il craniofacendoglielo quasi scoppiare.

Si gonfiò aspirando un'ultima boccata d’ariasi sgonfiòallungandosi tuttopoi rimase immobilementre le radici si ripiegavano su dilui rinserrandolo come dentro una tomba.

- Tonnerre!... Che colpo- esclamò don Barrejo. - Avederli non si direbbe che questi indiani posseggano una tale forza.

“L'ha fulminato!...”

- È cosí che se la sbriganoquando riescono a sorprenderliimprigionati nel fango degli stagni- disse Mendozail quale non cessava diguardarsi alle spalle per paura di un attacco fulmineo da parte dei giaguari. -Sei sempre d'opinione di sbarazzare questa zattera dalle bestiacce che lainfestano?

- E me lo domandi? Provati tu a chiudere gli occhi dunque conquei messeri che saranno probabilmente mezzi morti di fame.

- E giacché vi è ancora un barlume di luceattacchiamosubito- aggiunse De Gussac.

Il tempo si era rasserenatopoichécome abbiamo dettosele tempeste sono formidabili sotto quei climihanno una brevissima durata.

I densi vaporitra i quali rumoreggiava il tuonoeranoscomparsi verso levanteossia in direzione del golfo del Messicoed il soletramontava dietro le cime della sierrain mezzo ad un mare di luceiridiscente.

D'altra parte la luna occhieggiava al di sopra delle forestealzandosi rapidamente.

Sotto i cespugli gli occhi fosforescenti dei giaguaricontratti come un ibrillavano stranamente. Pareva però che i dueferoci animaliimpressionati dalla corsa vertiginosa che la corrente imprimevaalla zatteranon avessero alcun desiderio di tentare un assaltoalmeno pelmomento.

Che fossero però un terribile pericolo per i quattro amicinon si poteva negarlopoiché la fame poteva spingerli ad un disperato assalto.

I tre avventurieri e l’indianorisoluti a rimanere i solipadroni del galleggiantesi divisero in due gruppi: De Gussac e Mendoza; donBarrejo e l’uomo rosso armato del suo rompi-costole che aveva servito cosíbene contro il sauriano.

I due giaguarivedendoli avanzaresi erano messi abrontolare minacciosamentesenza però lasciare i loro rifugi.

Cantano la loro marcia funebre- disse don Barrejo. - Sannogià di dover finire nel fiume.

- Non scherzarecompare- disse Mendoza. - Sono piúterribili di quello che tu credi.

- Proviamo dunque le draghinasse dei guasconi e la spadabasca sulla pellaccia di quelle bestie- rispose il terribile guascone. - A mefa l'effetto di andare alla caccia dei gatti.

- Di quel genere!...

- Non dico che non siano molto grossiperò anche le nostrelame sono di tempra superiore.

“Voglio vedere quale effetto produrrà un colpo didraghinassa vibrato all'estremità d'una zampa. Povere unghie!... Vedremo seresisteranno!...”

- Adagio don Barrejo!... Tu vuoi scherzare troppo!... - disseMendoza.

- Dopo tuttoquelle bestie non sono che dei gattaccicheforse non valgono certi gatti della nostra Guascognaè vero De Gussac?

L'ex taverniere di Segovia non credette opportuno dirispondere a quella spacconatadegna veramente d'un guascone.

Mendoza però borbottò fra i denti:

- Questo diavolo d'uomo vuole farsi mangiare da queigattacci. Fortunatamente ci sono io e lo tratterò all'ultimo momento.

Mentre si avanzavanochiacchierando tranquillamente come sesi recassero alla caccia dei coniglii due giaguari non cessavano di ringhiare.

Accovacciati alla distanza di dieci passi l'uno dall'altrocontinuavano a fissare intensamente i cacciatorisbadigliando e mostrando nelmedesimo tempo certe bocche da far rabbrividire.

- EhiMendoza- riprese il terribile guasconequandofurono a una quindicina di passi dai due animali. - Che siano due maschi o duefemmine?

- Vivaddioè troppodon Barrejo- rispose il basco. - Tuscherzi troppoe colle tue imprudenze un giorno o l'altro finirai nel ventre diqualche...

- Tigre- disse il guasconeridendo.

- Se non sarà asiaticasarà americana.

- Ahbah!... La pelle dei guasconi è troppo dura damandarsi giú quando vi è insieme una draghinassa.

“Che brutto lavoro farebbe negli intestini di quellebestie.”

- Taci!... Ci siamo!

I quattro terribili uomini si trovavano ormai a pochi passidai due giaguarisempre in agguato fra i cespugli.

Da una parte e dall'altra vi fu un momento di grandeansietàpoiché i pretesi gattacci del guascone erano degli avversariformidabili.

Don Barrejosempre noncurante del pericolofu il primo chesi mossetenendo la draghinassa in lineacome se dovesse bucare sul colpoqualche avversario.

- Signor mio- disse al giaguaro di destrache si tenevaostinatamente nel suo covo. - Volete degnarvi di accettare una partita d’onorefra acciaio ben temprato ed unghie non meno solide?

La risposta fu un rauco ruggito che terminò in una specie dimiagolío.

- L’ho detto io- riprese il terribile uomo- che questisono dei gattacci.

“Ehipelle-rossamentre io punzecchiotu picchia sodo espacca teste.

“Ti ho già veduto alla prova e so quanto valiquando haiuna mazza fra le mani.”

Si era messo in ginocchiodinanzi al rifugio della belvaper offrire meno bersaglio all’attaccoil quale non doveva tardare.

Contrariamente alle sue abitudini aggressive e sanguinarieil giaguaro che don Barrejo si proponeva di scucire con un buon colpo didraghinassainvece di spingersi innanzisi mise a rincularecacciandosisempre piú fra i cespugli e le radici.

- Tonnerre!... - esclamò il terribile guasconefacendo descrivere alla sua draghinassa un gran molinello. - I gatti americanisarebbero piú codardi di quelli europei?

“Ehiamicosi arrischia la pelle qui!... O provare ilfilo della mia draghinassa o saltare nel fiume.

“Non hai che da scegliere.”

Il giaguaro rispose con urlo ferocee questa volta si feceinnanziallungandosi e spalancando le mascelle.

Don Barrejo diede uno sguardo all’indianoil quale tenevasollevata la sua mazzapronto ad ammazzare.

- Badaamico- gli disse. - Ci attacca!...

Con una pazza temerità si era spinto innanziriprendendo lasua linea di combattimento.

- Sudunque!... Attacca!... - urlò.

Il giaguarovedendosi l’uomo a pochi passisi raccolse suse stessopoi spiccò un salto immenso passando sopra al guascone e cadendoquasi ai piedi dell’indiano.

Questisapendo con che razza di bestie aveva da farelasciò calare la sua mazza e d’un colpo abbatté la belvastordendola.

Don Barrejo si era voltato di colpo.

Piombò come un fulmine sul giaguaroormai impotente arimettersi sulle gambee gli vibrò un formidabile colpo di draghinassaattraverso il collostaccandogli quasi interamente la testa.

Mentre il primo cadeva senza aver potuto far uso delle sueunghieil secondoinvece di dare indietroaveva affrontato risolutamenteMendoza e De Gussac. Aveva mandato un urlo ferocissimo ecome il suo compagnosi era distesopronto a slanciarsi.

- GuardateviDe Gussac!... - aveva detto il basco.

- La draghinassa berràfra pocoil sangue della tigreamericana- rispose l’intrepido ex-taverniere di Segoviacoprendosi con unaserie di fulminei molinelli. - AddossoMendoza!... Mi pare che i nostricompagni abbiano già finito.

- Allorasotto!...

I due valorosinon volendo mostrarsi da meno del primoguascone e dell’indianoattaccarono risolutamente a colpo perdutovibrandostoccate in tutte le direzioni. Il giaguarovigorosamente incalzatodapprimaretrocessepoi a sua volta attaccò coll’impeto fulmineo che sogliono usarequei terribili animali.

Non era certamente una serata favorevole pei giaguaripoiché andò a cadere fra la spada del basco e la draghinassa del guascone.

La prima lo inchiodò fra le radicimentre la secondaspaccava costole e troncava zamperiducendolo ben presto all’impotenza.

- Olàcompariavete bisogno d’aiuto? - gridò in quelmomento don Barrejoaccorrendo colla draghinassa ancora sanguinante.

- Abbiamo finito- rispose il basco.

- Allora giúdormiamoe che la zattera vada all’infernoinsieme a noi ed ai giaguari.

 

 

Capitolo XXIII

L’ISOLA DELLE TARTARUGHE

 

Il galleggianteabbandonato a se stessocontinuava la suacorsa rapidissimaoscillando sulle onde della piena.

La luna era sorta ed illuminava la vallata del Maddalenalaquale rimbombava di continui fragori che talvolta diventavano veramentespaventevoli.

Sembrava che l’astro notturno passeggiasse sulle punteestreme dell’alta sierraversando fasci di luce azzurrognolala qualesi rifletteva nelle onde.

I tre avventurieri e l’indianosfiniti dalle fatiche eanche dall’eterna famesi erano addormentati gli uni vicino agli altricollatesta appoggiata sui cadaveri dei due giaguari.

La zattera correva da parecchie oreora girando e rigirandosu sé stessa fra i gorghi della pienaed ora rollando o beccheggiandoquandoun urto spaventevole accadde.

Don Barrejoche aveva l’abitudine di dormire con un soloocchioalmeno cosí affermavafu il primo a saltare in piedigridandoconvoce stentorea:

- Ohécameratiabbiamo dato dentro a qualche cosa!...

Le acque del fiume si precipitavano sulla zattera con impetorabbiosospazzandola tutta.

MendozaDe Gussac e l’indianosvegliati di soprassalto daquelle doccie che minacciavano di affogarlierano balzati in piedi.

La luna era tramontata ed una profonda oscurità avvolgeva ilfiume.

- Don Barrejo!... - gridò il basco. - Che cosa succededunque?

- Che ne so io?

- Abbiamo fatto naufragio?

- Mi parepoiché la zattera non si muove piú.

- Corpo d’un cannone!... - esclamò De Gussac. - Civorrebbe un fanale!...

- Síva a cercartelo- rispose don Barrejo.

- Che cos’è quella massa oscura che sta dinanzi a noi?

Fu l’indiano che diede la risposta.

- L’isola delle tartarughe.

- Ecco una bella notizia che fa sussultare di gioia i mieiintestini- disse don Barrejo. - Era molto tempo che non mangiavo di queideliziosi animali.

“Ne troveremo moltiuomo rosso?”

- I miei compatriotti vengono qui tutti gli anni a farnedelle enormi raccoltee la stagione ora è buona.

- Si può sbarcare dunque?

- Non correte alcun pericolopoiché l’isola si elevamolto sulle acque del fiume.

- E la zattera?

- Lasciamola qui- disse De Gussac.

- E poi come faremo a riprendere la navigazione?

- Cercheremo di rimetterla in acquadon Barrejo.

- Spalancate gli occhi e seguitemi. State in guardiapoichéle zattere potrebbero avere condotti qui altri animali.

I quattro uomini attraversarono il galleggianteil qualesubiva delle scosse formidabilisenza però che la massa cedessee sbarcaronoin mezzo ad un gruppo d’alberii quali proiettavano un’ombra foltissima.

- Il terreno è asciutto e sabbioso- disse don Barrejoilquale era stato il primo a saltare a terra. - Noi potremo riprenderetranquillamente il nostro sonno senza timore che questa volta sia l’isola chescappi.

- E le bestie? - chiese Mendoza. - L’isola mi pareabbastanza vasta e potrebbe contenere degli animali piú o meno feroci.

- Per mio conto preferirei un buon fuoco- disse De Gussac.

- La mia esca che è chiusa in una scatoletta d’acciaio èperfettamente asciutta e dorme accanto all’acciarino.

- Bell’idea!... - esclamò Mendoza. - Mandiamo l’indianoa far provvista di legna se vi riuscirà.

- Un uomo che ode e che sente tuttoè anche capace ditutto- disse Don Barrejoridendo.

L’indianoormai abituato ai frizzi del guasconesi fecedare da De Gussac la navaja e si avanzò sotto gli alberi.

I tre avventurieri intanto scavavano il suolo sabbioso perpreparare il camino. Ad un tratto misero allo scoperto una specie di conoformato di fango bene spalmato e mescolato ad avanzi di vegetali.

- Qui dentro ci deve essere un tesoro!... - esclamò donBarrejo.

- Un tesoro nascosto certamente da qualche banda difilibustieri- aggiunse De Gussac.

Mendoza era rimasto silenziosonon condividendo affatto lesperanze dei suoi due compagni.

- ScaviamoDe Gussac- riprese il terribile guascone. -Vedrai che fra poco metteremo le mani su uno strato di dobloni e di piastre.

Tolsero lo strato fangoso che copriva la cima del conotronco...e misero le mani su uno strato di uovagrosse come quelle di un’ocama piú allungate e col guscio molto rugoso e solcato da strani geroglifici.

L’osservazione era stata fatta da De Gussacil quale avevaaccesa l’esca colla speranza di veder la fiammella riflettersi dolcemente sull’aureometallo.

- Corpo d’un cane strozzato!... - gridò don Barrejo. - Chipuò essere stata quella meravigliosa gallina che ha pensato a noi?

“Corbezzoli!... Delle uovasignori mieie ben grosse.Peccato non avere una padella ed un po' d’olio per prepararci una frittata.”

- Uhm!... Uhm!... - fece Mendoza.

- Che cos’hai tu da brontolare? - chiese don Barrejoilquale metteva da parte le uova con grande cura.

- Sarà stata poi una gallina a farle? Io non ho mai vedutodi quei bipedi a costruirsi di questi nidi.

- Saranno dei bipedi selvaggi ancora sconosciuti. Toh!... Unaltro strato di fango.

“Qui sotto ci deve essere ancora qualche cosa.”

Tolse la crostacon una certa precauzioneper non fare unavera frittata non mangiabilee mise allo scoperto un secondo e poi un terzostrato di uovatutte eguali alle prime.

- Qui dentro c’è l’America coi tesori del Perú!... -esclamò.

In quel momento l’indiano comparveportando un fascio dilegna piú o meno secca.

- Ehiamico- disse don Barrejomentre De Gussac siaffannava ad accendere il fuoco. - Sono proprio uova questeè vero?

- Sí- rispose il pelle-rossa.

- Di tartaruga?

L’indiano fece un gesto di disgusto:

- Uova di jacarè- disse poi.

- Di caimano!...

- È un nido di quei rettili che le sabbiesollevate dal tornadohanno quasi ricoperto.

- Tonnerre!... Io non avrò mai il coraggio diassaggiarle. E tuMendoza?

- Preferisco stringermi ancora la cintura- rispose ilbasco.

- Finirai per scoppiarecompare. Eppure i negri le mangianoqueste uova.

- Ed anche le code dei caimani- disse Mendoza.

- Troveremo di meglio- disse l’indiano. - Aspettate chespunti il giorno.

“Le careta questa notte verranno a depositare leloro uova e voi ne avrete finché vorrete.”

- Un’altra stretta di ventre per ventiquattro oreMendoza- disse il terribile guascone.

A forza di soffiareDe Gussac aveva acceso il fuocoed unabella fiamma aveva illuminato il minuscolo accampamentospandendo intorno a séun dolce tepore.

I tre avventurieriche avevano le vesti inzuppate d’acquae che tremavano di freddoessendo tutt’altro che calde le notti di certeregioni dell’America centralesi strinsero intorno all’allegra fiammatamentre l’indiano ritornava a fare provvista di legna.

Tutta la notte il Maddalena si mantenne straordinariamentegonfiotanto anzi da far nascere dei gravi dubbi ai tre avventurieri.

- Se anche l’isola viene copertabuona sera a tutti- siripetevanoprestando orecchio ai fragori cupi della corrente.

La calma però che conservava l’indiano li rassicurava nonpoco.

Quell’uomo che udiva e sentiva tuttoavrebbe dovuto purlui allarmarsimentre invece si manteneva d’un umore eccellente.

- Tu devi udire e sentire qualche cosa- gli disse donBarrejoun po' prima che il sole spuntasse.

- Síle tartarughe che vengono- rispose il figlio deiboschi.

- È l’ora della raccolta.

- Delle tartarughe o delle uova?

- Delle une e delle altre.

- Tu sei la Provvidenza.

“Amicici siamo arrosolati abbastanza al fuocosenzariempire i nostri ventrie quest’indiano ci promette delle colazionistraordinarie.

“Levatevipoltroni.”

Scaricarono e poi ricaricarono i loro archibugitemendo difare qualche brutto incontro e si misero dietro all’indianomentre l’auroraspuntava rosseggiando pel tersissimo cieloormai sgombro di nubi. L’isolapareva che avesse piú di qualche miglio di lunghezzae mentre le sue riveerano coperte da altissimi strati di sabbiala sua parte centrale era copertada bellissime palmele quali facevano ondeggiareai primi soffi della brezzamattutinale loro immense foglie dentellate.

L’indiano costeggiò dapprima quei boschetti che eranopieni di parranecabruttissime rane nere che hanno le gambe posterioriassai piú lunghe delle anteriori sicché permettono loro di spiccare dei salticosí alti da poter entrare comodamente nelle casepassando attraverso lefinestre; poi il figlio dei boschiche era diventato prudentissimosi fermòindicando agli avventurieri la riva.

Uno spettacolo straordinario si offriva ai loro occhi. Tuttele dune sabbiose erano coperte di testugginile quali uscivano dal fiume abattaglionidisperdendosi subito per l’isola.

Ve n’erano di due specie: le testudos midaschehanno il guscio verdastro marmorizzatosquamosolunghe quasi due metri elarghe unoe le testudos caretadal guscio bruno chiazzato di macchierossastreirregolariformato di tredici lamine poste superiormente e dodiciinferiormente.

Se le prime sono ricercate per la massa delle loro carnileseconde non lo sono menopoiché dal loro guscio si ottiene quella scaglia ditartaruga che serve per mille usi.

- Chi prendere? - chiese don Barrejoil quale non potevatenersi piú fermo.

- Aspettiamo- rispose l’indiano.

- Vuoi lasciare loro il tempo di riguadagnare il fiume?

- Aspetta che abbiano deposto le uova.

- A noi basta un paio di quei bestioni- disse Mendoza. -Per noi le uova ci sarebbero d’impiccio.

“Addossodon Barrejo!...”

I tre avventurieri si scagliarono in mezzo ai battaglioni deirettilidisorganizzandoli e mettendoli in completa rotta.

Due grosse midas però erano rimaste nelle loro mani enon ne desideravano piúalmeno pel momento.

Tornarono trionfanti all’accampamentoalimentarono ilfuocoe gettarono in mezzo ai tizzoni fiammeggianti uno dei rettili.

L’altro era stato capovoltocolle gambe in ariaaffinchénon potesse fuggire.

- Eccoci radunati all’albergo della tartaruga- disse donBarrejoil quale assisteva impassibile ai disperati soprassalti di quella chestava cuocendo viva nel suo guscio. - Anche in questi dannati paesidella famese ne prova; però offronodi quando in quandodelle splendide rivincite.

“FiutaMendozaed anche tuDe Gussac. La bestia friggeallegramente nel suo grasso.”

- Dopo tanto digiuno sia la benvenuta- rispose il basco. -Almeno potrò ora allentare la mia cintura.

- Questa è un’isola veramente meravigliosa- disse DeGussac. - Io mi ci stabilirei per semprese qualcuno si ricordasse di mandarmidi quando in quandoun barile di Xeres o d'alicante.

- Io preferisco muovere alla conquista del tesoro del GranCacico- rispose don Barrejo. - A te le tartarughea me l’oro.

Tonnerre!... Noi chiacchieriamo come scimmie rossenon pensiamo che a prepararci delle colazioni o dei pranzi e dimentichiamo gliamici. Che i filibustieri siano sempre alle cascate?”

- Buttafuoco e Raveneau non sono uomini da abbandonarci esenon ci vedranno giungeremanderanno gente a cercarci.

- Ed il marchese?

- Questo è un punto nero che mi cruccia.

- Possibile che quel gentiluomo faccia paura a due dellemigliori lame della Guascogna e ad una spada famosa? Eppure devo confessare chenon me lo scordo mai.

“Scommetterei che lo rivedremo quanto prima.”

- Se la piena non l’ha affogato assieme a tutti i suoiuomini- disse De Gussac

- Può essere successo anche questoma ioamici mieividico cheriempito il ventrerimetterò in acqua la zattera.

“Non mi sentirò sicuro finché non mi troverò fra ifilibustieri.”

L’indianoarmato d’un grosso piuoloaveva spinta latestuggine fuori dal fuocoe dopo d’aver soffiata via la cenerecon un colpodi draghinassa di don Barrejovibratole su un fiancol’apersenon senzaperò l’aiuto dei suoi compagni.

Il profumo che tramandò la povera bestiaben arrostita nelsuo grassofu tale da far fare a don Barrejo quattro salti.

- Fiutafiuta Mendoza!... - gridava. - Fiuta anche tuDeGussac!...

- Preferisco divorare- aveva risposto il bascoallentandointeramente la cintura.

Se avessero avuto del pane da bagnare nell’olio profumatoche friggeva ancora intorno alle carni del rettilela colazione sarebbe statacertamente migliore.

I tre avventurierie soprattutto l’indianosi rifecerorimpinzandosi di carne squisitissimapoiché quella delle tartarughe puòfigurare sulle migliori tavolemalgrado la repulsione istintiva che ispira ildisgraziato rettile condannato ad una vera galera fino all’ultimo giorno dellasua vita.

Quando furono ben pienistavano per allungarsi in mezzo alleerbecoi piedi rivolti verso il fuocoper digerire tranquillamente l’arrostoquando udirono verso l’alto corso del fiume echeggiare delle grida.

Don Barrejopiú agile di tutti perché piú magroerastato il primo a saltare in piediscaraventando una sequela d’imprecazionicontro i disturbatori della quiete pubblica.

- Chi sono quei signori che vengono a guastarci ladigestione? - aveva gridatodopo una sfilza di tonnerre. - Non si puòdunque cacciar giúdopo quarant’otto ore di digiunoun pezzo di arrostosenza che vengano a molestarci?

“Mendozanoi metteremo alla porta quegli importuni!...”

- È come dire che li getteremo nel fiume- aveva rispostoil bascoalzandosi di cattivo umore. - Si stava cosí bene ora qui!

In pochi salti i tre avventurieri e l’indianoattraversarono il gruppo di cespugli che li divideva dalla loro zatteraescorsero subitonon certo con molto piacereuna grossa canoa indianamontata da sette od otto uomini e che la piena portava verso l’isola.

- Tonnerre!... - esclamò don Barrejofacendo unabrutta smorfia. - Gli spagnuoli!...

- Che siano quelli del marchese di Montelimar? - chiese DeGussac.

- Che cosa vuoi che vengano a fare qui gli altriin questopaese infame? Preferiscono godersi la vita tranquilla della cittàmio caro.

- Otto- disse in quel momento il basco. - Non sono molti enon sono nemmeno pochi.

- DecidiMendoza- disse Don Barrejo. - Fra venti minutiquegli uomini saranno qui.

“Dobbiamo impedire loro lo sbarco a colpi d’archibugio?”

- Nodon Barrejo. Preferisco lasciarli prendere terraaspettare la notte e prendere loro la canoa.

“Indiospegni subito il fuocorimetti sulle sue zampe latartaruga perché vada a farsi mangiare altrovee scappiamo verso l’altraestremità dell’isola.”

- E se ci scoprono? - chiese De Gussac.

- Allora daremo battaglia e senza quartiere- rispose ilbasco. - Suvviagambe!...

Non vi era un istante da perdere. La corrente del Maddalenaancora gonfiotrascinava velocemente la pesante canoache gli spagnuolistentavano a mantenere in rotta.

- Orsú- disse don Barrejosospirando. - Faremo ladigestione correndoinvece che colle ginocchia in aria.

“Questa corsa però me la pagherannoper le corna deldiavolo!”

Si erano messi a correrepreceduti dall’indianoil qualeaveva affermato di conoscere a fondo l’isola e di sapere dove si trovavanoanche dei nascondigli. La traversata di quel pezzo di terragettato attraversoil Maddalenafu piú lunga di quanto avessero prima creduto. Non era un isolonema nemmeno un isolotto.

Sbuffando come fochepoiché si erano presi una strepitosarivincita sulle colazioni mancaterimpinzandosi come urubagiunserofinalmente in un luogo ove pareva che una muraglia di verzuraformataesclusivamente da passiflore giganteschechiudesse il passoe ad un segno dell’indianosostarono.

Si trovavano su una piccola alturaquindi in buonecondizioni per sorvegliare le due correnti del fiume.

- È finita la trottatatu che senti e odi tutto? - chiesedon Barrejo

- In mezzo a queste folte passiflore nessuno verrà acercarcise voi vi aprirete un passaggio.

- Povera la mia draghinassa!... Finirà per perdere il filoed allora che cosa ne farò della gloriosa arme dei miei avi?

“Senti qualche cosa?”

L’indiano scosse la testasorridendo.

- Che siano già sbarcati?

- Lo credouomo bianco. Con una corrente cosí rapidasarebbero già passati

- De Gussac- riprese don Barrejodopo un breve silenzio-tu che possiedi una arma meno gloriosa della miaprovala contro quelle piante esquarcia loro il cuore come se fosse quello del marchese di Montelimar.

L’ex-taverniere di Segovia-Nuovaquantunque ci tenesseanche lui al filo della sua draghinassanon si fece ripetere due volte la cosae si mise a massacrare le passiflorefacendo cadere dall’alto una pioggia displendidi fiori.

Bastarono pochi minuti per aprire un varco attraverso aquella massa di verzurapoiché anche l’indianoarmato del suo randellobene o maleaiutava l’ex-taverniere. Scavatosi una specie di nidochetappezzarono di erbe freschissimesi permisero finalmente di tirare il fiato.

- Paese canedove non si può nemmeno digerire un pezzo ditartaruga- disse don Barrejolasciandosi cadere sull’ammasso di erbe.

- Io finirò per tornare a Panama piú magro d’un chiodo...

- Ma carico d’oro- disse De Gussacironicamente.

- Non l’ho ancora in tascacompare. Abbiamo un certoaffare ora da sbrigareche mi dà non poco da pensare.

- Quegli otto spagnuoli che sono sbarcati? - chiese Mendoza.

- Se sono armati anche essi di archibuginon avremo molto daridereamico.

- Niente canne che tuonano- disse l’indianoil quale nonperdeva una sillaba.

- Ah!... Tu hai veduto!... - esclamò don Barrejo. - Uomomeraviglioso!...

- Niente canne che tuonano- ripeté il selvaggio figlio deiboschi.

- Allora avranno da fare con noi.

“Se si fermeranno fino a questa sera porteremo loro via lascialuppa. Vorrei però essere ben sicuro se sono sbarcati o se sono naufragati.”

- M’incarico io- disse l’indiano. - Io non ho nulla datemere da quegli uomininon essendo le mie tribú in guerra con loro.

- Va’mastro Provvidenza- disse il terribile guascone. -Tu diventi di ora in ora un uomo sempre piú prezioso.

L’indiano si gettò fra il palmito e s’allontanòsenza far rumorementre i tre avventurieri si spingevano cautamente prima versol’uno e poi verso l’altro braccio del Maddalena.

Gli spagnuoli dovevano aver preso proprio terrapoiché lacorrente non trascinava che dei tronchi d’albero e degli enormi ammassi diradicile quali fluttuavano come altrettante zattere.

- Se ci fosse fra di loro il marchese di Montelimar? - sichiedeva don Barrejomordendosi i baffi grigiastri. - La faccenda del tesorosarebbe bella e finita.

L’assenza dell’indiano non durò piú di un’oraegiunse al campo correndocome se fosse inseguito. I tre avventurieri eranobalzati prontamente sui loro archibugitemendo un attacco.

- Che cosa c’è? - chiesero ad una voce.

- Sono sbarcati- rispose l’uomo rosso.

- Non era necessario che tu ti affannassi tanto a correre-disse don Barrejo.

- Ne ho uno alle calcagna.

- Uno di quegli uomini?

- Síuomo bianco.

- Sei stato dunque scoperto? - chiese Mendoza.

- Nosignore. L’uomo che si avanza forse ha intenzioned'esplorare l’isola o di sparare qualche colpo di fucile.

- È lontano? - chiese De Gussac.

- Sarà qui fra poco.

- E gli altri? - domandò don Barrejo.

- Si sono accampati all’opposta estremità dell’isoladopo d'aver messo in secco la loro canoa.

- Hanno canne che tuonano?

- Una sola che tiene l’uomo che mi segue.

I tre avventurieri si scambiarono uno sguardopoi una parolauscí dalle loro labbra: - Prendiamolo!...

Non vi era bisogno di preparare un agguatopoiché l’esploratoreo cacciatore che fossedoveva fatalmente impegnarsi in mezzo a queimeravigliosi ammassi di passifloree non esistendo che un solo passaggioquello aperto dalle draghinassenon poteva prenderne altri se voleva avanzare.I tre avventurieri si ritrassero nel loro rifugio ed attesero impazientemente illoro uomo.

Udirono prima un colpo di archibugiopoi quel grido che nonmanca mai di lanciare il cacciatore quando ha messo a terra qualche volatile oqualche capo di selvaggina.

- Non è che a pochi passi da noi- disse don Barrejo. - Nonlasciamogli il tempo di sparare.

Trascorsero alcuni minutioccupati forse dal cacciatore araccogliere la sua selvaggina ed a ricaricare l’archibugiopoi nel palmitosi udirono a scrosciare le foglie secche che coprivano il suolo.

L’uomoignaro del pericolo a cui andava incontroeragiunto dinanzi alla grande massa delle passifloree dopo d’aver esitato unpo'si era cacciato nel passaggio aperto dalle draghinassequantunque tuttiquei rami ancora freschisparsi al suoloavrebbero dovuto metterlo insospetto.

- Attenti!... - sussurrò Mendoza.

Si erano messi due da una parte e due dall’altra delrifugio. L’indiano teneva alzata la sua terribile clava.

Lo spagnuolo finalmente comparve.

Era un giovane soldatobruno come un andalusotutto nervi emuscoli e gli occhi ardentissimi ed irrequieti. Aveva appena messo i piedidentro il rifugioquando tre fucili lo presero ad un tempo di miramentre donBarrejo gridavacon tono minaccioso:

- Arrenditio sei morto!...

Il soldatoquantunque perso alla sprovvistatentò di farequalche passo indietro per servirsi anche lui dell’archibugioma De Gussac inun baleno gli fu sopra e lo disarmòmentre don Barrejo ripeteva:

- Arrenditio sei morto!...

- Volete assassinarmi? - chiese il soldatoimpallidendo. -Chi siete voi? Che cosa fate qui?

- Chi siamo noi sarebbe un po' difficile a spiegarvelogiovanotto- rispose don Barrejoridendo. - Siamo uomini che non siclassificano piúma che hanno sulla loro coscienza un bel numero di colpi dispada e d’archibugio.

“Volete sapere che cosa facciamo?

“Nientesignor mio: attendevamo che qualcuno ci portasseun po' di tabacco per scacciare la noia. Voi ne avete: io me lo prendo!”

Il terribile guasconementre Mendoza e De Gussac tenevanoben fermo il prigionierolo frugò e gli tolse una borsa ben gonfia di tabacco.

- Grazie!... - gli disse.

- Siete un ladro- rispose lo spagnuolofremente.

- Io non mi offendo affattoquantunque sia un tale uomoinaltre occasionida scucire il ventrecon un colpo di draghinassaad uninsolente pari vostro.

“Pel momento penso che una buona pipata di tabaccodopoche da una settimana e piú ne sono privopuò valere un’offesagiovanotto.

“Badate peròche noi siamo di quei terribili filibustieriche hanno fatto tremare e piangere le colonie americane d’oltre oceano.”

Il soldato era tornato ad impallidire. Il nome deifilibustieri era troppo noto per non dare un gran fremito di terrore a qualunquepersona avesse appartenuto alla nazione spagnuola.

- Mendoza- continuò l’implacabile don Barrejo- disarmaquest’uomo e legalo. Bisogna che canti se vuole vivere.

L’indiano strappò da una pianta alcune liane e le porse aDe Gussacil quale si affrettò ad avvolgerle intorno al prigioniero.

- Oraamico- riprese don Barrejo- sciogli la lingua edapri bene gli orecchi. Ricordatiinnanzi tuttoche il fiume è profondo e chela sua corrente non rende piú la preda che le si affida.

- Che cosa volete dunque da me? - chiese il giovaneimpressionato da quella minaccia.

- Dirciinnanzi tuttose fra voi si trova il marchese diMontelimar.

- Nove lo assicuro: la sua canoa deve essere ancoramolto lontana.

- Ah!... Scende il fiume con delle barche? Chi gliele hafornite?

- Una piccola tribú di indiani pescatori.

- Che avretesi capisceprima sterminati.

Lo spagnuolo non rispose.

- Di quei disgraziati non m’importa- continuò ilterribile guasconedardeggiando sul giovane uno sguardo pieno di minaccia. -Conosciamo troppo bene qual è il vostro sistemaed il diavolo non ha messo almondo per niente i filibustieri. Lagrima contro lagrima; colpo di spada controcolpo di spada; strage contro strage; e noisignor mione abbiamo compiuteabbastanza ai vostri danni.

“Ditemi un po' come se l’è cavata il marchese contro imangiatori di carne umanache lo avevano assalito.”

- Vittoriosamente.

- E contro la piena?

- Un disastro...

- Continuare- disse don Barrejo. - Qui bisogna parlare ofinire in fondo al fiume.

- La piena ci ha distrutti quasi tutti- rispose ilprigioniero.

- Non vi è che una canoa dietro di noi montata dalsignor marchese.

- E da quanti uomini?

- Ah!... Non so!...

- Ehiamicoallungate la lingua- disse don Barrejosguainando la draghinassa.

- Pochi.

- Il numero.

- Potete annegarmise vi piaceio non lo so.

- Noi non siamo dei cannibali per mandare subito all’altromondo un giovanotto pieno di vita come siete voi. Alla vostra età forse nonavevo tanto coraggiocome non ne aveva Enrico IV.

- Non so chi siasignore.

- Il piú grande re che abbia avuto la Franciama ciò nonvi deve interessare.

“È solo del marchese di Montelimar che pel momentodobbiamo occuparci.

“Voi dite che scende il fiume con una canoa e che lasua scorta è stata distrutta?”

- Spazzata via dall’inondazione che ci ha sorpresi sullerive del fiumeprima che tutte le canoe fossero giunte.

- Ecco una notizia importantissima- disse don Barrejocolla sua solita calma ironica. - Peccato che non abbia scopato via anche S. E.l’illustrissimo marcheseperò di questo affare mi occuperò io.

“Dove siete diretti?”

- Al Darien.

- Per conquistare l’eredità del Grande Cacicoè vero?

- Credo che il signor marchese abbia questa intenzione.

- Sa che dinanzi a lui ha un corpo di filibustiericapace dicontrastargli il passo e di farlo correre fino a Segovia-Nuovase vi è rimastauna casa?

- Non lo so: si è parlato però di un gruppo di ladroni delmarevenuti dalle sponde dell’oceano Pacificodiretto verso quelle dell’Atlantico.

“Di piú io non potrei dirvi.”

- Allora lasciate che prenda la vostra pipa e che la carichi.Se fumiamo noifumerete anche voi.

Il guasconeunendo i fatti alle paroletolse al prigionierola pipagliela riempígliela accese e si degnò di mettergliela perfino inboccadicendo:

- Fumate senza timore: il tabacco spagnuolo è sempre statoeccellente.

“Ah!... Contro chi avete fatto fuoco poco fa? Sarei curiosodi saperlo.”

- Su un uccellaccio che è scappato viabenché gli avessispezzata un’ala.

- Ciò non sarebbe accaduto ad un filibustiere- disse donBarrejo. - Fumatee noicameratiaccendiamo i nostri camini e mandiamo giú l’arrostodi tartaruga.

I tre avventurieri si gettarono al suolocolle ginocchiaripiegate e si misero a fumare allegramentein attesa che la notte scendesseper tentare l’audace colpo di mano già progettato.

La giornata passò tranquillissima. L’indianosempre allascopertaaveva riveduto i sette spagnuoli seduti intorno al fuocooccupati adarrostire la tartaruga che gli avventurieri avevano catturata e che non avevaancora avuto il tempo di guadagnare il fiume.

Verso il tramonto don Barrejo fece legare solidamentealtronco d’una palmail disgraziato prigionieroe disse:

- Andiamo: è l’ora.

 

 

Capitolo XXIV

LA CACCIA AL MARCHESE

 

Gli astri cominciavano a fiorire in cieloquando i quattrouomini si cacciarono in mezzo al palmitocolla ferma intenzione diportar via la canoa agli spagnuoli.

L'indianoche udiva tutto e sentiva tuttoera dinanzi eguidava i tre avventurieri attraverso alle cupe ombre proiettate dalle altissimee foltissime piante.

Sulle sabbie che costeggiavano la macchiale tartarughecominciavano a ritornare e scavare frettolosamente delle ampie buchecollerobuste zampe anterioriper seppellirvi dentro le loro uova.

Giungevano sempre in ranghi piú fittiformando delle lunghelinee che di quando in quando si spezzavanoprendendo delle direzionitrasversaliinoltrandosi dove le dune sabbiose erano piú alte.

La luna cominciava a luccicare in cielotingendo le acquedel Maddalena di splendidi riflessi argenteiquando l'indiano ed i suoicompagnii quali si erano avanzati attraverso il palmito con grandiprecauzionitenendo gli archibugi pronti a far fuocoscorsero i fuochi delpiccolo accampamento spagnuolo.

- Hai veduto dove si trova la scialuppa? - chiese don Barrejoall'indiano.

- L'ho veduta.

- Ah!... Giàmi dimenticavo che tu vedisenti ed odisempreessere straordinario.

“Come potremmo avvicinarci senza farci scorgere?”

- Seguendo le dune di sabbia. Sono abbastanza alte pernascondervi se camminerete curvi.

- Qualcuno la veglierà di certo- osservò Mendoza.

- Un colpo di draghinassa e tutto sarà finito. Scendiamoverso le dune.

Lasciarono il palmitoil quale cominciava adiradarsie scesero verso la rivagettandosi in mezzo ai monticelli di sabbiaformati dalle piene.

Scorgevano benissimo gli spagnuoli seduti intorno a duefuochicolle pipe in bocca. Un odore di grassodovuto probabilmente allafamosa tartarugaappestava l'aria.

Quel disgraziato rettile doveva aver fatto le spese dellacolazione e del pranzo. È noto però che gli spagnuoli sono frugali forse piúdei turchie che quando sono in campagna si contentano d'una sigaretta amezzodíd'una cipolla al tramonto e d'una serenata quando hanno le lorochitarre.

Don Barrejo li contò attentamente.

- Sei- disse. - Uno è il prigionieroe l'altro dov'èandato a cacciarsi?

“Quel settimo m'inquieta.”

- Perchédon Barrejo? - chiese De Gussac.

- Perché sono sicuro che è a guardia della canoa.

- Gliela prenderemo sotto il naso- disse Mendoza. - Avantie non levate il dito dal grilletto degli archibugi.

“Vi sarà odore di polverene sono sicuro.”

Tenendosi ben curvi e sempre guidati dall'indianosispinsero attraverso le dunefinché ebbero oltrepassati i fuochi deglispagnuoli.

La canoa stava dinanzi a loroarenata sulla sabbia.

Un urto solo sarebbe bastato a lanciarla nel fiume.

- Vedi qualcuno? - chiese don Barrejo all'indianoil qualenon cessava di esplorare.

- Síun'ombra.

- Un uomo?

- Certo.

- Che veglia sulla canoa?

- Lo credo.

- Mendozatu sei sempre sicuro dei tuoi colpiè vero?

- Non sarei un filibustiere- rispose il basco.

- Spacciami quell'uomo mentre noi gettiamo nel fiume la canoa.

- Mi basta una palla sola.

Si appoggiò ad una duna di sabbiapuntò l'archibugio emirò con estrema attenzione l'ombra umana che si scorgeva presso la canoa.

Don Barrejo e gli altri si erano slanciatirisoluti adimpegnare una feroce battagliapur di conquistare quel galleggianteben piúmaneggiabile dello zatterone.

Ad un tratto un colpo di fuoco echeggiò cupamente nellanotte.

Si udí un grido:

- All'armi!...

L'uomo però era cadutofulminato dalla infallibile palladel basco.

Nel campo spagnuolo si udirono delle grida.

- Alle armi!... Alle armi!...

I due avventurieri e l'indianolesti come scoiattoliavevano gettato giú in acqua la canoa ed il basco giungeva correndo.

- Ferma!... - urlano cinque o sei voci. - Ferma!...

- Síprendeteci- rispose don Barrejoafferrando un remo.

Alcuni colpi di pistola rimbombaronotroppo lontanifortunatamente per gli avventurieri.

- Al largo!... - urlò Mendozaprendendo l'archibugio di DeGussace sparando un secondo colpo.

La canoapresa dalla corrente sempre rapidissimabalzò sulle onde e si gettò entro il braccio di destra del Maddalena.

Non aveva percorsi cento passiquando in lontananzaa montedel fiumesi udirono a rombare dei colpi di fuoco.

Un'altra canoache spiccava vivamente sulle argenteeacque del Maddalenascendeva la corrente. La montavano solamente tre uomini.

- Che sia il marchese? - si chiese don Barrejocon una certaansietà. - Mendozasei sempre sicuro dei tuoi colpi?

- Síse messer Belzebú non ci metterà la coda- risposeil basco.

- Io ho troppi conti da saldare con S. E. il signor marchesemio compatriotta.

- Vedremo di chiuderli con tre palle- rispose il bascoricaricando l'archibugio. - Sono ancora molto lontaniperò sono sempre un buontiratore anche a duemila passi. Lasciali venire.

I colpi di fuoco si succedevano sulla seconda canoache il fiume travolgeva in una corsa rapidissima. I tre uominiallarmati dallegrida dei loro compagnidovevano essersi accorti di qualche brutto tiro esparavano all'impazzata.

Disgraziatamente non erano né filibustieriné bucanieriele palle volavano ben alte.

- A te dunqueMendoza- disse don Barrejocon accentoselvaggio. - Il cuore mi dice che in quella barca vi è il marchesee quelmarchese che ha assassinato il mio compatriotta.

- La barca oscilla troppo.

- Compi un miracolocamerata. Anche le navi dei filibustierirollano e beccheggianoeppure le palle giungono sempre a destinazione sui pontidei galeoni.

Il basco misurò collo sguardo la distanza.

- Mille e cinquecento passi almeno- disse poi. - Qui civorrebbe Buttafuoco.

“Tuttavia cercherò di accontentartipurché vi teniatetranquilli.”

Si era disteso sul banco di poppaappoggiando l'archibugiosul bordo. La canoa spiccava sempre nitidissima sul fiume argenteosucui la luna rovesciava i suoi raggi.

- Ci sei? - chiese don Barrejoil quale pareva in preda aduna strana agitazione.

- Taci!... - rispose Mendoza. - Non mi seccare in questomomento terribile.

“Non so se il marchese si trovi in quella canoamasento che la canna del mio archibugio lo cerca.

“Anch'io odio quell'uomo che ha fatto appiccare il famosoCorsaro rosso.

“Tacete tutti!...”

Don BarrejoDe Gussac ed anche l'indiano erano diventatimuti e non si curavano piú della loro imbarcazione che la corrente portavasulle sue ondate violente.

Stavano curvi sul tiratore meravigliosospiando ogni suamossa.

La fiumana continuava a rumoreggiare sinistramente.

Mendoza due volte alzò l'archibugio bestemmiandocontro lafuria dei fluttipoi sparò.

- Mancato- disse. - Dammi il tuo archibugiodon Barrejo eprepara anche il tuo De Gussac. Li proverò tutti tre.

“Non parlate.”

Prese il fucile che il terribile guascone gli porgeva eriprese la miramentre la canoa continuava a rimbalzare.

Si udí un secondo sparo seguíto da un urlo. I tre uominierano diventati due.

- Che sia il marchese che è caduto? - chiese don Barrejo.

- La luna è splendidaeppure i miei occhi non arrivano finoa quella canoacosí bene da distinguere le persone.

Il guascone si volse verso l'indiano:

- Tu che vedi tuttoche senti tutto e che odi tuttosapresti dirmi se l'uomo che è caduto è un giovane od un vecchio?

Il pelle-rossa lo guardò come si guarda un pazzopoiscrollò le spalle dicendocon una leggiera punta ironica:

- Io non sento e non vedo piú niente.

- SparaMendoza!...

- Sei preso da una vera furia di sangue? - chiese il basco.

- Là vi è il marchese.

- Chi te lo ha detto?

- Nessunoeppure anch'io qualche volta sento come questoindiano.

In quel momento due lampi balenarono sulla prora della canoa.

Si rispondeva alla feroce provocazione del bascoperòcomeabbiamo dettosolo i filibustieri ed i bucanieri potevano sparare a tantadistanzacon qualche probabilità di successo.

La mira però era stata abbastanza esattapoiché gliavventurieri udirono distintamente il miagolío dei grossi proiettili usati inquell'epoca.

- Rispondidunque- disse don Barrejo.

- Calmacompare- disse Mendoza. - Se vuoi provare tuticedo il posto.

- In questo momento non saprei fare assolutamente nulla.

- Vivaddioquel marchese ti ha scombussolatomio poveroamico.

- Lo confesso. Proviamo il tuo fucile.

- Sarà forse meglio- rispose Mendoza.

Tornò ad allungarsi sul banco e mirò a lungo i due uominiche montavano la canoa e che ormai non rispondevano piú al fuoco come seavessero esaurite le loro munizioni. Lo sparo si ripercorse lungamente sotto lenere boscaglie che fiancheggiavano il fiumefacendo saltare fuori dall'acquaparecchi caimani. Mendoza si era passata una mano sulla frontela quale si eracoperta di sudore.

- Eppure- disse- io sono uno dei migliori archibugieridella filibusteria e quasi mai ho mancato ai miei bersagli umani.

- C'è dunque il diavolo in quella barca!... - esclamò donBarrejoprofondamente impressionato.

- Sívi è quel demonio di marchese là dentro- risposeil bascocon voce alterata. - De Gussacdatemi il vostro archibugio.

Dopo un minuto un altro sparo echeggiòed i treavventurieri e l'indiano mandarono un grido di trionfo.

Un altro era caduto nel fondo della scialuppa e probabilmenteper non rialzarsi piú mai.

Il terzo rimaneva ritto a proracome se volesse sfidare ilfuoco. Il suo vestito tutto nero spiccava sinistramente fra la gran pioggialunare.

- Ancora un colpoMendoza- disse don Barrejo.

Il basco osservò attentamente quell'uomo il quale pareva cheassumessedi momento in momentoalmeno agli occhi degli avventuridelleproporzioni gigantesche.

- Quello non cadrà- disse. - Il diavolo deve proteggerlo.

Sparò tre colpi provando tutti gli archibugima l'uomo nerorimase immobile sulla prova della scialuppa. Nessun proiettile l'avevaprobabilmente sfiorato.

Mendoza lasciò cadere l'ultimo archibugiodicendo:

- Solo il ferro potrà uccidere quell'uomo. Non oso piú farfuoco.

In quel momento avvenne un urto che fece cadere gliavventurieri gli uni su gli altri.

- Che cosa c'è ancora? - chiese don Barrejo all'indianoilquale era stato piú lesto ad alzarsi.

- Ci siamo arenati su un altro isolotto- rispose l'uomorosso- e mi pare che la prora si sia sfondatapoiché vedo entraredell'acqua.

- È questa la notte fatale degli ultimi filibustieri!... -esclamò il basco.

L'indiano aveva detto il vero.

La canoatroppo vecchia e troppo tarlatanon avevaresistito ad un secondo arenamentoe la sua prora si era spaccata contro unmasso emergente fra le sabbie dell'isolotto.

- Sbarchiamo- disse don Barrejo. - Vedremo di accomodarlapiú tardise ci sarà possibile.

La tirarono in secco perché la corrente non la portasse viae balzarono sulla sabbia. Quell'isolotto non misurava che un centinaio di metridi lunghezza su cinquanta di larghezzae sul suo suolo vegetavano magramentedei puglices.

I tre avventurieri si erano stretti l'uno contro l'altrofissando intensamente la scialuppa montata dall'uomo nero.

La scialuppaabbandonata a se stessaveniva spinta versol'isolotto. Doveva fatalmente arenarsi.

Passarono dieci o quindici minutipoi l'investimento sullesabbie successe. L'uomo che la montava non aveva nemmeno traballato alla scossa.Sbarcò lentamentesenza affrettarsie mosse incontro ai tre avventurierichelo guardavano con crescente spaventodicendo con voce ironica:

- Era tempo che vi raggiungessi.

- Il marchese Montelimar!... - avevano esclamato ifilibustieriretrocedendo.

- Sísono proprio io- rispose il vecchio gentiluomoincrociando le braccia sul petto e guardandoli bene in viso. - Osereste oraassassinarmi?

- Signor marchese- disse don Barrejo- anche voi avetetentato di appiccarmie sarei già partito da tempo per l'altro mondosenzal'aiuto d'un mio compatriotta.

- Che io ho ucciso- disse il gentiluomofreddamente. - Chitradisce deve pagare.

- Sul corpo però di quel disgraziato sergente io hopronunciato un giuramento.

- Quale? - chiese il marchesesorridendo sempreironicamente.

- Di vendicare un giorno la sua morte.

- Nessuno ve lo impediscesignor mio. Ho una spada anch'ioal fiancoed i Montelimar sono sempre stati abili spadaccini.

- Non come i piccoli nobiluzzi della Guascogna- disse donBarrejoil quale aveva ripresa tutta la sua audacia. - Ed ora ve lo proverò.

“Signor marcheseavete dinanzi a voi tre buoni spadacciniche si misureranno uno ad uno contro di voi.

“Tanto peggio per chi cade.”

- Ah!... Mi offrite una cavalleresca partita d'armi!...

“Non vi credevo tanto gentiluomo.”

- Cosí imparerete meglio a conoscere i guasconise nonsarà troppo tardi per voisignor di Montelimar. Io voglio provare l'acciaio diFrancia contro il rinnegato che impugnerà una Toledo.

- E finissimaamico.

- Tanto meglio.

- E bucherà terribilmente.

- Ah!... Bah!... La vedremosignor marchese- disse donBarrejo.

Poifacendo un leggiero inchinoaggiunse:

- Domando di provare la mia draghinassa guascone contro lavostra Toledo.

Il marchese sfoderò la sua spada la qualepercossa dallalunamandò un lampo abbacinante.

- Sarete il primo che farete il grande viaggio- disse.

- Basta con le chiacchieresignor marchese: battiamoci finoalla morte.

“Fatemi largoamicie se io cadròcercatecolle vostrespadedi vendicarmi.”

Si erano messi in guardiaa cinque passi l'uno dall'altro.

Il fiume rumoreggiava lungo le sponde dell'isolotto; gliuccelli notturni lanciavano attraverso i boschi il loro grido malinconico espaurito; la lunanella pienezza del suo splendoredeclinava lentamente dietrole vette dell'alta sierra.

De Gussac e Mendoza si erano messi da partetenendo le spadein pugnoper pervenire qualunque sorpresa da parte del marchese.

L'indianoappoggiato alla sua clavaguardava con vivacuriosità i combattenti. Fu il marchese che pel primo portò una terribilebotta al guasconegridandogli:

- Assaggia questa!... È dei Montelimar!...

Don Barrejo checome abbiamo dettoaveva ripreso tutto ilsuo sangue freddo dinanzi al pericolofu pronto alla parata e rispose con unafulminea stoccata di secondagridando:

- È questa è dei guasconi.

I merletti che orlavano la giubba di seta del marchesevolarono in brandelliall'altezza della cintura.

- Ah!... - esclamò il gentiluomocon il suo irritantesorriso sardonico. - Non credevo che i guasconi fossero cosí forti.

- Oh!... Ne sentirete ben altre delle stoccatesignormarchese- rispose don Barrejorimettendosi prontamente in guardia. - Nelmondo sono due le terre che creano i migliori spadaccini: l'Italia e laGuascognaed io ho l'onore di essere figlio di quest'ultima.

“Quando vorretevi aspetto.”

Il Montelimarinvece di assalirestese la sua superba lamadi Toledodirigendo la punta contro don Barrejo e batté due voltecoi piedil'invito.

- Potreste aspettarmi un annosignor marchese- disse ilguascone- perché io quando mi batto ho la buona abitudine di aspettare semprel'attacco dell'avversarioe vi confesso che non ho mai avuto da pentirmene.

“La vostra guardia è splendida ma non potrà durare finoal sorgere del sole.”

- Ostinato!... - urlò il marchese.

- Signor miodifendo la mia pelle.

Il marchese scattòportando a don Barrejo un colpo diterzache se l'avesse côlto l'avrebbe mandato subito a passeggiare fra icelesti cimiteri dei guasconise il taverniere d'El Moro non si fossesalvatosaltando indietro.

- Mi scappi? - ruggí il marchese.

- Niente affattosignor di Montelimar- rispose donBarrejo. - Cerco di conservare la mia pelle per vedere se la torricella del miomiserabile castelluccio si erge ancora orgogliosa o se è diroccata.

“Non so però se voi rivedrete le grosse torri del castellodei Montelimar”

- Tanto forte vi credete?

- Diavolo!... Ve ne sono altri due dietro di mecoi qualidovretecavallerescamentefare i contise io avrò la disgrazia di cadere.Ciò però io non credoalmeno per orapoiché ho conosciuto il giuoco deiMontelimar.

- Lo credete? Ebbeneaspettate!...

Il marchese si era bruscamente curvato verso terracome perraccogliere una manata di sabbia e scagliarla negli occhi del suo avversario.

Mendozaaccortosene a temposi era slanciato innanzi collaspada tesagridando:

- Alto làsignor marchese!... Qui si disputano delle vitema non si devono assassinarle vigliaccamente.

“Se toccate ancora la sabbia vi giuro che la mia spada vipasserà attraverso il corpo fino alla guardia.”

- Voi siete in quattro- disse il marchesecon voce rauca.

- Uno si batte e gli altri tre stanno guardandovi.

Il marchese si morse le labbra a sangue e si rimise inguardia.

Don Barrejo non si era mosso: aspettava l'attacco su unaparata di seconda.

- Orsúsignor marchese- disse. - Riprendiamo il nostrodivertimento?

- Quando vorretese vi spingerete all'attacco.

- Se vi ho detto che non ne ho l'abitudine. Assaliteed iomi difenderò. Siete d'altronde padronissimo d'infilzarmi come un beccafico.

- Ah!... Non volete muovervi?... - urlò il marcheseesasperato.

- No!... - Rispose don Barrejo.

Il marchese fece balenare in ariatre o quattro voltelasua spadacome se cercasse un buon punto dove immergerla senza il pericolo d'unarresto.

Don Barrejofermo come una rupeaspettava.

Mendoza e De Gussac si erano avvicinatiper non perderenulla di quel terribile combattimento che doveva finire colla morte dell'uno odell'altro avversario.

Vedendo il guascone affatto tranquillo e padrone assoluto delsuo ferrocominciavano a sperare in una vittoria.

Il marchesedopo quei molinelliaveva attaccatorisolutamentea corpo perdutospingendosi audacemente sotto la draghinassa chegli minacciava il petto.

Per qualche minuto vi fu uno scambio di stoccatedate eparate abilmente da una parte e dall'altrapoi il marcheseche non erariuscito ad aprirsi un varco attraverso la draghinassa del guasconebalzòindietrodicendo con voce un po' alterata:

- Siete ben forte.

- Tutti i guasconi sono cosí- rispose don Barrejo.

- Oh!... Non cantate però ancora vittoria. Ho ben altricolpi da tirare e che vi faranno sudar sangue.

- Potreste anche ingannarvisignor marchese. Anche iguasconi hanno le loro bòtte segrete e finora non ne ho usata alcuna.

- Che cosa aspettatedunque?

- Il buon momento.

- Vedremo se ve lo lascerò scegliere.

Per la seconda volta il marchese si spinse all'assaltoconuna foga che un giovanotto gli avrebbe invidiatae ritentò di far passare lapunta della sua spada sulla draghinassa.

Fatica inutile: il suo ferro incontrava sempre il ferrodell'avversariotenuto da una mano veramente poderosa.

- Avanti le bòtte dei guasconi- urlòesasperato. -Vediamo una buona volta!...

Attaccava sempre con furoredecisoa quanto parevaa farsiucciderema anche ad uccidere prima di cadere.

Per un altro minuto i ferri scrosciaronolampeggiando airaggi della lunapoi il guasconeche fino allora si era limitato sempre aparareper ben conoscere il giuoco dell'avversariosi spinse a sua voltainnanzie dopo d'aver fatto un arrestoportò sul marchese un colpo di primaforzandogli il ferro.

Montelimar aveva dato indietrocomprimendosicon una manoil petto.

- Signor marchese- disse don Barrejo- siete feritomipare.

- Bah!... Una semplice graffiatura che ora vi farò pagarecara.

- Volete riposarvi un momento?

- Un Montelimar non accetta simili generosità da un parivostro.

- Signore!... Ho uno stemma anch'io.

- Che avete trascinato nel fangoimbrancandovi coifilibustieri. Se sono questi i piccoli gentiluomini della Guascognavi faccio imiei complimenti.

Don Barrejo era diventato pallidissimo e aveva piantati isuoi occhi in quelli del marchese.

Mendoza e De Gussac non fiatavanoattendendocon angoscial'ultima stoccata. L'indiano conserva la sua solita impassibilità.

Questa volta fu il guasconeche contrariamente alle sueabitudinisi gettò impetuosamente contro il marchesevibrandogli tre oquattro stoccate l'una dietro l'altrache lo costrinsero a rompere.

- Bisogna finirla!... - urlò ferocemente don Barrejo.

Il marchesedinanzi alla furia di quegli attacchicontinuava a romperementre a pochi passi da lui rumoreggiava il fiume.

Pareva che non si fosse accorto che aveva alle spalle unaltro nemico.

Don Barrejo continuava a caricare. Dai due ferripoderosamente percossisi sprigionavanodi quando in quandodelle scintille.

Se il guascone però era famosoanche il marchese era unospadaccino da far paura. Indietreggiava ma parava semprecon rapiditàfulminearibattendo le bòtte del suo avversario.

Ad un tratto mandò un grido di furore.

Aveva messo il piede sinistro in acqua e si trovava contro ilfiume. Con un assalto furioso tentò di riacquistare il posto perdutoquandouna terribile stoccata gli squarciò il cuore.

Il guascone aveva fatto il suo colpo.

Il marchese rimase un momento dirittocon gli occhisbarratiil volto congestionatopoi si lasciò andare dentro il fiume.

- Morto!... - esclamarono Mendoza e de Gussacaccorrendo.

- Questo Montelimar non ce lo rivedremo piú mai dinanzi-rispose don Barrejocon voce alterata.

La corrente si era impadronita del cadavere. Lo fece giraredue o tre volte su sé stessopoi un gorgo inghiottí il disgraziatogentiluomo. In quell'istesso momento la luna si era offuscata come si fosseabbrunata per la morte del terribile vecchio.

I tre avventurieri sostarono a lungo sulla riva del fiumecolla speranza di veder rimontare a galla il cadavere e seppellirlo fra lasabbia dell'isolottoe cosí sottrarlo alla voracità dei caimanigià moltonumerosi sul Maddalena.

- Il diavolo se l'è portato via- disse De Gussac.

Né don Barrejoné Mendoza risposero. Quei due fortiuominiche avevano sfidato il fuoco di tante battaglieparevano costernati.

L'indiano nel frattempo aveva rimessa a galla la scialuppadel marchesedicendo:

- Uomini bianchipartiamo: io odo il rombo delle cascate.

“Domani mattinae forse primanoi vi giungeremo.”

I tre avventurieri presero posto nell'imbarcazionesenzascambiarsi una parola. L'indiano aveva preso le pagaie e guidava con manosicuraessendo gli uomini rossi quasi tutti insuperabili battellieri.

Avevano percorso duecento passiseguendo il filoancoragonfiodalla correntequando scorseroattraverso la luce lunare che eratornata a scintillare purissimauno stormo di uccellacci neri.

- Gli urubu- disse De Gussac. - Hanno fiutato ilcadavere del marchese.

Quasi nell'istesso momentoa pochi passi da loroun gorgospingeva alla superficie il gentiluomofacendolo roteare su sé stessorapidamente.

- È dunque il demonio quell'uomo!... - urlò don Barrejolevando la draghinassa. - Dovevo tagliargli la testa!...

Il cadavere era nuovamente scomparsomentre gli urubudelusi nelle loro speranzesi innalzavano nella purissima atmosferastrepitando.

 

 

Capitolo XXV

IL TESORO DEL GRAN CACICO

 

L'indomaniassai prima dello spuntare del solela scialuppasi fermava sulla rivasulla quale fiammeggiavano innumerevoli fuochi.

Le cateratte del Maddalena non erano che a poche centinaia dipassi ed i salti d'acquaspaventosi a vedersiproducevano un fragore tale daimpressionare qualunque uomo per quanto fosse stato coraggioso.

I filibustieri stavano làcon ButtafuocoRaveneau deLussan e la contessina di Ventimigliatutti occupati a costruirecon dei ramie dei giunchidei grandi panieri.

Invano avevano cercato di oltrepassare la cascataseguendole rive. Rupi spaventevoli e abissi senza fondo li avevano arrestati proprioquando si trovavano a pochi passi dal Darien.

L'accoglienza fatta ai tre prodidopo tanti giornid'assenzacome si può immaginarefu calorosissima. Quello però che piúgradirono fu una stretta di mano della contessina.

- Ora siamo liberi- disse don Barrejo a Raveneau ed aButtafuoco- poiché il marchese è morto e conduciamo con noi un suddito deldefunto Cacico.

“Non tardiamo piú oltre ad entrare nel Darienora chenessuno ci ostacolerà la marcia.”

- Quando avremo discesa la cascatanon perderemo né ungiorno né un minuto- rispose il capo dei filibustieri. - Io non avevoprevisto un cosí grande ostacolo.

- Sperate di superarlo?

- Lo speriamo mercé certi panieri di mia invenzione. Ladiscesa sarà però spaventosa e vi posso dire che molti dei miei uominipreferirebbero ammazzarsi piuttosto che subire una cosí tremenda prova.

- Se vorrete saremo io e Mendoza a fare pei primi la prova.Siamo buonissimi nuotatori e anche uomini da sapercela cavare sempreanchenelle piú disastrose condizioni.

- Ho veduto come siete giunti qui dopo tante avventure-rispose Raveneau. - Vi calcolavamo già morti.

- Noi!...

- Impiccati dal marchese di Montelimar.

- Mentresignor Raveneauil marchese ha dovuto fare i conticolla mia draghinassain un duello cavallerescocome si usa nel nostro paese.

“Se la sorte gli è stata contrariaio non so che cosafarci.”

- I guasconi sono sempre guasconiin qualunque angolo delmondo si trovino- disse Buttafuocoil quale assisteva al colloquio. - QuelMontelimard'altrondeci aveva già dati troppo fastidi.

“Sia pace alla sua anima.”

Intanto la fabbricazione dei panieri procedeva rapidissima.Erano specie di cesteprofonde un metro e mezzoe della circonferenza di unorinforzate con liane.

Ognuna doveva contenere due uomini.

Prima però di affidarsi alla terribile cascataifilibustieriche in fondo ci tenevano alla loro pellespecialmente ora chestavano per mettere le mani sulle favolose ricchezze del Gran Cacicoavevanofatto una serie di esperimenti per vedere se potevano fidarsi di queigalleggianti di nuova specie.

Ne avevano cosí lanciati cinque o seimettendovi in fondodei grossissimi sassi che potesserosu per giúpesare quanto due uomini edavevano constatato che avevano tutti disceso felicemente la cascatarovesciandosi solo dopo il salto.

Essendo i filibustieri tutti abilissimi nuotatorid'un bagnonon si preoccupavano.

Al momento però di tentare la grande provaun vero spaventoaveva invaso tutti quegli uomini che pur erano abituati a guardare in viso lamorte.

Quel grande salto di piú di venti metri e che finiva poi inuna rapidaera tale da impressionare tutti. Era soprattutto il rombospaventevoleche saliva dall'abissoche dava una forte scossa agli animi.

I panieri erano prontiabbastanza bene verniciati con resinedi pinoma nessun uomo si presentava per entrarvi.

Fortunatamente vi erano i due guasconi senza paura e Mendoza.

- Giacché gli altri non si decidonoproviamo noi- avevadetto il primo. - Dopo tutto non si tratterà di prendere che un brutto bagnoè veroMendoza?

Il basco fece una smorfia.

- E se i panieri si spaccano contro le roccie e noi venissimoscaraventati attraverso alla cascata senza piú nessun rifugio?

- Tu avrai mille ragionicompareed io ne ho altrettante.Vuoi che torniamo indietro ora che il Darien sta dinanzi a noi?

“Io credo che tutta questa faccenda finiràcome alsolitobenissimo.

“De Gussac parte coll'indiano e tu con me.”

- Volete proprio dare l'esempio? - chiese Raveneauil qualepareva pure in preda ad una profonda impressione di terrore.

- Ma sísignor mioi guasconi ed i baschi vanno sempreavanti a tutti.

- Se riuscitevi raccomando di stare attenti alla contessadi Ventimiglia che s'imbarcherà con Buttafuoco.

- La pescheremo quasi al volove lo assicuriamo- risposedon Barrejo.

Poialzando la vocegridò:

- Imbarcate!...

Due panieri forniti di perticheerano stati messi in acqua.

Il guascone numero uno e Mendoza salirono nel primofacendolo affondare col loro peso fino a metà; De Gussac e l'indiano montaronosull'altro.

I filibustierientusiasmati da tanta prova di coraggioavevano gridato per tre volte:

- Urrah per la Guascogna e per la Biscaglia!

La contessina di Ventimigliaassai commossaaveva salutatoi quattro audacifacendo sventolare il suo fazzoletto.

- Via!... - gridò don Barrejoprendendo una delle duepertiche. - Andiamo a vedere che cosa si trova sotto la cascata.

I panieri furono lasciati andare e trascinati rapidamenteverso il saltoil quale ruggiva spaventosamente lanciando cortine d'acquapolverizzata.

I quattro uomini cercavano di dirigersi alla meglio esoprattutto di non perdere l'equilibrioessendo quei panieri formati di scorzad'albero leggiero.

Ad un trattoquando meno se l'attendevanosi trovaronosopra il salto. Nessuno aveva potuto trattenere un grido di orrore nelcontemplare lo spaventoso spettacolo.

L'acqua della fiumana si precipitavaruggendoattraverso icanalicome fosse ansiosa di uscire da quella strettoia e di riprendere il suocorso tranquillo. I due panieri rotearono un po'presi dalle controcorrentipoi furono scaraventati con grande impeto.

Decisamente i guasconi ed il basco avevano una fortunastraordinariapoiché si trovaronosenza sapere il comesotto la rapida edancora dentro i panierii quali avevano meravigliosamente resistito allaterribile prova.

Si spinsero verso la rivamanovrando furiosamente lepertichee di là fecero segno ai filibustieri che li guardavano dall'altodelle roccedi tentare a loro volta la prova.

Fu quello il segnale delle partenze.

Sotto la direzione di Buttafuoco si formarono parecchiepiccole flottigliecollegate fra loro con forti lianeaffinché gli uominipotessero portarsi aiuto a vicenda.

Il gran salto ingoiava panieri ad ogni istantepoiché ormaitutti avevano fretta di raggiungere il basso della rapida.

Non tutti però uscivano salvi e alcuni rimanevanosfracellati in fondo alla cascata insieme alle persone che li montavano. Altriinvece si rovesciavano e i filibustieriperché valenti nuotatoririuscivanoancora a salvarsiperdevano però il frutto del loro bottino che dalle spondedel Pacifico avevano gelosamente conservato.

Raveneau de Lussannelle sue memoriefa una descrizioneemozionante che mette i brividi.

I piú arditi della banda- scriveva- tutto che avvezzi asfidare ogni sorta di pericolitremavano come fanciulli gettando gli occhi suquei mostruosi salti da dove l'acqua si scaraventavacon impeto irrefrenabilegiú nel profondo.

All'avvicinarsi di esse era d'uopo d'immensi sforzi da partedei navigantiper declinare alla sponda piú vicina.

Se ciò riusciva prendevano i panieriche erano piú o menomalmenatie ne levavano le poche provviste e le armi che avevano potutoconservare; se sfuggivanoi filibustieri si gettavano a nuoto aiutati daicompagni che li avevano preceduti.

Dopo due oretutta la banda si trovava accampata sul margined'un boscofra grandi falò prontamente accesi per asciugare le polveriinnanzi tuttoe la carne seccal'unico commestibile che possedevanoavendoormai consumato ogni cosa.

La contessa di Ventimigliala quale aveva affrontata laterribile prova con grande animo insieme a Buttafuocosi trovava nel campo.

Come ne avevano l'abitudinei piú rinomati filibustieri siradunarono a consiglio per decidere sul da farsi.

Prevalse subito l'opinione di mandare l'indianocon unascorta di dodici uomini armatinei grandi villaggi delle tribú del GranCacicoper avvertirle che l'erede attesa era finalmente giunta e che aspettaval'omaggio dei suoi sudditi alla frontiera del suo stato.

Era d'altronde l'unica decisione da prendersipotendo queifieri guerrieri allarmarsi per l'avanzata di tanta gente e tenderenelle grandiforestedelle disastrose imboscate.

L'indianoavvertito dalla decisione presapartí senzaindugiofiero di guidare una scorta di dodici uomini bianchi armati tutti dellecanne che tuonano.

Per tre giorni il campo rimase senza notizie della piccolaspedizionee già Raveneau e Buttafuoco cominciavano ad inquietarsiquandoverso il mezzodí del terzol'indiano ed i filibustieri si mostraronoaccompagnati da sessanta guerrieri armati d'archi e di rompi-costole e guidatidall'yunkoil piú vecchio e reputato stregone di tutte le tribú.

La lingua spagnuola era famigliare anche ai selvaggii qualinon potevano trafficare con nessun altro popolopena l'incendio dei villaggi edil sequestro delle derratequindi Raveneau e Buttafuoco s'intesero subito colpotente individuo che dalla morte del Gran Cacico guidava le tribú.

La contessina di Ventimiglia fu condotta sotto una capanna difrasche e mostrò a tutti i guerrieri il tatuaggio che portava sulla spalladestraformato da un triangolo con sette stelle racchiudenti un serpentellorosso.

La prova ormai era chiaralampantepoiché il misteriosotatuaggioconosciuto solo dagli stregoni della nazione e dai piú famosiguerrierinon poteva in nessun modo essere stato falsificatospecialmente dauna donna che giungeva dai mari dove il sole sorgeva.

- Tu sei quella che noi da tanto tempo aspettavamo- dissel'yunko alla contessina. - D'altronde anche senza quel segno tu possiedii lineamenti e gli occhi ardenti del defunto Cacico.

“Noi tutti siamo quindi pronti ad obbedirti.”

- La raccolta delle uova d'oro è assicurata- mormorò donBarrejoil quale si trovava presente alla prova con Buttafuoco e Raveneau. - Lafortuna della mia taverna è assicurata.

I guerrieri costruirono una specie di lettiga con ramid'albero e lianevi gettarono sopra le pelli di giaguaro e di coguaro cheportavano dietro le spalle ed alzarono la reginettamandando il loroformidabile urlo di guerra.

Tutti i filibustieri li accompagnavanoimpazienti di vederele favolose ricchezze del Gran Cacico.

La traversata dei grandi boschi fu compiuta felicemente. Inogni villaggio ove la contessina giungevariceveva subito l'omaggio dei nuovisudditied i filibustieri avevano viveri in grande quantità.

- Questa è una vera marcia trionfale- disse don Barrejo aMendoza ed a De Gussac. - Vorrei che durasse sei mesi almeno.

“Non credevo che questi selvaggiche fino a pochi anni faerano ancora dei formidabili mangiatori di carne umanafossero diventati cosígentili.

“Ah!... Quei Ventimiglia hanno avuto sempre una fortunaindiavolata.”

- Tu però non vorresti essere stato né il Corsaro Verdené il Rosso- gli rispose il basco- poiché non saresti qui a riempirmi gliorecchi delle tue eterne chiacchiere.

- Colle mie chiacchiere ti ho condotto però ben lontano.Parlano molto i guasconima agiscono anche molto.

- Ed i baschi noforse?

- Uhm!... Uhm!... - fece don Barrejoridendo.

- Furfantequando avrai aperto un nuovo albergo verrò atrovarti e farò il possibile per tagliarti un orecchio.

- Diventi un antropofagocompare? È vero che siamo sullaterra degli ex-mangiatori di carne umana.

Il buon basco credette opportuno rispondere con un'allegrarisataalla quale fece eco anche De Gussac.

L'indomani la truppa giungeva al grande carbet dellanazioneossia al grosso villaggio che tenevasotto di sécon pugno di ferrotutti gli altri minori dispersi in quell'immenso paese.

Le accoglienzecome si può immaginarefuronoentusiastiche.

Migliaia e migliaia di guerrieri scortarono la nipote deldefunto Gran Cacicodando segni della piú pazza gioiafino alla grandecapanna reale.

I filibustieri furono allogati in altre dimoreaccordandoloro il diritto di mettere le mani su tutti i viveri che vi si trovavano. Se neapprofittassero si potrebbe fare a meno di dirlo.

Alla presenza di tutti i capi dei villaggiil terzo giornodel suo arrivoperché cosí voleva la consuetudinela contessina ed ifilibustieri venivano condotti entro una spaziosa cavernadove si trovava l'oroa monti.

Erano milioni di piastrein pepite ed in polvereche ilGran Cacico aveva lasciato alla nipote.

Fu un casose don Barrejovedendosi dinanzi a cosícolossali ricchezzenon impazzí.

Si trattava ora di trasportare fino alla costa quel tesoroma la gente non mancava per preparare casse o vuotare alberi e trasformarsi poiin portatori.

Il golfo del Messico d'altronde era vicino ed i filibustieripotevano approfittare dei corsi d'acquaavendo messo gl'indiani a lorodisposizione un numero sufficiente di barche per contenerli tutti ed il tesoroinsieme.

Dopo tre altri giorni la contessinaormai troppo civilizzataper vivere in mezzo a quei selvagginominava il suo successore nella personad'un famoso guerriero che era stato intimo amico del Gran Cacico.

L'ora della partenza finalmente suonò. L'ereditàrinchiusain tronchi d'albero scavati accuratamentefu imbarcata su della grosse piroghemontate da robusti battellieri indigeniche non temevano le rapide.

Migliaia d'indianiprofondamente commossiscortarono finoal fiume la loro reginetta che non dovevano certo piú rivedere.

La separazione fu dolorosa per tutti. Anche i rudifilibustieriabituati a trattare gl'indiani come bestie ferociapparivanocommossi non meno dei selvaggi.

Cinque giorni piú tardi le imbarcazioni salutavanofinalmente le acque del gran golfo messicano.

La grande traversata dell'istmocosí pericolosa in queitempiera stata compiuta con pochissime perdite d'uominirimasti per lamaggior parte sotto la terribile cascata.

Furono mandati dei filibustieri a visitare le baie dellacosta e la fortuna che fino allora li aveva protettinon mancò nemmenoall'ultimo momentopoiché fu scovata una nave olandese che una tempesta avevacostretta a cercare un rifugio contro le furie dei venti e del mare.

Fu subito noleggiata ed avviata verso la Giamaicaportoallora aperto a tutte le nazioni e dove era piú facile trovare degli imbarchiper l'Europapoiché quella fertilissima isola manteneva frequenti rapporticolla madre patria.

Un milione di piastre fu messo a disposizione deifilibustieri da parte della contessina alla quale ne rimanevano molti altri.

A don Barrejo ed a Mendoza ne erano toccate abbastanza permettere su l'albergo che sognavanoavendo deciso di dare per sempre un addioalle avventure e di mettersi in società anche con De Gussac.

La storia è finita.

La contessina di Ventimiglia dopo qualche giorno s'imbarcavaper l'Europa con una scorta di filibustieri i quali non sospiravano che ilmomento di far ritorno ai loro paesi.

I due guasconi ed il basco s'imbarcavano su una caravella perraggiungere qualche porto dell'istmo e di là rientrare la traversataattraverso però a paesi noti e molto popolati.

Colla partenza di Buttafuoco e di Raveneau de Lussanfiníla razza di uomini tanto singolari e tanto formidabiliné vi fu piú congregadei Fratelli della Costané sul golfo del Messiconé sull'Oceano Pacificoné piú gente filibustierasebbene per molti anni ancora s'udissenei maridell'America Centraleparlare di pirati che qualche volta emularono colla loroarditezzai terribili combattenti che tanto male avevano recato alla Spagna.

Una partita si era formato un rifugio nell'isola dellaProvvidenzache è una delle Bermude e due donne fra essi si reserosingolarmente celebriavendo diviso sempre valorosamente coi loro compagni lefatiche ed i pericoliper puro amore di bottino. Furono entrambe inglesi.

Vestivano gli abiti del loro sessounendovi i lunghi calzonida marinaio; portavano sciolti i lunghi capellial fianco una sciabolasottoil petto due pistole e negli abbordaggi usavano una specie d'azza della formastessa che avevano usata in guerra gl'inglesi nei tempi di mezzo. La storia haricordato i loro nomi: Maria Read ed Anna Bonayperò non ha detto comefinirono.

Probabilmente finirono appiccate insieme ai loro compagni.